Sergio Toppi. La storia in verticale (e non solo)
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Sergio Toppi. La storia in verticale (e non solo), Spazio Tadini, Milano
Dal 15 Febbraio 2014 al 27 Febbraio 2014
Milano
Luogo: Spazio Tadini
Indirizzo: via Jommelli 24
Orari: da martedì a sabato 15.30-19
Curatori: Michele Ulisse Lipparini
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 26829749
E-Mail info: ms@spaziotadini.it
Sito ufficiale: http://spaziotadini.wordpress.com
Sergio Toppi, classe 1932. Milano. Dopo aver collaborato con le edizioni UTET, c’è un passaggio ai mirabolanti studi d’animazione Pagot e poi l’esordio col fumetto nel 1960, sul binario della Storia, con Pietro Micca, e sulle pagine del Corriere dei Piccoli. Quel minimo di predestinazione che non guasta quando si tratta di grandi autori, il tema storico sarà centrale nelle ambientazioni e nella narrativa di Toppi, sia quando mette il segno a servizio dei testi di Mino Milani in una proficua collaborazione, sia quando illustra e scrive in autonomia. Ma non esiste quasi genere che non abbia esplorato: cronaca, guerra, avventura, biografico, fantascienza, religioso, fabulistico, sportivo, omaggi al blues e alla musica lirica, scrive, disegna, realizza illustrazioni per copertine e per libri. “Dipinge” due mazzi di tarocchi, i Tarocchi Universali e poi i Tarocchi delle Origini, per lo Scarabeo di Torino.
A metà anni ’70 comincia a liberare la composizione della tavola, rompe la gabbia, apre la vignetta, la fa esplodere, il taglio verticale diventa un suo tratto distintivo, in tempi in cui gli azzardi registici non erano un trend inflazionato ma un’articolazione del linguaggio.
Nomade nei destini editoriali, dalle testate delle Edizioni Paoline ad alter alter e Linus, e molte altre, e nomade per spirito, non si affeziona all’idea di una produzione seriale, ama il racconto breve, e la narrazione autoconclusiva, e viaggia, e fa viaggiare personaggi e lettori. Sin dal principio una costante marcia in progressione, verso il miglioramento, sempre e comunque.
I personaggi toppiani vivono all’ombra di un destino votato alla ricerca, spesso vana, frequentemente priva di speranza, ma l’autore li accompagna senza lacrimevole compassione, c’è, al contrario, la volontà di enucleare le contraddizioni dell’animale uomo che sembra trovare la propria identità nella sopraffazione, nel cinismo, nella vendetta. L’uomo in conflitto con l’uomo, con l’ambiente che lo circonda, con il divino. Ed è stupefacente, sempre e comunque, il potere evocativo del suo stile. C’è una sensazione atemporale, di sospensione del chronos, dovuta anche alla mescolanza dei piani che destrutturano il fluire canonico delle lancette, quando un personaggio scivola ed incombe da una vignetta sull’altra, durante un dialogo, e non si sa più se il dialogo sia con un comprimario o col lettore, in un effetto di straniamento che concorre a rapirlo. L’equilibrio degli spazi, pieni e vuoti, bianchi e neri, che ti costringe a trattenere il fiato, nel timore che la gravità si guasti da un momento all’altro, sovvertendo l’insensato caos del vivere. La natura del segno corona il tutto, un iperrealismo che tende al paradosso di un’atmosfera irreale. Toppi ipnotizza.
Assoluto nel dettaglio, l’artista milanese ha compiuto un’esplorazione dei tipi etnici, dei costumi, degli spaccati di Madrenatura che ha pari solo nell’opera di Magnus. Ma il Maestro non amava il termine: “Per favore non chiamatemi maestro… Lo stile toppiano? Che brutta parola… sembra un’offesa. Quello è il prodotto di una vita. Ho portato avanti una severa autocritica, ho lavorato continuamente su me stesso, modificando ogni volta qualcosa. Quel tanto che era sufficiente a migliorare un po’. Questo mio stile è comunque il frutto di una grande fatica” Ecco, venite a godere del frutto di questa fatica allo Spazio Tadini, dopo Pintér la seconda mostra, e occasione di acquisto, del ciclo Pocket Exhibits, a Milano, dal 15 al 27 febbraio.
A metà anni ’70 comincia a liberare la composizione della tavola, rompe la gabbia, apre la vignetta, la fa esplodere, il taglio verticale diventa un suo tratto distintivo, in tempi in cui gli azzardi registici non erano un trend inflazionato ma un’articolazione del linguaggio.
Nomade nei destini editoriali, dalle testate delle Edizioni Paoline ad alter alter e Linus, e molte altre, e nomade per spirito, non si affeziona all’idea di una produzione seriale, ama il racconto breve, e la narrazione autoconclusiva, e viaggia, e fa viaggiare personaggi e lettori. Sin dal principio una costante marcia in progressione, verso il miglioramento, sempre e comunque.
I personaggi toppiani vivono all’ombra di un destino votato alla ricerca, spesso vana, frequentemente priva di speranza, ma l’autore li accompagna senza lacrimevole compassione, c’è, al contrario, la volontà di enucleare le contraddizioni dell’animale uomo che sembra trovare la propria identità nella sopraffazione, nel cinismo, nella vendetta. L’uomo in conflitto con l’uomo, con l’ambiente che lo circonda, con il divino. Ed è stupefacente, sempre e comunque, il potere evocativo del suo stile. C’è una sensazione atemporale, di sospensione del chronos, dovuta anche alla mescolanza dei piani che destrutturano il fluire canonico delle lancette, quando un personaggio scivola ed incombe da una vignetta sull’altra, durante un dialogo, e non si sa più se il dialogo sia con un comprimario o col lettore, in un effetto di straniamento che concorre a rapirlo. L’equilibrio degli spazi, pieni e vuoti, bianchi e neri, che ti costringe a trattenere il fiato, nel timore che la gravità si guasti da un momento all’altro, sovvertendo l’insensato caos del vivere. La natura del segno corona il tutto, un iperrealismo che tende al paradosso di un’atmosfera irreale. Toppi ipnotizza.
Assoluto nel dettaglio, l’artista milanese ha compiuto un’esplorazione dei tipi etnici, dei costumi, degli spaccati di Madrenatura che ha pari solo nell’opera di Magnus. Ma il Maestro non amava il termine: “Per favore non chiamatemi maestro… Lo stile toppiano? Che brutta parola… sembra un’offesa. Quello è il prodotto di una vita. Ho portato avanti una severa autocritica, ho lavorato continuamente su me stesso, modificando ogni volta qualcosa. Quel tanto che era sufficiente a migliorare un po’. Questo mio stile è comunque il frutto di una grande fatica” Ecco, venite a godere del frutto di questa fatica allo Spazio Tadini, dopo Pintér la seconda mostra, e occasione di acquisto, del ciclo Pocket Exhibits, a Milano, dal 15 al 27 febbraio.
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