Profughi

Emilio Tadini, Profughi, cm. 200x150

 

Dal 27 Febbraio 2019 al 20 Aprile 2019

Milano

Luogo: Casa Museo Spazio Tadini

Indirizzo: via Niccolò Jommelli 24

Orari: dal mercoledì alla domenica 15:30-19:30; lunedì e martedì chiuso

Curatori: Melina Scalise, Francesco Tadini

Telefono per informazioni: +39 0226116574

E-Mail info: museospaziotadini@gmail.com

Sito ufficiale: http://www.spaziotadini.com



Erano gli anni ‘80/’90 quando Emilio Tadini realizzò una serie di opere pittoriche dedicate ai profughi. Tadini raccontava l’Uomo e, in quella serie, individuava nell’essere profugo una condizione insita all’Uomo. Per Tadini la gestione del cambiamento e della perdita è un processo che tutti nella vita devono elaborare a cominciare dalla nascita con il distacco dal corpo materno, con l’esperienza della Distanza (Rizzoli 1998).

L’esperienza dell’Uomo è senza tempo e senza patria: un’eterna ricerca della condizione migliore e fanno parte di questa ricerca il viaggio, il sogno, l’amore. In quegli anni Tadini realizza anche il ciclo Oltremare e delle opere ispirate ad Ulisse, nonché scrisse nel 1993 il celebre romanzo La tempesta riferita a Prospero, un uomo colpito dalle vicissitudini della vita che si trincea nella sua casa per opporsi allo sfratto.

Nel 1945, Emilio Tadini ricordava che frequentava il ginnasio e trascorreva più tempo nel rifugio che in aula. In particolare gli rimase impresso nella memoria il rischio che corse suo padre quando, da fervente cattolico qual era, si inginocchiò a pregare davanti a dei morti in Piazzale Loreto, tra cui c’era una insegnante. Lui, orfano di madre da quando aveva 6 anni, in quel momento colse quanto l’ideale di un uomo possa prevalicare sul tutto e stravolgere la vita degli altri.
In quella Milano di lutti e di bombardamenti metteva radici in Tadini la voglia di ricostruzione e la fame di giustizia e di benessere che poi appartenne a tutta la generazione del dopoguerra.

Nella serie Profughi i personaggi di Tadini sono persone che come pacchi si muovono in spazi in assenza di gravità con dei cartellini attaccati addosso. Uomini ed oggetti sono in uno spazio aereo e privo di peso. Non c’è territorio di appartenenza c’è solo il viaggio. Un percorso da fare insieme alle cose, quelle che per Tadini rimangono oltre l’uomo a significare ciò che c’era. Presenze e assenze. Nature morte che parlano di noi e raccontano storie. A volte sono fardelli da cui non riusciamo a separarci e ci sono pesci sugli alberi a ricordarci lo stravolgimento dei luoghi e l’atto estremo di sopravvivenza e di non rinuncia alla vita.

La collettiva Profughi: l’Umanità in viaggio nell’era globale

Oggi quella Milano e quell’Italia di guerra, ricostruita, in cui aveva messo radici l’attenzione di Tadini sul tema, è tra le Nazioni del mondo meta di popoli che fuggono da altre nazioni in cui regna la guerra, l’orrore, la fame.
Quell’essere profughi è l’odissea di un’umanità che non è mai riuscita di fare di una terra, la propria terra, quasi quanto nessuna patria è mai riuscita ad essere più importante e sovrana di una madre terra.
Questi sono tempi di contraddizioni in cui mentre la politica si allarma a difesa di confini, culture e religioni, madre Terra richiama tutti all’ordine e a una visione unitaria con i suoi cambiamenti climatici.
Ebbene proporre oggi una mostra sul tema Profughi, partendo dagli stimoli e dalle riflessioni di Tadini e del suo Novecento, ci sembra più che mai attuale.
In questo Duemila chi sono i profughi? Quali sono i cambiamenti, le perdite, i rischi di questa umanità che corre, che si ammassa nelle metropoli, orfana di ideali ed utopie, che cerca nuove forme di sostentamento e teme per il futuro di tutta la Terra? Lo abbiamo chiesto a fotografi e pittori per raccontarla, rappresentarla, aiutarci a vederla tutta insieme questa umanità in viaggio.

Dal 27 febbraio al 20 aprile 2019
alla Casa Museo Spazio Tadini i visitatori potranno avere un percorso ricco di stimoli e riflessioni,da Tadini agli artisti e fotografi che raccontano cosa significa essere profughi oggi, fino ad un reportage fotogiornalistico sui profughi siriani di Simone Margelli, a cura di Federicapaola Capecchi.
Al Mafraq Close to home è un progetto realizzato a quattro mani da Simone Margelli, fotoreporter insieme ad Enrico Nardi, giornalista. Racconta storie di fuga e di accoglienza di alcune famiglie siriane. Yahia, Fatima, Ahmed, Ibrahim, Sali e Hassna hanno aperto le loro abitazioni per condividere l’esperienza dell’esilio e delle nuove vite che si sono dovuti costruire. Testimonianze che regalano un punto di vista reale di cosa sia stata la Primavera Araba, la guerra, le contraddizioni di un conflitto di tali dimensioni. E di cosa sia l’accoglienza in un paese, la Giordania, che ha visto arrivare dal 2011 670 mila emigrati siriani; un paese dove, però, la lingua, la cultura e la religione sono patrimoni comuni a entrambe le popolazioni. Al Mafraq Close to home è inserita nel Festival Fotografico Europeo 2019.
 
La mostra si avvale del supporto di “PHOTOMILANO Agenzia – Comunicazione, Fotografia, Arte e Cultura” che si occupa della comunicazione e ufficio stampa dell’evento nonché della diffusione della mostra presso altre sedi.
 


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