Markus Schönwald. Il dissoluto punito
Dal 13 Maggio 2014 al 15 Giugno 2014
Milano
Luogo: Triennale di Milano
Indirizzo: viale Alemagna 6
Orari: mar - dom 10.30-20.30, gio 10.30-23
Curatori: Paola Nicolin
Costo del biglietto: € 4 / € 3 / € 2
Telefono per informazioni: +39 02 72434240/247/205
E-Mail info: info@triennale.org
Sito ufficiale: http://www.triennale.org/it/
La Triennale di Milano è lieta di presentare la mostra personale dell’artista austriaco Markus Schinwald, “Il dissoluto punito”. Grazie al generoso sostegno del Teatro alla Scala, l’esposizione incorpora una selezione di scenografie di Micheal Levine che il teatro milanese ha prodotto durante la stagione 2011 – 2012 per la rappresentazione del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, diretto da Daniel Barenboim, per la regia di Robert Carsen.
Il progetto, intende coniugare la dimensione della ricerca e della produzione artistica con i dispositivi della rappresentazione scenica in un unico e originale insieme. In questa speciale occasione, le scene di un’opera vengono prestate alle arti visive stabilendo un possibile dialogo ideale, capace di evocare suggestioni e risonanze tematiche presenti tanto nel lavoro di Schinwald quanto nell’inafferrabile mito del Don Giovanni.
L’ambiente che ne scaturisce, in cui i confini tra la dimensione pubblica e privata si affievoliscono, è segnato da un inedito intreccio tra le strutture del palcoscenico e i temi del desiderio, dell’ossessione, del tempo e del corpo umano, che rappresentano concetti chiave nella ricerca dell’artista austriaco, nato a Salisburgo nel 1973. In una combinazione sperimentale di linguaggi, la mostra dischiude un percorso tra arte e realtà che unisce teatro, pittura, video e scultura, attraverso cui lo spettatore è immerso in spazi scenici e psichici stranianti ed enigmatici.
Edoardo Bonaspetti, curatore Triennale Arte
Artista visivo tra i più rilevanti della sua generazione, Markus Schinwald (Salisburgo 1973) si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico per la densità della sua ricerca intellettuale, caratterizzata dalla consapevolezza dell’intreccio tra scultura, corpo e spazio, della fragilità del linguaggio e della potenza del rimosso nella psiche. L’artista ha negli anni saputo elaborare un immaginario peculiare, dato dall’insieme di lavori che muovono dalla pittura alla performance, dalla fotografia al teatro di figura, dal video alla scultura, dal disegno alla produzione di abiti e alla progettazione di ambienti architettonici. Come frammenti di un unico discorso estetico, l’artista organizza questi elementi entro una coreografia che concentra la sua attenzione sulle implicazioni psicologiche dello studio dello spazio e del corpo.
Attento esploratore dei misteriosi meccanismi che sottendono alle relazioni umane, Schinwald si trova il più delle volte a progettare lo spazio all’interno del quale i suoi lavori sono inseriti. Le sue opere si comportano come attori o comparse di una narrazione senza inizio nè fine e stanno all’interno di un apparato scenico, che, come una protesi, è un equipaggiamento necessario, sebbene dall’uso non specificato. Questa tensione verso la distribuzione degli oggetti nello spazio è legata ai suoi studi in arti visive, ma soprattutto all’interesse, spesse volte ribadito dall’artista stesso, per i processi ibridi che legano tra loro la creazione di un film, una mostra, una scultura, una performance, tutti capaci di abbracciare una drammaturgia simile, che trae ispirazione tanto dal teatro quanto dai set televisivi.
In occasione della sua personale a Milano, Schinwald dialoga per la prima volta con le scenografie del Teatro alla Scala e, più precisamente, con una selezione delle quinte prospettiche create nel 2011 dal teatro milanese per la rappresentazione del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Un nucleo di opere realizzate dall’artista tra 1996 a oggi sono posizionate all’interno di una scenografia scelta anche in relazione alla sua natura affatto figurativa. Le quinte riproducono semplicemente il sipario del Teatro alla Scala, sono state disegnate per essere viste fronte e retro, presentano aperture in corrispondenza di finestre e porte e girano su se stesse, grazie a un sistema di carrelli autoportanti. In questo modo, la quinta si trasforma in un elemento instabile, dalla doppia natura di struttura che divide e che unisce. Questi elementi architettonici enfatizzano il tema dell’ambiguità e dell’ambivalenza che anima tutto il dramma di Mozart, il cui titolo completo “Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni” è fonte di ispirazione per la mostra stessa.
Nell’opera costante è d’altra parte l’altalena tra comico e tragico, palcoscenico e platea, uomo e donna, individuo e collettività, bene e male, amore e morte. Tale architettura-apparato è capace di avvolgere e cooptare lo spettatore e di ingaggiarlo in una situazione aperta, destabilizzante, incerta. Lo spettatore è insieme un testimone del retroscena e un attore sul palcoscenico. Si assiste in altre parole al sovvertimento delle regole e delle prospettive: l’anti-spettacolo diviene spettacolo e viceversa. Il discorso espositivo si avviluppa così in un territorio, dove i confini tra scultura, pittura e scenografia si dissolvono dando vita a un unico ambiente. In questo senso Schinwald, che riprende e rielabora l’idea cara alle ricerche della Secessione Viennese per la quale la forma degli oggetti influenza la forma dei comportamenti, rafforza anche in questa occasione questa posizione attraverso la messa in scena di situazioni psicologiche del tutto uniche nell’evocare questioni di identità, instabilità, disagio, limite. L’idea di proporre all’artista questo dialogo, nasce in primo luogo dall’osservazione e studio delle sue opere – e in particolare del nuovo gruppo scultoreo “Culbutos” presentato in Triennale. Queste sculture dall’aspetto insieme conturbante e respingente, realizzate in resina e fibra di carbone, si muovono ondeggiando su se stesse e proprio per questa caratteristica motoria fanno riferimento tanto agli omonimi ninnoli infantili (i giocattoli con una base sferica, che ondeggiano ritornando sempre nella posizione iniziale), quanto al mondo del teatro, ai suoi costumi di scena che ancora una volta manipolano il corpo facendogli assumere forme e pose non convenzionali. La loro superficie traslucida riflette ogni nostro movimento mentre le loro sembianze stranianti sono indici dell’interesse dell’artista per il sovvertimento delle regole della rappresentazione del corpo umano, per la coincidenza tra gesto e azione, forma e stato d’animo.
Scenografie e opere intrecciano così un dispositivo, dove il corpo dello spettatore è anch’esso manipolato, costretto entro un percorso più o meno obbligato a mettere in discussione il suo rapporto con l’inconscio, l’irrazionale, l’ambiguo, l’instabile e il doppio.
Paola Nicolin, curatrice della mostra
Il progetto, intende coniugare la dimensione della ricerca e della produzione artistica con i dispositivi della rappresentazione scenica in un unico e originale insieme. In questa speciale occasione, le scene di un’opera vengono prestate alle arti visive stabilendo un possibile dialogo ideale, capace di evocare suggestioni e risonanze tematiche presenti tanto nel lavoro di Schinwald quanto nell’inafferrabile mito del Don Giovanni.
L’ambiente che ne scaturisce, in cui i confini tra la dimensione pubblica e privata si affievoliscono, è segnato da un inedito intreccio tra le strutture del palcoscenico e i temi del desiderio, dell’ossessione, del tempo e del corpo umano, che rappresentano concetti chiave nella ricerca dell’artista austriaco, nato a Salisburgo nel 1973. In una combinazione sperimentale di linguaggi, la mostra dischiude un percorso tra arte e realtà che unisce teatro, pittura, video e scultura, attraverso cui lo spettatore è immerso in spazi scenici e psichici stranianti ed enigmatici.
Edoardo Bonaspetti, curatore Triennale Arte
Artista visivo tra i più rilevanti della sua generazione, Markus Schinwald (Salisburgo 1973) si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico per la densità della sua ricerca intellettuale, caratterizzata dalla consapevolezza dell’intreccio tra scultura, corpo e spazio, della fragilità del linguaggio e della potenza del rimosso nella psiche. L’artista ha negli anni saputo elaborare un immaginario peculiare, dato dall’insieme di lavori che muovono dalla pittura alla performance, dalla fotografia al teatro di figura, dal video alla scultura, dal disegno alla produzione di abiti e alla progettazione di ambienti architettonici. Come frammenti di un unico discorso estetico, l’artista organizza questi elementi entro una coreografia che concentra la sua attenzione sulle implicazioni psicologiche dello studio dello spazio e del corpo.
Attento esploratore dei misteriosi meccanismi che sottendono alle relazioni umane, Schinwald si trova il più delle volte a progettare lo spazio all’interno del quale i suoi lavori sono inseriti. Le sue opere si comportano come attori o comparse di una narrazione senza inizio nè fine e stanno all’interno di un apparato scenico, che, come una protesi, è un equipaggiamento necessario, sebbene dall’uso non specificato. Questa tensione verso la distribuzione degli oggetti nello spazio è legata ai suoi studi in arti visive, ma soprattutto all’interesse, spesse volte ribadito dall’artista stesso, per i processi ibridi che legano tra loro la creazione di un film, una mostra, una scultura, una performance, tutti capaci di abbracciare una drammaturgia simile, che trae ispirazione tanto dal teatro quanto dai set televisivi.
In occasione della sua personale a Milano, Schinwald dialoga per la prima volta con le scenografie del Teatro alla Scala e, più precisamente, con una selezione delle quinte prospettiche create nel 2011 dal teatro milanese per la rappresentazione del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Un nucleo di opere realizzate dall’artista tra 1996 a oggi sono posizionate all’interno di una scenografia scelta anche in relazione alla sua natura affatto figurativa. Le quinte riproducono semplicemente il sipario del Teatro alla Scala, sono state disegnate per essere viste fronte e retro, presentano aperture in corrispondenza di finestre e porte e girano su se stesse, grazie a un sistema di carrelli autoportanti. In questo modo, la quinta si trasforma in un elemento instabile, dalla doppia natura di struttura che divide e che unisce. Questi elementi architettonici enfatizzano il tema dell’ambiguità e dell’ambivalenza che anima tutto il dramma di Mozart, il cui titolo completo “Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni” è fonte di ispirazione per la mostra stessa.
Nell’opera costante è d’altra parte l’altalena tra comico e tragico, palcoscenico e platea, uomo e donna, individuo e collettività, bene e male, amore e morte. Tale architettura-apparato è capace di avvolgere e cooptare lo spettatore e di ingaggiarlo in una situazione aperta, destabilizzante, incerta. Lo spettatore è insieme un testimone del retroscena e un attore sul palcoscenico. Si assiste in altre parole al sovvertimento delle regole e delle prospettive: l’anti-spettacolo diviene spettacolo e viceversa. Il discorso espositivo si avviluppa così in un territorio, dove i confini tra scultura, pittura e scenografia si dissolvono dando vita a un unico ambiente. In questo senso Schinwald, che riprende e rielabora l’idea cara alle ricerche della Secessione Viennese per la quale la forma degli oggetti influenza la forma dei comportamenti, rafforza anche in questa occasione questa posizione attraverso la messa in scena di situazioni psicologiche del tutto uniche nell’evocare questioni di identità, instabilità, disagio, limite. L’idea di proporre all’artista questo dialogo, nasce in primo luogo dall’osservazione e studio delle sue opere – e in particolare del nuovo gruppo scultoreo “Culbutos” presentato in Triennale. Queste sculture dall’aspetto insieme conturbante e respingente, realizzate in resina e fibra di carbone, si muovono ondeggiando su se stesse e proprio per questa caratteristica motoria fanno riferimento tanto agli omonimi ninnoli infantili (i giocattoli con una base sferica, che ondeggiano ritornando sempre nella posizione iniziale), quanto al mondo del teatro, ai suoi costumi di scena che ancora una volta manipolano il corpo facendogli assumere forme e pose non convenzionali. La loro superficie traslucida riflette ogni nostro movimento mentre le loro sembianze stranianti sono indici dell’interesse dell’artista per il sovvertimento delle regole della rappresentazione del corpo umano, per la coincidenza tra gesto e azione, forma e stato d’animo.
Scenografie e opere intrecciano così un dispositivo, dove il corpo dello spettatore è anch’esso manipolato, costretto entro un percorso più o meno obbligato a mettere in discussione il suo rapporto con l’inconscio, l’irrazionale, l’ambiguo, l’instabile e il doppio.
Paola Nicolin, curatrice della mostra
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