Marco Useli. Témnein
Dal 07 Febbraio 2014 al 01 Marzo 2014
Milano
Luogo: Dimora Artica
Indirizzo: via Matteo Maria Boiardo 11
Orari: da giovedì a sabato 17-19.30
Curatori: Andrea Lacarpia
Costo del biglietto: ingresso gratuito
E-Mail info: info@dimoraartica.com
Sito ufficiale: http://www.dimoraartica.com
Dimora Artica prosegue la propria attività, finalizzata all'individuazione delle possibili connessioni tra arte attuale e cultura tradizionale, con la mostra personale di Marco Useli curata da Andrea Lacarpia ed accompagnata dai testi del curatore e di Stefano Serusi.
Il titolo Témnein è tratto dal greco e significa tagliare: azione fondamentale in una società civile vista come comunità che occupa luoghi separati dalla natura selvaggia. Come indicato dall'etimologia della parola tempio (dal greco témenos = recinto, luogo separato), la sacralità di uno spazio deriva dalla sua separazione da un luogo preesistente, ottenuta per mezzo di una barriera che ne determina i confini. Il sacro limite, parte integrante del pensiero dell’antica Grecia e determinante la prosperità di ogni società civile, è stato gradualmente soppresso in virtù dello sfruttamento illimitato delle risorse ambientali e della conseguente meccanica occupazione di ogni luogo. Rispetto al passato, oggi il processo di occupazione si fa inverso: se l'uomo antico aveva bisogno di ritagliarsi un territorio nel quale difendersi dagli elementi naturali avversi, oggi il mondo è totalmente trasformato dall’intervento umano e i nuovi spazi sacri sono i parchi protetti, nei quali la natura selvaggia può tornare ad esprimersi indisturbata.
Un’emblematica espressione del cambiamento epocale, che vede la necessità di ripristinare l’ambiente originario in luoghi lungamente sfruttati a fini costruttivi, è il recupero delle cave di pietra abbandonate. Spesso trasformate in teatri o altri edifici, altre volte esse vengono ridonate alla vegetazione sfruttando i tipici terrazzamenti creati dalla progressione dei tagli di pietra. Progettisti specializzati si occupano di queste nuove imprese, finalizzate alla rigenerazione della vitalità naturale impiegando la stessa pianificazione razionale necessaria allo sfruttamento della stessa. È così ristabilito un buon rapporto con l’attitudine costruttiva che ha accompagnato la civiltà umana, la quale oggi non può prescindere dalla specificità dei ritmi geologici e biologici.
In parte ispirato dalle problematiche legate al recupero ambientale delle cave di pietra, Marco Useli descrive il taglio delle montagne come paziente e metodica asportazione di materiale lapideo, che interrompe il flusso naturale e nello stesso tempo forma un’architettura in negativo che può suggerire nuovi utilizzi. Elemento ricorrente nella ricerca dell’artista è la ripetizione di moduli che sembrano mirare ad un graduale perfezionamento della forma, sovrapposti per creare un flusso visivo che sembra poter proseguire anche oltre lo spazio dell’opera.
La ritmica increspatura delle catene montuose, creata dal lento e costante processo di orogenesi, viene rappresentata da Marco Useli come una progressione verticale di vette in bilico tra rappresentazione bidimensionale ed atmosferico realismo ottenuta mediante rulli ed altri utensili, appositamente creati dall'artista, oppure attraverso il sapiente uso della xilografia. Tale ritmo, che sembra perdersi negli albori dell’esistenza del mondo, viene interrotto da un drammatico vuoto geometrico che si palesa in primo piano come fosse l’ultimo stadio di un perfezionamento naturale, fatalmente trasformato in un’invadente vuoto distruttivo.
Lo stesso flusso verticale emerge in un video, presentato nel piccolo schermo di un telefono cellulare inserito in un supporto progettato dall'artista e realizzato in marmo verde del Guatemala, nel quale la scalata di una montagna è documentata attraverso la reiterazione dei passi in un sentiero disseminato di pietre. Il concetto di taglio come interruzione di un ritmo vitale, che nelle opere dedicate alle montagne può assumere toni epici, approda alla quotidianità urbana in due piccoli dipinti olio su tela, nei quali Marco Useli riproduce il giardino interno di un condominio, visto dall’alto e dipinto con perizia quasi fotografica. Nei dipinti, che presentano due diverse angolazioni dello stesso soggetto, una strada taglia le aiuole per essere interrotta da un improvviso muro che ne preclude la prosecuzione.
Chiude la mostra un’opera su carta formata da più pezzi affiancati, stavolta orizzontalmente, nei quali il colore verde sottostante ai fogli è tracimato in superficie mediante fori posti lateralmente, formando dei segni simili a ciuffi d’erba che, con la propria forza germinale, si riappropriano di uno spazio apparentemente inadatto alla vita. La simultanea presenza di natura ed artificio, suggerita dall’opera di Marco Useli, allude ad una realtà che rispetta e mantiene integre le differenze, e nella quale l’attitudine normativa dell’uomo si fa totalmente costruttiva e rigenerativa.
Il titolo Témnein è tratto dal greco e significa tagliare: azione fondamentale in una società civile vista come comunità che occupa luoghi separati dalla natura selvaggia. Come indicato dall'etimologia della parola tempio (dal greco témenos = recinto, luogo separato), la sacralità di uno spazio deriva dalla sua separazione da un luogo preesistente, ottenuta per mezzo di una barriera che ne determina i confini. Il sacro limite, parte integrante del pensiero dell’antica Grecia e determinante la prosperità di ogni società civile, è stato gradualmente soppresso in virtù dello sfruttamento illimitato delle risorse ambientali e della conseguente meccanica occupazione di ogni luogo. Rispetto al passato, oggi il processo di occupazione si fa inverso: se l'uomo antico aveva bisogno di ritagliarsi un territorio nel quale difendersi dagli elementi naturali avversi, oggi il mondo è totalmente trasformato dall’intervento umano e i nuovi spazi sacri sono i parchi protetti, nei quali la natura selvaggia può tornare ad esprimersi indisturbata.
Un’emblematica espressione del cambiamento epocale, che vede la necessità di ripristinare l’ambiente originario in luoghi lungamente sfruttati a fini costruttivi, è il recupero delle cave di pietra abbandonate. Spesso trasformate in teatri o altri edifici, altre volte esse vengono ridonate alla vegetazione sfruttando i tipici terrazzamenti creati dalla progressione dei tagli di pietra. Progettisti specializzati si occupano di queste nuove imprese, finalizzate alla rigenerazione della vitalità naturale impiegando la stessa pianificazione razionale necessaria allo sfruttamento della stessa. È così ristabilito un buon rapporto con l’attitudine costruttiva che ha accompagnato la civiltà umana, la quale oggi non può prescindere dalla specificità dei ritmi geologici e biologici.
In parte ispirato dalle problematiche legate al recupero ambientale delle cave di pietra, Marco Useli descrive il taglio delle montagne come paziente e metodica asportazione di materiale lapideo, che interrompe il flusso naturale e nello stesso tempo forma un’architettura in negativo che può suggerire nuovi utilizzi. Elemento ricorrente nella ricerca dell’artista è la ripetizione di moduli che sembrano mirare ad un graduale perfezionamento della forma, sovrapposti per creare un flusso visivo che sembra poter proseguire anche oltre lo spazio dell’opera.
La ritmica increspatura delle catene montuose, creata dal lento e costante processo di orogenesi, viene rappresentata da Marco Useli come una progressione verticale di vette in bilico tra rappresentazione bidimensionale ed atmosferico realismo ottenuta mediante rulli ed altri utensili, appositamente creati dall'artista, oppure attraverso il sapiente uso della xilografia. Tale ritmo, che sembra perdersi negli albori dell’esistenza del mondo, viene interrotto da un drammatico vuoto geometrico che si palesa in primo piano come fosse l’ultimo stadio di un perfezionamento naturale, fatalmente trasformato in un’invadente vuoto distruttivo.
Lo stesso flusso verticale emerge in un video, presentato nel piccolo schermo di un telefono cellulare inserito in un supporto progettato dall'artista e realizzato in marmo verde del Guatemala, nel quale la scalata di una montagna è documentata attraverso la reiterazione dei passi in un sentiero disseminato di pietre. Il concetto di taglio come interruzione di un ritmo vitale, che nelle opere dedicate alle montagne può assumere toni epici, approda alla quotidianità urbana in due piccoli dipinti olio su tela, nei quali Marco Useli riproduce il giardino interno di un condominio, visto dall’alto e dipinto con perizia quasi fotografica. Nei dipinti, che presentano due diverse angolazioni dello stesso soggetto, una strada taglia le aiuole per essere interrotta da un improvviso muro che ne preclude la prosecuzione.
Chiude la mostra un’opera su carta formata da più pezzi affiancati, stavolta orizzontalmente, nei quali il colore verde sottostante ai fogli è tracimato in superficie mediante fori posti lateralmente, formando dei segni simili a ciuffi d’erba che, con la propria forza germinale, si riappropriano di uno spazio apparentemente inadatto alla vita. La simultanea presenza di natura ed artificio, suggerita dall’opera di Marco Useli, allude ad una realtà che rispetta e mantiene integre le differenze, e nella quale l’attitudine normativa dell’uomo si fa totalmente costruttiva e rigenerativa.
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