Look Here
Dal 07 Ottobre 2021 al 12 Novembre 2021
Milano
Luogo: Galleria Frediano Farsetti
Indirizzo: Via della Spiga 52
Orari: Lunedì: 15.00-19.00. Da martedì a sabato: 10.00-13.00 / 15.00-19.00
Curatori: Lorenzo Bruni
Telefono per informazioni: +39 02 794274
E-Mail info: info@galleriafredianofarsetti.it
Sito ufficiale: http://www.galleriafredianofarsetti.it
La storica Galleria Frediano Farsetti di Milano prosegue il suo confronto con l'arte contemporanea con il ciclo di mostre dal titolo Connection, a cura di Lorenzo Bruni, presentando giovedì 7 ottobre alle ore 18:00 il nuovo progetto dal titolo Look Here. La mostra propone un dialogo inedito tra Fernando Sánchez Castillo, Ingeborg Lüscher e Lapo Binazzi (UFO), artisti di fama internazionale e appartenenti a tre generazioni e modalità differenti, i cui interventi caratterizzano in maniera autonoma i tre livelli dello spazio espositivo di Milano. Le opere scelte appositamente per l'occasione dagli artisti, essendo di anni e tecniche diverse, permettono di riflettere da una parte sulle peculiarità delle singole ricerche, dall'altra di identificare specifici elementi in comune, pur mantenendo implicazioni formali e concettuali distanti tra loro. Denominatori comuni sono il tema della scultura/oggetto, inteso come dialogo tra l’ambiente e rilascio di energia, ma anche la pittura/immagine come “illusione oggettiva” che si intreccia con le strategie del camouflage. Le installazioni, i quadri, le sculture e le opere fotografiche presenti ruotano intorno alla capacità di rappresentare un momento di tensione della materia: l'istante della sua impellente trasformazione in relazione all'architettura in cui è inserita. Per gli artisti in mostra dare voce a questo istante è il modo per creare un incontro tra opera, contenitore e spettatore oltre che per rispondere in maniera consapevole all'ambiguità dei segni con cui il soggetto deve fare i conti dalla metà degli anni Sessanta, l’inizio dell’era dei mass media.
Il titolo Look Here esorta non soltanto a guardare ma anche a sentire più in generale suggerendo un'esperienza coinvolgente e non distaccata delle cose, evoca quello che accomuna le opere di Fernando Sánchez Castillo, Ingeborg Lüscher e Lapo Binazzi (UFO). I loro lavori colpiscono per una particolare anti-spettacolarità e proprio per questo sorprendono nel momento in cui ci conducono a riflettere sui meccanismi di sedimentazione del concetto di quotidiano, di senso comune e di cosa può essere considerato opera d'arte, progetto di architettura o oggetto di affezione. Oltre alle varie presenze in mostra che suggeriscono un'analisi sul ruolo storico e attuale della scultura, sono presenti una serie di opere fotografiche che testimoniano l'incontro con l'altro nella necessità di svelarlo. In particolare sono da notare le opere che superano i confini tradizionali della pittura oscillando tra rappresentazione e distorsione delle superfici. Questo aspetto appare evidente di fronte ai pannelli di Lapo Binazzi (UFO) che si dispongono nello spazio portando su di essi dipinti dai temi floreali che si mischiano ad una casa ANAS e a un telefono da campo facendo ripensare alle applicazioni delle teorie gestaltiche della Bauhaus e portando l'attenzione su come vengono interpretati i segni e non solo a come sono creati. Questa è la stessa riflessione che è al centro della scelta di Castillo di realizzare dei quadri astratto/gestuali dal titolo Funky Riot o Stock Market le cui macchie sono la copia esatta delle tracce lasciate sui muri dal lancio di bombe di colore o di frutta da parte dei manifestanti a partire dagli anni Sessanta contro il potere costituito. Nel caso dei grandi quadri di Lüscher, scansioni verticali in cui il colore scuro risalta rispetto alle porzioni non di pigmento bensì di zolfo che produce luce invece di simularla, suggeriscono di osservare le cose come parte di un tutto e in relazione alle entità incommensurabili che costituiscono la vita. I dipinti/oggetti appena citati puntano a riflettere sugli strumenti stessi della costituzione e manifestazione di un'immagine: essi non si limitano a riflettere sugli strumenti della pittura, ma indagano come possano essere osservate le tracce delle realtà. L’obiettivo è tramutare l'osservatore in fruitore consapevole delle sue possibilità di interazione con il mondo che lo circonda, sia mediatico che naturale, sia scientifico che istintuale.
Il curatore Lorenzo Bruni, riguardo ai temi comuni che emergono dalla fruizione delle opere dei tre artisti della mostra Look Here, scrive: L'oggetto del 1975 di Lapo Binazzi (UFO), la cui forma rimanda a un coltello, ha la lama fatta di plexiglas colorato che lo rende irreale e fuori dal comune. Sensazione che aumenta quando l'opera è accesa come fosse una lampada: la luce porta a trascendere la sua presenza e a far interagire in maniera disarmante i temi di aggressione e di seduzione come quelli di ordinario e di surreale. Gli stessi temi sono indagati dalla scultura Precettore di Castillo, un giovane albero che sembra appena divelto dal terreno – come testimoniano le radici che appoggiano sul pavimento – il cui tronco spezzato è però ricomposto e salvato con l'aiuto di una canna di bambù che lo sostiene e lo raddrizza. Le minute forme del 1987 di Lüscher, tra il geometrico e il sensuale, ricoperte di zolfo e poste su una base, introducono la relazione tra il concetto di organico e inorganico. Queste opere propongono modalità, differenti nell’apparenza ma simili nelle intenzioni, che si propongono di affrontare il paradosso tra le categorie di macro e micro, di trovato e creato, di visibile e immaginabile. In particolare, se osservate nello stesso ambiente, permettono di ripensare il ruolo della scultura come oggetto e la sua possibilità di manifestarsi come rilascio di energia ed espansione dell'attorno e non soltanto come occupazione di spazio. Da questo punto di vista i lavori presenti in mostra suggeriscono una concezione dell'oggetto-scultura come convivenza inevitabile tra delicatezza e irruenza delle forme in una sospensione che evoca la necessità di un gesto. Quest’ultimo va da quello allegorico di Castillo, evidente nella rottura del giovane albero cristallizzato in un momento che può essere sia di ripresa che di perdita, a quello progettuale di Lapo Binazzi (UFO) che invita a usare l'opera-lampada invece che a guardarla; fino a quello ontologico della Lüscher che, utilizzando lo zolfo, rimanda a un tempo altro, non solo legato al presente.
Ciclo “Connection”
Il ciclo triennale Connection, ideato e curato da Lorenzo Bruni, ha esordito con la mostra dal titolo Iniziamo da qui che faceva il punto su quali fossero le caratteristiche della giovane arte italiana sollevando la necessità di interrogarsi sull'eredità degli anni '90 grazie agli interventi inediti di Vedovamazzei e Cesare Viel. Questo secondo appuntamento propone invece il dialogo fra personali di tre artisti di generazioni differenti, sviluppandosi nei tre livelli della galleria milanese, per riflettere sia sul loro percorso artistico, sia sulle tematiche che hanno affrontato decennio dopo decennio. Questo tipo di scelta punta a superare il modello della mostra collettiva a tema, ma anche di quella personale basata solo sulla presentazione dell'ultima produzione dell’artista coinvolto. L'idea generale, che guida tutto il ciclo, è quella di prediligere artisti capaci di confrontarsi con il contesto in cui vanno a dialogare e le cui opere pongono l’attenzione sulla dimensione processuale per ripensare in maniera radicale alle categorie di astratto e figurativo, oltre che di azione effimera e durata della stessa. Se questa seconda mostra, Look Here, presenta una riflessione sul tema della scultura come innesco di relazione e della pittura come strategia di camouflage con cui dialogare con la realtà, il terzo appuntamento, si svolgerà coinvolgendo sempre tre artisti di fama internazionale e di generazioni differenti, sarà incentrata sul tema del colore come luce e narrazione.
Libro e finissage
In occasione di Look Here sarà realizzato un libro che, oltre che contenere le immagini del dialogo site specific tra opere e contesto, include le interviste a vari intellettuali con cui allargare i temi del dibattito proposto dalle opere. Il libro sarà presentato nel corso della mostra. Le interviste ai protagonisti della mostra e ai critici saranno anche fruibili attraverso i social media.
Fernando Sánchez Castillo (1970, Madrid; vive e lavora a Madrid) realizza dalla fine degli anni '90 sculture, quadri, azioni, video e installazioni dal forte impatto emotivo con cui dà forma concreta al dibattito attorno alla memoria collettiva, emersa nell'era post-ideologica. Studia il rapporto tra arte e potere, tra storia e politica, tra spazio pubblico e privato per riflettere su cosa possano significare, nell'era globale e digitale, le nozioni di utopia, rivoluzione e artista impegnato. Sánchez Castillo per la Biennale di San Paolo del 2004 presenta il video Rich cat in cui una testa in bronzo di un monumento pubblico rimosso era usato per attività sportive mettendo in evidenza con ironia surreale che l'approccio nel corso del ‘900 è sempre stato quello di un'azione di distruzione dei monumenti di potere senza pensare alla creazione di altri monumenti. In una serie di lavori intitolata Barricades, esposti anche al Mart di Rovereto nel 2008 per la mostra curata da Achille Bonito Oliva dal titolo Eurasia, Castillo realizza barricate composte di oggetti vari, trasforma il simbolo della protesta in qualcosa di diverso e problematico attraverso l’impiego del bronzo, materiale con cui normalmente sono costruiti i monumenti espressione del potere. Nel 2005 e nel 2006 è residente alla Rijksakademie van Beeldende Kunsten di Amsterdam, oltre ad aver partecipato al gruppo di ricerca delle Nazioni Unite di Ginevra, PIMPA Memory, Politics and Art Practices. Tra le molte mostre personali si ricordare: Museo statale di architettura Shchusev, Mosca (2019),; Kunstraum Innsbruck (2016,); Sala de Arte Público Siqueiros, Polanco (2016); Museo Stedelijk 's-Hertogenbosch (2016); Centro de Arte Dos de Mayo CA2M, Madrid (2015); OK Centrum Linz (2014); Rabo Kunstzone, Utrecht (2013); Kunstpavillon München (2013); Kunstverein Braunschweig (2012); Matadero Madrid (2012); CAC Malaga (2011).Tra le molte manifestazione collettive di livello internazionale a cui ha preso parte si ricordano: Biennale di Riga (2018); Centro nazionale per le arti contemporanee. Mosca (2016); Today Art Museum Beijing (2016); Biennale Gherdëina (2016); Centraal Museum Utrecht (2016); Manifesta 11 Zürich (2016, CH); Albertinum Dresden (2015); Palais de Tokyo (2015); MOTA Tokyo (2014); Biennale di Goteborg (2013); De Appel Amsterdam (2013) e MAC Marseille (2013).
Ingeborg Lüscher (1936, Löffler, Freiberg; vive e lavora a Tegna) ha adottato dagli anni Sessanta, dopo aver lasciato la sua carriera iniziale di attrice, una pratica multidisciplinare che l’ha portata ad espandere le potenzialità di media come la pittura, la fotografia, le pratiche concettuali, il video e le installazioni. Le sue opere di scultura e pittura incarnano l'idea della trasformazione della materia, per questa ragione impiega spesso materiali non convenzionali di alto valore simbolico come lo zolfo. Inoltre, quando si confronta con la narrazione fotografica o con il display museale punta sempre ad evocare la capacità degli oggetti di conservare la memoria, pur valorizzando una dimensione epifanica del quotidiano con cui osservarlo con lo stupore della prima volta. Questo è evidente sia con la serie fotografica iniziata nel corso degli anni Settanta – e che si configura come un work in progress – dal titolo Magician Photo, in cui in nove scatti disposti a griglia ri-propone gli incontri fatti durante i suoi viaggi; sia con l'opera dal titolo Il cuore sulla via del divenire del 1975, costituita da ciottoli di pietre levigate dall'acqua in cui l’artista interviene con ironico senso classificatorio creando 22 vetrine con varie associazioni. Nel 1999 fece scalpore la sua partecipazione alla Biennale di Venezia, dove presentò il suo lavoro con lo pseudonimo di Ying-Bo, un artista maschio cinese che dava voce, con il video Fei-Ya! Fei-Ya! Fly, Fly (Our Chinese Friends) al grande cambiamento dovuto alla globalizzazione mettendo però in evidenza anche gesti e riti che sono senza tempo. Nella Biennale di Venezia del 2001 invece presenta una ampia installazione con video e fotografie dal titolo Fusion. Tra le molte mostre nazionali e internazionali a cui ha partecipato, dalla sua prima mostra alla Große Kunstausstellung del 1968 alla Haus der Kunst di Monaco, sono da citare Documenta 5, Kassel, del 1972 e Documenta 9 nel 1992, e le Biennali di Venezia del 1980, 1990 e 1999. Nel 2011 le è stato assegnato il Premio Meret Oppenheim. Le mostre personali più recenti si sono svolte al Museums of Paris (ARC 2); Philadelphia (Golden Paley), Moscow (NCCA), Vienna (MAK), Kunstmuseum Luzern, Svizzera, ZKM Center for Art and Media, Karlsruhe, Germania, Hamburger Bahnhof, Berlino, e Situation Kunst (for Max Imdahl) Ruhr University, Bochum. Una vasta retrospettiva è stata realizzata al Museo Mart a Rovereto nel 2004 e al Kunstmuseum Solothurn nel 2016.
Lapo Binazzi (UFO), (1943, Firenze; vive e lavora a Firenze) è tra i fondatori nel 1967 del gruppo UFO (1967-1978) con cui contribuisce alla sperimentazione ‘radical’ italiana e con cui propone un nuovo modo di concepire l'architettura portando maggiore attenzione sui temi del contesto sociale e del dialogo con i nuovi mezzi di comunicazione. La particolarità delle loro riflessioni porta a proporre opere di tipo performativo al limite con gli happening e a creare una visione in cui moderno e post-moderno (che ancora si deve affacciare nel mondo dell'arte) non sono in opposizione. Tra le azioni più significative sono da ricordare quella del 1968 dal titolo Urboeffimero in cui interagiscono sia con una manifestazione studentesca che con l'architettura rinascimentale classica della città di Firenze producendo un video, e quella del 1973 dal titolo Ipotesi di sopravvivenza realizzata nella campagna toscana producendo una serie di immagini fotografiche, tra cui quella usata per una copertina della rivista Casabella dell'anno successivo. Tra gli arredi famosi sono da ricordare il ristorante Sherwood del 1969 a Firenze e la discoteca Bamba Issa dello stesso anno a Forte dei Marmi. Lapo Binazzi con gli UFO è tra i fondatori nel 1973 della Global Tools e nel 1975 fonda l’atelier-laboratorio di nuovo artigianato Casa ANAS, in cui vengono create piccole serie e pezzi unici di lampade ora presenti nelle collezioni dei più importanti musei internazionali: fra queste le lampade Dollaro, Paramount, MGM (1969), Ago e Rocchetto (1975), e le Lampade al Neon (1975). Con il gruppo UFO parteciperà a numerose mostre internazionali come La Triennale di Milano (1968) e (1973), la Biennale di Parigi (1971), Design als Postulat di Berlino (1973), la Biennale di Venezia (1978), Design by Circumstances di New York (1981). Per la mostra Contemporanea a Roma (1974) curerà personalmente una sezione di design, oltre a realizzare una performance itinerante per la città in bicicletta con gli altri membri del gruppo. Dopo lo scioglimento degli UFO (1978), Binazzi continuerà a curarne l’immagine, la produzione e gli archivi. La sua personale attività successiva si articola tra architettura, design e arte, e comprenderà la produzione anche di performance come Ladro d’albergo, Galleria Schema Firenze (1976), Arte v/s Sport, Centro Brera, Milano (1977), Documenta 8 a Kassel (1987), filmati, libri d’artista (La Casa ANAS, Il territorio discontinuo, La ricostruzione radicale dell’universo, Pinocchio triangolare), Radicals, Biennale di Venezia (1996), Working Insider, Meccanotessile Firenze (2003). Come designer partecipa nel 1979 alla fondazione di Alchimia a Milano. Fra le numerose mostre la personale presso Alchimia a Firenze (1981), ‘The italian metamorphosis 1943- 1968, Guggenheim Museum New York (1994),‘Il dolce stil novo della casa’ (1991), ‘Il Design Italiano 1964- 1990, Triennale di Milano (1996). Nel 2011 si tiene al Museo Pecci di Prato una mostra monografica degli UFO dal titolo “UFO STORY” con un catalogo ragionato realizzato per l'occasione.
Il titolo Look Here esorta non soltanto a guardare ma anche a sentire più in generale suggerendo un'esperienza coinvolgente e non distaccata delle cose, evoca quello che accomuna le opere di Fernando Sánchez Castillo, Ingeborg Lüscher e Lapo Binazzi (UFO). I loro lavori colpiscono per una particolare anti-spettacolarità e proprio per questo sorprendono nel momento in cui ci conducono a riflettere sui meccanismi di sedimentazione del concetto di quotidiano, di senso comune e di cosa può essere considerato opera d'arte, progetto di architettura o oggetto di affezione. Oltre alle varie presenze in mostra che suggeriscono un'analisi sul ruolo storico e attuale della scultura, sono presenti una serie di opere fotografiche che testimoniano l'incontro con l'altro nella necessità di svelarlo. In particolare sono da notare le opere che superano i confini tradizionali della pittura oscillando tra rappresentazione e distorsione delle superfici. Questo aspetto appare evidente di fronte ai pannelli di Lapo Binazzi (UFO) che si dispongono nello spazio portando su di essi dipinti dai temi floreali che si mischiano ad una casa ANAS e a un telefono da campo facendo ripensare alle applicazioni delle teorie gestaltiche della Bauhaus e portando l'attenzione su come vengono interpretati i segni e non solo a come sono creati. Questa è la stessa riflessione che è al centro della scelta di Castillo di realizzare dei quadri astratto/gestuali dal titolo Funky Riot o Stock Market le cui macchie sono la copia esatta delle tracce lasciate sui muri dal lancio di bombe di colore o di frutta da parte dei manifestanti a partire dagli anni Sessanta contro il potere costituito. Nel caso dei grandi quadri di Lüscher, scansioni verticali in cui il colore scuro risalta rispetto alle porzioni non di pigmento bensì di zolfo che produce luce invece di simularla, suggeriscono di osservare le cose come parte di un tutto e in relazione alle entità incommensurabili che costituiscono la vita. I dipinti/oggetti appena citati puntano a riflettere sugli strumenti stessi della costituzione e manifestazione di un'immagine: essi non si limitano a riflettere sugli strumenti della pittura, ma indagano come possano essere osservate le tracce delle realtà. L’obiettivo è tramutare l'osservatore in fruitore consapevole delle sue possibilità di interazione con il mondo che lo circonda, sia mediatico che naturale, sia scientifico che istintuale.
Il curatore Lorenzo Bruni, riguardo ai temi comuni che emergono dalla fruizione delle opere dei tre artisti della mostra Look Here, scrive: L'oggetto del 1975 di Lapo Binazzi (UFO), la cui forma rimanda a un coltello, ha la lama fatta di plexiglas colorato che lo rende irreale e fuori dal comune. Sensazione che aumenta quando l'opera è accesa come fosse una lampada: la luce porta a trascendere la sua presenza e a far interagire in maniera disarmante i temi di aggressione e di seduzione come quelli di ordinario e di surreale. Gli stessi temi sono indagati dalla scultura Precettore di Castillo, un giovane albero che sembra appena divelto dal terreno – come testimoniano le radici che appoggiano sul pavimento – il cui tronco spezzato è però ricomposto e salvato con l'aiuto di una canna di bambù che lo sostiene e lo raddrizza. Le minute forme del 1987 di Lüscher, tra il geometrico e il sensuale, ricoperte di zolfo e poste su una base, introducono la relazione tra il concetto di organico e inorganico. Queste opere propongono modalità, differenti nell’apparenza ma simili nelle intenzioni, che si propongono di affrontare il paradosso tra le categorie di macro e micro, di trovato e creato, di visibile e immaginabile. In particolare, se osservate nello stesso ambiente, permettono di ripensare il ruolo della scultura come oggetto e la sua possibilità di manifestarsi come rilascio di energia ed espansione dell'attorno e non soltanto come occupazione di spazio. Da questo punto di vista i lavori presenti in mostra suggeriscono una concezione dell'oggetto-scultura come convivenza inevitabile tra delicatezza e irruenza delle forme in una sospensione che evoca la necessità di un gesto. Quest’ultimo va da quello allegorico di Castillo, evidente nella rottura del giovane albero cristallizzato in un momento che può essere sia di ripresa che di perdita, a quello progettuale di Lapo Binazzi (UFO) che invita a usare l'opera-lampada invece che a guardarla; fino a quello ontologico della Lüscher che, utilizzando lo zolfo, rimanda a un tempo altro, non solo legato al presente.
Ciclo “Connection”
Il ciclo triennale Connection, ideato e curato da Lorenzo Bruni, ha esordito con la mostra dal titolo Iniziamo da qui che faceva il punto su quali fossero le caratteristiche della giovane arte italiana sollevando la necessità di interrogarsi sull'eredità degli anni '90 grazie agli interventi inediti di Vedovamazzei e Cesare Viel. Questo secondo appuntamento propone invece il dialogo fra personali di tre artisti di generazioni differenti, sviluppandosi nei tre livelli della galleria milanese, per riflettere sia sul loro percorso artistico, sia sulle tematiche che hanno affrontato decennio dopo decennio. Questo tipo di scelta punta a superare il modello della mostra collettiva a tema, ma anche di quella personale basata solo sulla presentazione dell'ultima produzione dell’artista coinvolto. L'idea generale, che guida tutto il ciclo, è quella di prediligere artisti capaci di confrontarsi con il contesto in cui vanno a dialogare e le cui opere pongono l’attenzione sulla dimensione processuale per ripensare in maniera radicale alle categorie di astratto e figurativo, oltre che di azione effimera e durata della stessa. Se questa seconda mostra, Look Here, presenta una riflessione sul tema della scultura come innesco di relazione e della pittura come strategia di camouflage con cui dialogare con la realtà, il terzo appuntamento, si svolgerà coinvolgendo sempre tre artisti di fama internazionale e di generazioni differenti, sarà incentrata sul tema del colore come luce e narrazione.
Libro e finissage
In occasione di Look Here sarà realizzato un libro che, oltre che contenere le immagini del dialogo site specific tra opere e contesto, include le interviste a vari intellettuali con cui allargare i temi del dibattito proposto dalle opere. Il libro sarà presentato nel corso della mostra. Le interviste ai protagonisti della mostra e ai critici saranno anche fruibili attraverso i social media.
Fernando Sánchez Castillo (1970, Madrid; vive e lavora a Madrid) realizza dalla fine degli anni '90 sculture, quadri, azioni, video e installazioni dal forte impatto emotivo con cui dà forma concreta al dibattito attorno alla memoria collettiva, emersa nell'era post-ideologica. Studia il rapporto tra arte e potere, tra storia e politica, tra spazio pubblico e privato per riflettere su cosa possano significare, nell'era globale e digitale, le nozioni di utopia, rivoluzione e artista impegnato. Sánchez Castillo per la Biennale di San Paolo del 2004 presenta il video Rich cat in cui una testa in bronzo di un monumento pubblico rimosso era usato per attività sportive mettendo in evidenza con ironia surreale che l'approccio nel corso del ‘900 è sempre stato quello di un'azione di distruzione dei monumenti di potere senza pensare alla creazione di altri monumenti. In una serie di lavori intitolata Barricades, esposti anche al Mart di Rovereto nel 2008 per la mostra curata da Achille Bonito Oliva dal titolo Eurasia, Castillo realizza barricate composte di oggetti vari, trasforma il simbolo della protesta in qualcosa di diverso e problematico attraverso l’impiego del bronzo, materiale con cui normalmente sono costruiti i monumenti espressione del potere. Nel 2005 e nel 2006 è residente alla Rijksakademie van Beeldende Kunsten di Amsterdam, oltre ad aver partecipato al gruppo di ricerca delle Nazioni Unite di Ginevra, PIMPA Memory, Politics and Art Practices. Tra le molte mostre personali si ricordare: Museo statale di architettura Shchusev, Mosca (2019),; Kunstraum Innsbruck (2016,); Sala de Arte Público Siqueiros, Polanco (2016); Museo Stedelijk 's-Hertogenbosch (2016); Centro de Arte Dos de Mayo CA2M, Madrid (2015); OK Centrum Linz (2014); Rabo Kunstzone, Utrecht (2013); Kunstpavillon München (2013); Kunstverein Braunschweig (2012); Matadero Madrid (2012); CAC Malaga (2011).Tra le molte manifestazione collettive di livello internazionale a cui ha preso parte si ricordano: Biennale di Riga (2018); Centro nazionale per le arti contemporanee. Mosca (2016); Today Art Museum Beijing (2016); Biennale Gherdëina (2016); Centraal Museum Utrecht (2016); Manifesta 11 Zürich (2016, CH); Albertinum Dresden (2015); Palais de Tokyo (2015); MOTA Tokyo (2014); Biennale di Goteborg (2013); De Appel Amsterdam (2013) e MAC Marseille (2013).
Ingeborg Lüscher (1936, Löffler, Freiberg; vive e lavora a Tegna) ha adottato dagli anni Sessanta, dopo aver lasciato la sua carriera iniziale di attrice, una pratica multidisciplinare che l’ha portata ad espandere le potenzialità di media come la pittura, la fotografia, le pratiche concettuali, il video e le installazioni. Le sue opere di scultura e pittura incarnano l'idea della trasformazione della materia, per questa ragione impiega spesso materiali non convenzionali di alto valore simbolico come lo zolfo. Inoltre, quando si confronta con la narrazione fotografica o con il display museale punta sempre ad evocare la capacità degli oggetti di conservare la memoria, pur valorizzando una dimensione epifanica del quotidiano con cui osservarlo con lo stupore della prima volta. Questo è evidente sia con la serie fotografica iniziata nel corso degli anni Settanta – e che si configura come un work in progress – dal titolo Magician Photo, in cui in nove scatti disposti a griglia ri-propone gli incontri fatti durante i suoi viaggi; sia con l'opera dal titolo Il cuore sulla via del divenire del 1975, costituita da ciottoli di pietre levigate dall'acqua in cui l’artista interviene con ironico senso classificatorio creando 22 vetrine con varie associazioni. Nel 1999 fece scalpore la sua partecipazione alla Biennale di Venezia, dove presentò il suo lavoro con lo pseudonimo di Ying-Bo, un artista maschio cinese che dava voce, con il video Fei-Ya! Fei-Ya! Fly, Fly (Our Chinese Friends) al grande cambiamento dovuto alla globalizzazione mettendo però in evidenza anche gesti e riti che sono senza tempo. Nella Biennale di Venezia del 2001 invece presenta una ampia installazione con video e fotografie dal titolo Fusion. Tra le molte mostre nazionali e internazionali a cui ha partecipato, dalla sua prima mostra alla Große Kunstausstellung del 1968 alla Haus der Kunst di Monaco, sono da citare Documenta 5, Kassel, del 1972 e Documenta 9 nel 1992, e le Biennali di Venezia del 1980, 1990 e 1999. Nel 2011 le è stato assegnato il Premio Meret Oppenheim. Le mostre personali più recenti si sono svolte al Museums of Paris (ARC 2); Philadelphia (Golden Paley), Moscow (NCCA), Vienna (MAK), Kunstmuseum Luzern, Svizzera, ZKM Center for Art and Media, Karlsruhe, Germania, Hamburger Bahnhof, Berlino, e Situation Kunst (for Max Imdahl) Ruhr University, Bochum. Una vasta retrospettiva è stata realizzata al Museo Mart a Rovereto nel 2004 e al Kunstmuseum Solothurn nel 2016.
Lapo Binazzi (UFO), (1943, Firenze; vive e lavora a Firenze) è tra i fondatori nel 1967 del gruppo UFO (1967-1978) con cui contribuisce alla sperimentazione ‘radical’ italiana e con cui propone un nuovo modo di concepire l'architettura portando maggiore attenzione sui temi del contesto sociale e del dialogo con i nuovi mezzi di comunicazione. La particolarità delle loro riflessioni porta a proporre opere di tipo performativo al limite con gli happening e a creare una visione in cui moderno e post-moderno (che ancora si deve affacciare nel mondo dell'arte) non sono in opposizione. Tra le azioni più significative sono da ricordare quella del 1968 dal titolo Urboeffimero in cui interagiscono sia con una manifestazione studentesca che con l'architettura rinascimentale classica della città di Firenze producendo un video, e quella del 1973 dal titolo Ipotesi di sopravvivenza realizzata nella campagna toscana producendo una serie di immagini fotografiche, tra cui quella usata per una copertina della rivista Casabella dell'anno successivo. Tra gli arredi famosi sono da ricordare il ristorante Sherwood del 1969 a Firenze e la discoteca Bamba Issa dello stesso anno a Forte dei Marmi. Lapo Binazzi con gli UFO è tra i fondatori nel 1973 della Global Tools e nel 1975 fonda l’atelier-laboratorio di nuovo artigianato Casa ANAS, in cui vengono create piccole serie e pezzi unici di lampade ora presenti nelle collezioni dei più importanti musei internazionali: fra queste le lampade Dollaro, Paramount, MGM (1969), Ago e Rocchetto (1975), e le Lampade al Neon (1975). Con il gruppo UFO parteciperà a numerose mostre internazionali come La Triennale di Milano (1968) e (1973), la Biennale di Parigi (1971), Design als Postulat di Berlino (1973), la Biennale di Venezia (1978), Design by Circumstances di New York (1981). Per la mostra Contemporanea a Roma (1974) curerà personalmente una sezione di design, oltre a realizzare una performance itinerante per la città in bicicletta con gli altri membri del gruppo. Dopo lo scioglimento degli UFO (1978), Binazzi continuerà a curarne l’immagine, la produzione e gli archivi. La sua personale attività successiva si articola tra architettura, design e arte, e comprenderà la produzione anche di performance come Ladro d’albergo, Galleria Schema Firenze (1976), Arte v/s Sport, Centro Brera, Milano (1977), Documenta 8 a Kassel (1987), filmati, libri d’artista (La Casa ANAS, Il territorio discontinuo, La ricostruzione radicale dell’universo, Pinocchio triangolare), Radicals, Biennale di Venezia (1996), Working Insider, Meccanotessile Firenze (2003). Come designer partecipa nel 1979 alla fondazione di Alchimia a Milano. Fra le numerose mostre la personale presso Alchimia a Firenze (1981), ‘The italian metamorphosis 1943- 1968, Guggenheim Museum New York (1994),‘Il dolce stil novo della casa’ (1991), ‘Il Design Italiano 1964- 1990, Triennale di Milano (1996). Nel 2011 si tiene al Museo Pecci di Prato una mostra monografica degli UFO dal titolo “UFO STORY” con un catalogo ragionato realizzato per l'occasione.
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