La voce delle ombre: presenze africane nell'arte dell'Italia settentrionale (XVI-XIX sec.)
Dal 13 Maggio 2022 al 18 Settembre 2022
Milano
Luogo: MUDEC-Museo delle Culture
Indirizzo: Via Tortona 56
Orari: Lun 14.30 ‐19.30 | Mar, Mer, Ven, Dom 09.30 ‐ 19.30 | Gio, Sab 9.30‐22.30
Curatori: Luca Tosi, Carolina Orsini, Sara Rizzo
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 54917
Sito ufficiale: http://www.mudec.it
Il Museo delle Culture di Milano apre al pubblico a partire da venerdì 13 maggio 2022 la mostra antropologica “La Voce delle Ombre. Presenze africane nell’arte dell’Italia settentrionale”, una delle prime esposizioni in Italia sull'argomento.
La mostra, a cura del personale scientifico del Mudec, indaga i modi della rappresentazione artistica di uomini e donne originarie del continente africano nel nord Italia fra XVI e XIX secolo, e si inserisce nel progetto di ricerca più ampio iniziato con il riallestimento della collezione permanente del museo.
La mostra si configura come un primo tentativo di individuare modalità differenti di raffigurazione dell’altro, svelando canoni e cliché di questa tipologia di immagini e cercando di restituire a queste figure un’identità attraverso il recupero delle loro vicende umane e del ruolo che ricoprivano nella società dell’epoca. Attraverso l’esposizione di opere di diverso genere, provenienti da importanti istituzioni pubbliche e private, sarà dunque possibile riflettere sulla percezione e rappresentazione dell’alterità, distinguendo i personaggi storici da quelli mitici, gli stereotipi dalle persone reali.
Accostando le testimonianze documentarie, costituite anche dalle opere stesse presenti in mostra, agli studi del comitato scientifico (ampiamente documentati nel catalogo edito da Silvana Editoriale) è stato possibile comprendere la variabilità delle occasioni in cui le persone di origine africana giungevano in Nord Italia – in prevalenza attraverso la tratta del Mediterraneo – e con finalità – per lo più di servitù domestica – legate anche a ragioni extra economiche e di prestigio sociale.
IL PERCORSO ESPOSITIVO.
Il percorso espositivo si colloca nelle Sale Focus del museo e si dipana in sezioni, incentrate sulle diverse modalità di rappresentazione delle persone nere.
L’allestimento (curato dallo studio Origoni Steiner) si configura attraverso un evocativo dualismo cromatico bianco/nero ed elementi grafici minimali, che aiutano a sottolineare il peso delle figure nere all’interno di ciascuna opera, accompagnando il visitatore nella lettura delle opere esposte.
Apre la mostra un documento proveniente dall’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo, che attesta l’acquisto di uno schiavo nero di quattro anni, Dionisio, da parte del nobile Gaspare Ambrogio Visconti, nel 1486. È il testo stesso, con i suoi elementi intrinseci, a far comprendere al pubblico come la schiavitù, pur presente nel territorio milanese, non fosse a quel tempo così diffusa.
Nella prima sezione, Ombre senza voce, le presenze di origine africana sono servitori all’ombra dei loro signori, inserite nelle opere quasi come un accessorio. Il capostipite iconografico è il Ritratto di Laura Dianti con giovane servitore realizzato da Tiziano, a cui si rifà Aegidius Sadeler II per l’incisione (1600-1627 circa) di medesimo soggetto, presente in mostra. La serie gode di lunga fortuna, come testimonia il doppio ritratto del Conte Manara con il suo servitore etiope (1842), scelto come immagine guida della mostra.
L’esposizione prosegue con la sezione Leggenda e tradizione, dedicata alle opere che documentano come nell’immaginario visivo di artisti e committenti italiani fossero presenti figure originarie dell’Africa, questa volta centrali nella rappresentazione, laddove vengono raffigurati personaggi straordinari, come nel caso del magio nero (come nell’Adorazione dei Magi di Genovesino, in mostra) o della domestica di Giuditta. Sono soggetti rappresentati anche in quei primi volumi che tentano di catalogare un’ampia gamma di costumi regionali e internazionali di popoli lontani, come l’Æthiopissa nel volume di Enea Vico Diversarum gentium nostrae aetatis habitus (1558), esposto in mostra.
In carne e ossa è il titolo della terza sezione, nella quale sono esposte le opere dove il corpo nero è finalmente protagonista, come nel caso di Muley Xeque (1566-1621), Don Filippo d’Austria, Infante d’Africa e Principe del Marocco, convertitosi al cristianesimo e quindi diventato una sorta di simbolo contro gli infedeli, e di Andrea Aguyar, ex schiavo uruguaiano che seguì Garibaldi in Italia e partecipò ai fatti della Repubblica Romana nel 1849, nobilitato dalla partecipazione all’epopea risorgimentale. Entrambi sono rappresentati in mostra con volumi e documenti visivi d’archivio.
La mostra si chiude con la sezione a cura di Theophilus Imani, ricercatore visivo italiano di origine ghanese, con la serie di dittici fotografici Echi e Accordi. Accostando, attraverso una sorta di sinestesia visiva, dettagli di dipinti antichi europei ad opere fotografiche contemporanee di autori neri, Imani ridona significato a immagini classiche del passato, problematizza lo stereotipo e rimette al centro le persone.
L'esposizione vuole essere un primo passo di un percorso di ricerca su un tema complesso, dalle molteplici implicazioni sociali. Come scrive la Direttrice del Mudec Marina Pugliese, “dar voce alle ombre vuol dire iniziare a risarcire le mancanze e tendere verso una articolazione tanto complessa quanto necessaria sia negli studi storico artistici sia, più in generale, nella percezione collettiva delle immagini”.
La mostra, a cura del personale scientifico del Mudec, indaga i modi della rappresentazione artistica di uomini e donne originarie del continente africano nel nord Italia fra XVI e XIX secolo, e si inserisce nel progetto di ricerca più ampio iniziato con il riallestimento della collezione permanente del museo.
La mostra si configura come un primo tentativo di individuare modalità differenti di raffigurazione dell’altro, svelando canoni e cliché di questa tipologia di immagini e cercando di restituire a queste figure un’identità attraverso il recupero delle loro vicende umane e del ruolo che ricoprivano nella società dell’epoca. Attraverso l’esposizione di opere di diverso genere, provenienti da importanti istituzioni pubbliche e private, sarà dunque possibile riflettere sulla percezione e rappresentazione dell’alterità, distinguendo i personaggi storici da quelli mitici, gli stereotipi dalle persone reali.
Accostando le testimonianze documentarie, costituite anche dalle opere stesse presenti in mostra, agli studi del comitato scientifico (ampiamente documentati nel catalogo edito da Silvana Editoriale) è stato possibile comprendere la variabilità delle occasioni in cui le persone di origine africana giungevano in Nord Italia – in prevalenza attraverso la tratta del Mediterraneo – e con finalità – per lo più di servitù domestica – legate anche a ragioni extra economiche e di prestigio sociale.
IL PERCORSO ESPOSITIVO.
Il percorso espositivo si colloca nelle Sale Focus del museo e si dipana in sezioni, incentrate sulle diverse modalità di rappresentazione delle persone nere.
L’allestimento (curato dallo studio Origoni Steiner) si configura attraverso un evocativo dualismo cromatico bianco/nero ed elementi grafici minimali, che aiutano a sottolineare il peso delle figure nere all’interno di ciascuna opera, accompagnando il visitatore nella lettura delle opere esposte.
Apre la mostra un documento proveniente dall’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo, che attesta l’acquisto di uno schiavo nero di quattro anni, Dionisio, da parte del nobile Gaspare Ambrogio Visconti, nel 1486. È il testo stesso, con i suoi elementi intrinseci, a far comprendere al pubblico come la schiavitù, pur presente nel territorio milanese, non fosse a quel tempo così diffusa.
Nella prima sezione, Ombre senza voce, le presenze di origine africana sono servitori all’ombra dei loro signori, inserite nelle opere quasi come un accessorio. Il capostipite iconografico è il Ritratto di Laura Dianti con giovane servitore realizzato da Tiziano, a cui si rifà Aegidius Sadeler II per l’incisione (1600-1627 circa) di medesimo soggetto, presente in mostra. La serie gode di lunga fortuna, come testimonia il doppio ritratto del Conte Manara con il suo servitore etiope (1842), scelto come immagine guida della mostra.
L’esposizione prosegue con la sezione Leggenda e tradizione, dedicata alle opere che documentano come nell’immaginario visivo di artisti e committenti italiani fossero presenti figure originarie dell’Africa, questa volta centrali nella rappresentazione, laddove vengono raffigurati personaggi straordinari, come nel caso del magio nero (come nell’Adorazione dei Magi di Genovesino, in mostra) o della domestica di Giuditta. Sono soggetti rappresentati anche in quei primi volumi che tentano di catalogare un’ampia gamma di costumi regionali e internazionali di popoli lontani, come l’Æthiopissa nel volume di Enea Vico Diversarum gentium nostrae aetatis habitus (1558), esposto in mostra.
In carne e ossa è il titolo della terza sezione, nella quale sono esposte le opere dove il corpo nero è finalmente protagonista, come nel caso di Muley Xeque (1566-1621), Don Filippo d’Austria, Infante d’Africa e Principe del Marocco, convertitosi al cristianesimo e quindi diventato una sorta di simbolo contro gli infedeli, e di Andrea Aguyar, ex schiavo uruguaiano che seguì Garibaldi in Italia e partecipò ai fatti della Repubblica Romana nel 1849, nobilitato dalla partecipazione all’epopea risorgimentale. Entrambi sono rappresentati in mostra con volumi e documenti visivi d’archivio.
La mostra si chiude con la sezione a cura di Theophilus Imani, ricercatore visivo italiano di origine ghanese, con la serie di dittici fotografici Echi e Accordi. Accostando, attraverso una sorta di sinestesia visiva, dettagli di dipinti antichi europei ad opere fotografiche contemporanee di autori neri, Imani ridona significato a immagini classiche del passato, problematizza lo stereotipo e rimette al centro le persone.
L'esposizione vuole essere un primo passo di un percorso di ricerca su un tema complesso, dalle molteplici implicazioni sociali. Come scrive la Direttrice del Mudec Marina Pugliese, “dar voce alle ombre vuol dire iniziare a risarcire le mancanze e tendere verso una articolazione tanto complessa quanto necessaria sia negli studi storico artistici sia, più in generale, nella percezione collettiva delle immagini”.
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