Ivo Saglietti. Cacciatori di cibo. Haiti, a noi così vicina, così lontana dal Cielo
Dal 24 Aprile 2015 al 23 Maggio 2015
Milano
Luogo: Galleria San Fedele
Indirizzo: via Hoepli 3/b
Curatori: Andrea Dall’Asta SJ, Stefano Femminis
Telefono per informazioni: +39 02.86352233
E-Mail info: chiara.cardini@sanfedele.net
Sito ufficiale: http://www.sanfedele.net 
In questi ultimi mesi, non si fa che parlare di Expo, di nutrire il pianeta, di cibo, di sapori e di profumi. Tra maggio e ottobre, parteciperemo a un’esilarante festa del gusto e del palato, a un’immensa kermesse, dove tutti saremo invitati ad applaudire prodotti raffinati e sostenibili, sentendoci coinvolti nell’avere contribuito in qualche modo alla salvaguardia del nostro così tormentato pianeta… Riusciremo a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, rispettando così la terra e i suoi equilibri?
Più difficile è tuttavia parlare di cibo nelle zone dimenticate del mondo, nelle periferie geografiche, nei posti marginali, considerati insignificanti e privi d’interesse. Come a Haiti. Non tutti conoscono questa piccola «realtà ». Un tempo colonia francese, è stata una delle prime nazioni americane a dichiarare la propria indipendenza. Bagnato dall’Oceano Atlantico e dal Mare dei Caraibi, il suo territorio copre la parte occidentale di una grande isola, confinando a est con la Repubblica Dominicana. Haiti è il paese tra i più poveri delle Americhe, meglio, del mondo. Stretta tra un micidiale vento, soffocata da un clima infelice e da dittature spietate, tra devastanti inondazioni, tra malattie, epidemie e terremoti, senza risorse economiche o minerarie che possano avere un qualche interesse per l’Occidente, appare dimenticato, cancellato dalla cartina geografica, ricordato solo per qualche catastrofe che ricorda la sua presenza, suscitando una pietà passeggera per la povera gente inerte di fronte a un tragico destino.
Il fotografo Ivo Saglietti, vincitore per ben tre volte del World Press Photo, si reca nel 1995 a Haiti, quando una forza multinazionale «occupa» il paese, per portare «Libertà, Pace e Democrazia». Ci sarà finalmente qualcuno che si occupa di questo paese collocato ai margini del mondo? Questo ingresso «umanitario» rivela ben presto, dietro un’apparente quanto improbabile gratuità, una drammatica verità. Un giorno, Saglietti, seguendo un gruppo di mezzi militari americani, giunge a un immenso immondezzaio, dove l’Occidente scarica i propri rifiuti. La visione che si dischiude al fotografo assume toni apocalittici. Due enormi camion di spazzatura si arrestano in uno spazio sconfinato. Con movimenti lenti e decisi, come due Leviatani dalle immense fauci dai quali rigurgitano il male del mondo, aprono la loro bocca, vomitando quanto ingoiato. I giganteschi portelloni di questi mostri terrestri comincino quindi a scaricare montagne di spazzatura maleodorante: dai resti di hamburger alle bottigliette d’acqua mezze vuote, dalle lattine di coca cola ai cartoni di latte, alla frutta marcia. Tutti gli scarti della terra sembrano accumularsi, accatastarsi e concentrarsi in quel luogo, nel fetore putrido e malsano, sotto il rigoroso controllo dei soldati americani che vegliano come attente e impeccabili sentinelle alla regolarità di tutte le operazioni. L’imprevedibile deve tuttavia ancora accadere. Di colpo, come se fossero stati «scaricati» splendidi doni da un cielo benefico e magnanimo, come in una discesa della manna dal cielo, un migliaio di ragazzi, di donne e di bambini si gettano furiosamente su queste orrende montagne. Inizia allora la caccia al cibo e a quanto può ancora servire. Una guerra tra poveri si scatena. Un groviglio di corpi fluttua misteriosamente, all’inseguimento affannoso di qualche pregevole spazzatura. Saglietti, con uno sguardo attento e sofferto allo stesso tempo, riprende i momenti salienti di questa drammatica lotta alla sopravvivenza. Ritrae scene orrende, che fanno emergere sdegno, rabbia, indignazione. Dolore. Dall’arrivo dei camion allo scarico della spazzatura, al «tuffo» umano sui rifiuti, alla ripresa di montagne letteralmente ripulite, alla triste immagine di un cane morto… tutto si presenta con toni sconcertanti e irreali. Più che mettere in rilievo l’orrore che suscita la visione, il fotografo fa tuttavia emergere la pietas verso un mondo negato nel suo diritto alla vita. In questo spettacolo osceno, una luce illumina i diversi scatti, accendendo la bellezza dei volti, la vitalità dei corpi, il sorriso dei bambini, come se la dignità umana, pur calpestata e offesa, non potrà mai essere né cancellata né negata.
E le ferite continuano, così come i falsi aiuti che troppo spesso non fanno che arricchire i «ricchi», con stipendi favolosi, «fingendo» di aiutare i poveri… Già, tutto continua, come sempre, anche oggi, con la violenza, le malattie, gli orfani e… gli immondezzai.
A.D.
Più difficile è tuttavia parlare di cibo nelle zone dimenticate del mondo, nelle periferie geografiche, nei posti marginali, considerati insignificanti e privi d’interesse. Come a Haiti. Non tutti conoscono questa piccola «realtà ». Un tempo colonia francese, è stata una delle prime nazioni americane a dichiarare la propria indipendenza. Bagnato dall’Oceano Atlantico e dal Mare dei Caraibi, il suo territorio copre la parte occidentale di una grande isola, confinando a est con la Repubblica Dominicana. Haiti è il paese tra i più poveri delle Americhe, meglio, del mondo. Stretta tra un micidiale vento, soffocata da un clima infelice e da dittature spietate, tra devastanti inondazioni, tra malattie, epidemie e terremoti, senza risorse economiche o minerarie che possano avere un qualche interesse per l’Occidente, appare dimenticato, cancellato dalla cartina geografica, ricordato solo per qualche catastrofe che ricorda la sua presenza, suscitando una pietà passeggera per la povera gente inerte di fronte a un tragico destino.
Il fotografo Ivo Saglietti, vincitore per ben tre volte del World Press Photo, si reca nel 1995 a Haiti, quando una forza multinazionale «occupa» il paese, per portare «Libertà, Pace e Democrazia». Ci sarà finalmente qualcuno che si occupa di questo paese collocato ai margini del mondo? Questo ingresso «umanitario» rivela ben presto, dietro un’apparente quanto improbabile gratuità, una drammatica verità. Un giorno, Saglietti, seguendo un gruppo di mezzi militari americani, giunge a un immenso immondezzaio, dove l’Occidente scarica i propri rifiuti. La visione che si dischiude al fotografo assume toni apocalittici. Due enormi camion di spazzatura si arrestano in uno spazio sconfinato. Con movimenti lenti e decisi, come due Leviatani dalle immense fauci dai quali rigurgitano il male del mondo, aprono la loro bocca, vomitando quanto ingoiato. I giganteschi portelloni di questi mostri terrestri comincino quindi a scaricare montagne di spazzatura maleodorante: dai resti di hamburger alle bottigliette d’acqua mezze vuote, dalle lattine di coca cola ai cartoni di latte, alla frutta marcia. Tutti gli scarti della terra sembrano accumularsi, accatastarsi e concentrarsi in quel luogo, nel fetore putrido e malsano, sotto il rigoroso controllo dei soldati americani che vegliano come attente e impeccabili sentinelle alla regolarità di tutte le operazioni. L’imprevedibile deve tuttavia ancora accadere. Di colpo, come se fossero stati «scaricati» splendidi doni da un cielo benefico e magnanimo, come in una discesa della manna dal cielo, un migliaio di ragazzi, di donne e di bambini si gettano furiosamente su queste orrende montagne. Inizia allora la caccia al cibo e a quanto può ancora servire. Una guerra tra poveri si scatena. Un groviglio di corpi fluttua misteriosamente, all’inseguimento affannoso di qualche pregevole spazzatura. Saglietti, con uno sguardo attento e sofferto allo stesso tempo, riprende i momenti salienti di questa drammatica lotta alla sopravvivenza. Ritrae scene orrende, che fanno emergere sdegno, rabbia, indignazione. Dolore. Dall’arrivo dei camion allo scarico della spazzatura, al «tuffo» umano sui rifiuti, alla ripresa di montagne letteralmente ripulite, alla triste immagine di un cane morto… tutto si presenta con toni sconcertanti e irreali. Più che mettere in rilievo l’orrore che suscita la visione, il fotografo fa tuttavia emergere la pietas verso un mondo negato nel suo diritto alla vita. In questo spettacolo osceno, una luce illumina i diversi scatti, accendendo la bellezza dei volti, la vitalità dei corpi, il sorriso dei bambini, come se la dignità umana, pur calpestata e offesa, non potrà mai essere né cancellata né negata.
E le ferite continuano, così come i falsi aiuti che troppo spesso non fanno che arricchire i «ricchi», con stipendi favolosi, «fingendo» di aiutare i poveri… Già, tutto continua, come sempre, anche oggi, con la violenza, le malattie, gli orfani e… gli immondezzai.
A.D.
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