Gabriele Poli. Laocoonte metafora dell'uomo contemporaneo / Persone. Scarlett
Dal 24 Gennaio 2013 al 15 Febbraio 2013
Milano
Luogo: Spazio Tadini
Indirizzo: via Jommelli 24
Orari: da martedì a sabato 15.30-19
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 26829749/ 366 4584532
E-Mail info: ms@spaziotadini.it
Sito ufficiale: http://spaziotadini.wordpress.com
Gabriele Poli. Laocoonte metafora dell'uomo contemporaneo
Ritorna a Spazio Tadini l’opera pittorica di Gabriele Poli sempre con un d’apré di un’opera del passato, così come fece nel 2009 con la mostra La Medusa delle periferie, reinterpretazione de La zattera della Medusa di Géricault. Questa volta l’artista propone un’opera che trae ispirazione dalla scultura Laocoonte attribuita secondo la maggior parte delle fonti, all’epoca ellenistica. Una rilettura di questo lavoro, che l’artista vede avulsa dal suo significato mitologico, perché la erge ad emblema della lotta dell’uomo contemporaneo imprigionato da una cultura dominante, rappresentata dal serpentone, che avvolge e avvinghia lui e i suoi figli, in cui il denaro, l’attaccamento ai beni materiali, l’incomunicabilità sono solo alcuni degli elementi che potrebbero distruggere l’uomo e il suo futuro.
“Elasticità” del Laocoonte
Luca Pietro Nicoletti, critico
Gabriele Poli non è nuovo alle pratiche di reinterpretazione di opere del passato: dopo le Muse dello Studiolo di Belfiore e soprattutto dopo la grande tela in omaggio a Géricault, (La zattera della medusa ndr) ora è il turno di un’opera di scultura. E’ anche il momento di un forte salto a ritroso, poiché il Laocoonte è l’opera cronologicamente più antica che abbia attirato la sua attenzione.
Il procedimento è sempre lo stesso: una serie di disegni di studio, dalla copia al disegno a memoria fino alla reinterpretazione. Sono disegni di sintesi nati per appropriarsi della composizione e per mettere a punto una adeguata restituzione pittorica di un modello a tuttotondo. In definitiva, il suo è stato un doppio lavoro di traduzione: dalla forma plastica alla dimensione del quadro, e da questa al proprio vocabolario personale, con la complicazione di dover trasporre in linea, tono e colore (o in monocromia) una forma che non ha colore.
Sarebbe sciocco, a questo punto, anche se la tentazione è presente, instaurare un confronto fra pittura e scultura, o una eventuale competizione fra le due, in virtù delle ricerche materiche di Poli, poiché nulla era più lontano da lui del voler fare un rilievo in pasta acrilica: il suo Laocoonte, in fondo, è un vettore di tensioni contrapposte: era un moto tormentato, estraneo però anche alle questioni poste da Lessig in merito al gruppo antico. Piuttosto una particolare predisposizione d’animo e le contingenze biografiche, a fargli scoprire (e riscoprire) quel dramma sotterraneo, quella tensione fino allo spasimo del sacerdote troiano avvinto dai mostri marini. Non gli interessava, tuttavia, la narrazione mitologica, quanto lo specifico della rappresentazione, del movimento, e il suo dinamismo. Oppure, di quel mito, estrapolava un significato metaforico, cioè quel dramma che, scrive l’artista stesso, «io individuo anche nell’incomunicabilità, paradosso dell’attuale mondo della comunicazione che come il serpentone ci circonda e ci isola ». In tal senso, Poli effettua una traduzione di impianto futurista: ha scomposto il movimento e lo ha trasposto nelle sue linee di forza. In questo modo il gruppo scultoreo si è come rianimato, e il suo movimento ha quella “elasticità” di dinamismo cromo-luministico che era ignota alla statuaria antica.
Persone. Scarlett
L’obiettivo fotografico può guardare fino a privare l’occhio dell’incanto della visione? Per la fotografa parigina Persone non vi è alcun dubbio. Con la sua macchina fotografica indaga la materia e cerca di svelarne il tradimento dovuto alla visione oculare che, non potendo prescindere dall’emotività, è condizionata da forti elementi culturali.
Lo stesso pseudonimo scelto dalla fotografa, in francese Persone, in italiano persona, manifesta l’interesse per questa area d’indagine che analizza il rapporto tra l’iconografia del soggetto/oggetto e la sua collocazione nel contesto sociale. Persona in latino significa maschera e il suo significato ha più relazione con l’apparire che con l’essere. Possiamo definire questa artista dell’obiettivo un’esploratrice della maschera e quindi della persona.
Nella mostra SCARLETT, la fotografa parigina riesce a far sembrare donne dei semplici manichini. Le foto tradiscono lo sguardo. Le luci studiate ad hoc, le inquadrature ravvicinate e le ombre non rendono immediatamente percettibile l’inganno e le bambole sembrano avere un corpo vero e anche un’anima, ovvero un’identità e un potere di comunicazione che, in realtà, è solo frutto delle nostre proiezioni emotive suggerite da pose e luci. Cosa le differenzia rispetto alle donne delle copertine dei giornali patinati? Poco. La perfezione e la “contraffazione” dei corpi delle modelle è evidente tanto da far appartenere i loro corpi non più appartenere a delle persone, ma alla società. I loro corpi sono un involucro plasmato a immagine e somiglianza di un modello, di uno stereotipo, di un simulacro, di una bambola comunemente riconosciuta e costruita secondo le mode del momento. Ma perché mai le donne vorrebbero sembrare delle bambole, quando, guardando le foto di Persone, le stesse bambole riescono a dare emozioni da copertina? Forse perché l’umano si lascia affascinare dall’impossibile, da ciò che lo trascende. Per l’uomo è bello il gioco di avvicinarci al “perfetto” tanto da disinteressarsi al vero. Gli ultimi anni della nostra storia ci hanno spinto, illudendoci, verso un eterno progresso. La tecnologia e la scienza ci hanno fatto credere nella possibilità di avvicinarsi a una sorta di immortalità e ci siamo lasciati incantare più dal falso che dal vero. Abbiamo accentuato questo tendere verso la perfezione e cercato di somigliare a modelli così perfetti che, in quanto tali, sono privi di vita e di morte. Oggi non è più così. Oggi forse l’antropocentrismo sta lasciando il posto al bisogno di un nuovo equilibrio tra l’uomo e la natura. Non è forse un caso che lo stesso lavoro di Persone sia cominciato dall’esplorazione dei ghiacciai.
Il suo primo lavoro importante è infatti iniziato con una serie di fotografie sul ghiaccio, analizzato attraverso luci artificiali, fino a rivelarne le metamorfosi dell’acqua in controluce. Le foto così prodotte rendono quasi irriconoscibile l’immobilità del ghiaccio visibile ad occhio nudo, perché ne rivelano la dinamicità interna alla materia di cui sono fatti. Queste foto sembrano paesaggi surreali, composizioni astratte di estrema suggestione visiva e profondità. Anche in questo caso l’intento era andare oltre l’apparenza della visione, oltre la maschera e la suggestione emotiva, per scoprire la loro natura, la loro storia e il rischio che oggi potrebbe affrontare il pianeta dallo scioglimento delle calotte polari perchè non sono semplice acqua né apparentemente materia inerte, ma corpo “dormiente”.
Ritorna a Spazio Tadini l’opera pittorica di Gabriele Poli sempre con un d’apré di un’opera del passato, così come fece nel 2009 con la mostra La Medusa delle periferie, reinterpretazione de La zattera della Medusa di Géricault. Questa volta l’artista propone un’opera che trae ispirazione dalla scultura Laocoonte attribuita secondo la maggior parte delle fonti, all’epoca ellenistica. Una rilettura di questo lavoro, che l’artista vede avulsa dal suo significato mitologico, perché la erge ad emblema della lotta dell’uomo contemporaneo imprigionato da una cultura dominante, rappresentata dal serpentone, che avvolge e avvinghia lui e i suoi figli, in cui il denaro, l’attaccamento ai beni materiali, l’incomunicabilità sono solo alcuni degli elementi che potrebbero distruggere l’uomo e il suo futuro.
“Elasticità” del Laocoonte
Luca Pietro Nicoletti, critico
Gabriele Poli non è nuovo alle pratiche di reinterpretazione di opere del passato: dopo le Muse dello Studiolo di Belfiore e soprattutto dopo la grande tela in omaggio a Géricault, (La zattera della medusa ndr) ora è il turno di un’opera di scultura. E’ anche il momento di un forte salto a ritroso, poiché il Laocoonte è l’opera cronologicamente più antica che abbia attirato la sua attenzione.
Il procedimento è sempre lo stesso: una serie di disegni di studio, dalla copia al disegno a memoria fino alla reinterpretazione. Sono disegni di sintesi nati per appropriarsi della composizione e per mettere a punto una adeguata restituzione pittorica di un modello a tuttotondo. In definitiva, il suo è stato un doppio lavoro di traduzione: dalla forma plastica alla dimensione del quadro, e da questa al proprio vocabolario personale, con la complicazione di dover trasporre in linea, tono e colore (o in monocromia) una forma che non ha colore.
Sarebbe sciocco, a questo punto, anche se la tentazione è presente, instaurare un confronto fra pittura e scultura, o una eventuale competizione fra le due, in virtù delle ricerche materiche di Poli, poiché nulla era più lontano da lui del voler fare un rilievo in pasta acrilica: il suo Laocoonte, in fondo, è un vettore di tensioni contrapposte: era un moto tormentato, estraneo però anche alle questioni poste da Lessig in merito al gruppo antico. Piuttosto una particolare predisposizione d’animo e le contingenze biografiche, a fargli scoprire (e riscoprire) quel dramma sotterraneo, quella tensione fino allo spasimo del sacerdote troiano avvinto dai mostri marini. Non gli interessava, tuttavia, la narrazione mitologica, quanto lo specifico della rappresentazione, del movimento, e il suo dinamismo. Oppure, di quel mito, estrapolava un significato metaforico, cioè quel dramma che, scrive l’artista stesso, «io individuo anche nell’incomunicabilità, paradosso dell’attuale mondo della comunicazione che come il serpentone ci circonda e ci isola ». In tal senso, Poli effettua una traduzione di impianto futurista: ha scomposto il movimento e lo ha trasposto nelle sue linee di forza. In questo modo il gruppo scultoreo si è come rianimato, e il suo movimento ha quella “elasticità” di dinamismo cromo-luministico che era ignota alla statuaria antica.
Persone. Scarlett
L’obiettivo fotografico può guardare fino a privare l’occhio dell’incanto della visione? Per la fotografa parigina Persone non vi è alcun dubbio. Con la sua macchina fotografica indaga la materia e cerca di svelarne il tradimento dovuto alla visione oculare che, non potendo prescindere dall’emotività, è condizionata da forti elementi culturali.
Lo stesso pseudonimo scelto dalla fotografa, in francese Persone, in italiano persona, manifesta l’interesse per questa area d’indagine che analizza il rapporto tra l’iconografia del soggetto/oggetto e la sua collocazione nel contesto sociale. Persona in latino significa maschera e il suo significato ha più relazione con l’apparire che con l’essere. Possiamo definire questa artista dell’obiettivo un’esploratrice della maschera e quindi della persona.
Nella mostra SCARLETT, la fotografa parigina riesce a far sembrare donne dei semplici manichini. Le foto tradiscono lo sguardo. Le luci studiate ad hoc, le inquadrature ravvicinate e le ombre non rendono immediatamente percettibile l’inganno e le bambole sembrano avere un corpo vero e anche un’anima, ovvero un’identità e un potere di comunicazione che, in realtà, è solo frutto delle nostre proiezioni emotive suggerite da pose e luci. Cosa le differenzia rispetto alle donne delle copertine dei giornali patinati? Poco. La perfezione e la “contraffazione” dei corpi delle modelle è evidente tanto da far appartenere i loro corpi non più appartenere a delle persone, ma alla società. I loro corpi sono un involucro plasmato a immagine e somiglianza di un modello, di uno stereotipo, di un simulacro, di una bambola comunemente riconosciuta e costruita secondo le mode del momento. Ma perché mai le donne vorrebbero sembrare delle bambole, quando, guardando le foto di Persone, le stesse bambole riescono a dare emozioni da copertina? Forse perché l’umano si lascia affascinare dall’impossibile, da ciò che lo trascende. Per l’uomo è bello il gioco di avvicinarci al “perfetto” tanto da disinteressarsi al vero. Gli ultimi anni della nostra storia ci hanno spinto, illudendoci, verso un eterno progresso. La tecnologia e la scienza ci hanno fatto credere nella possibilità di avvicinarsi a una sorta di immortalità e ci siamo lasciati incantare più dal falso che dal vero. Abbiamo accentuato questo tendere verso la perfezione e cercato di somigliare a modelli così perfetti che, in quanto tali, sono privi di vita e di morte. Oggi non è più così. Oggi forse l’antropocentrismo sta lasciando il posto al bisogno di un nuovo equilibrio tra l’uomo e la natura. Non è forse un caso che lo stesso lavoro di Persone sia cominciato dall’esplorazione dei ghiacciai.
Il suo primo lavoro importante è infatti iniziato con una serie di fotografie sul ghiaccio, analizzato attraverso luci artificiali, fino a rivelarne le metamorfosi dell’acqua in controluce. Le foto così prodotte rendono quasi irriconoscibile l’immobilità del ghiaccio visibile ad occhio nudo, perché ne rivelano la dinamicità interna alla materia di cui sono fatti. Queste foto sembrano paesaggi surreali, composizioni astratte di estrema suggestione visiva e profondità. Anche in questo caso l’intento era andare oltre l’apparenza della visione, oltre la maschera e la suggestione emotiva, per scoprire la loro natura, la loro storia e il rischio che oggi potrebbe affrontare il pianeta dallo scioglimento delle calotte polari perchè non sono semplice acqua né apparentemente materia inerte, ma corpo “dormiente”.
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