Elena el Asmar. Spargo, Lancio, Divido, Cospargo
Dal 10 Maggio 2018 al 13 Luglio 2018
Milano
Luogo: Galleria Bianconi
Indirizzo: via Lecco 20
Orari: Lunedì - Venerdì 10:30-13 / 14:30-18:30. Sabato su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 02 22228336
E-Mail info: info@galleriabianconi.com
Sito ufficiale: http://www.galleriabianconi.com
Elena El Asmar. L’invenzione della memoria
Testo di Pietro Gaglianò
“I began with no memory,
I began with no future,
But I looked for that moment
When the mind was halved by an horizon.”
Derek Walcott, Names
a oriente, forse
Il mondo cantato da Derek Walcott, l’Omero dei Caraibi, è fatto di corpi mulatti, lingua creola e paesaggi che si congiungono in un punto non preciso, attraversando l’oceano da sponde opposte; le sue visioni, come quelle di tutti gli sradicati, i meticci e gli autentici viaggiatori, descrivono qualcosa che non ha vera cittadinanza in un altro luogo e in un altro tempo ma è provvisto di una sostanza difficilmente nominabile, una quiddità, che non conosce “il gemito della storia” ma appartiene al qui e ora. È la stessa qualità che pertiene a ogni esperienza dell’arte, tanto al suo concepimento quanto alla sua forma percepibile. L’esistenza dell’opera può essere vissuta unicamente al presente, da chi la crea come da chi vi si trova al cospetto nel ruolo di terzo, incidentale, interlocutore: il tempo dell’opera diviene il nostro, in qualsiasi momento accada, ma soltanto nello spazio fisico che in tale momento ci accoglie. Eppure all’arte è necessaria una distanza spaziale e temporale, che arriva da un metafisico oriente e affluisce tumultuosa nella condizione attuale, e qui acquisisce senso.
Gli scrittori antillani, discendenti e ultimi testimoni di ignobili deportazioni, hanno il loro oriente in continenti che loro stessi non hanno mai visto, sulle coste africane e nei villaggi indiani, e la sua persistenza bilancia e rimescola il lascito della cultura coloniale: è un’interpretazione testuale dell’oriente, con il suo significato di origine e nascita, ed è un’interpretazione che assume anche il richiamo di una provenienza remota e di un fantastico altrove.
Elena El Asmar ha da sempre il suo oriente in un luogo letterario che comprende l’epica di Gilgamesh e i cavalieri crociati, lo scintillio delle Mille e una notte e il nome e un pezzo di identità familiare; le divinità sono tutte fuggite e i templi sono in rovina. Quasi niente di storico e quasi niente che sia realmente accaduto. Nella serie di lavori raccolti sotto il titolo L’esercizio del lontano, Elena evocava calligrafie arabe, città, luci e penombre, svelando passo dopo passo l’artificio della memoria che presiede a ogni invenzione artistica. Schermate e compromesse da materiali ordinari, le immagini dell’oriente di El Asmar guidano lo sguardo sull’occidente di ogni pensiero (lì dove le cose, esauste per la lunga distanza percorsa, si estinguono, calano oltre l’orizzonte e preludono a un nuovo inizio). Qui l’artista si nutre, e di questo nutre il proprio lavoro, con la possibilità di utilizzare qualcosa di inservibile, come luoghi ed ere lontane o del tutto inventate, nella determinazione immanente del proprio tempo. Il tempo – quale tempo? – è la materia prima utilizzata da Elena nel lavoro lento di tessitura, di mascheramenti e fortuite agnizioni, che metodicamente emerge sulla carta e sulla tela.
quel tempo
La memoria, dunque, è un atto creativo, ha a che fare con il presente molto più di quanto non abbia a che fare con il passato, il quale tende a esserne deformato, o con il futuro, la cui consistenza gli è indifferente se non come sua amplificazione. Lo sanno bene tutti coloro per i quali la memoria è anche un atto coercitivo e, senza essere veri autori, tra le molte possibili forme della storia impongono la legittimità di una soltanto; lo sanno altrettanto bene tutti gli scrittori, i poeti e gli artisti che il tempo lo inventano, trovandolo. Il tempo che giace al cuore dell’arte è l’esito di un’azione volontaria che viene concepita in deroga a ogni bisogno di esattezza.
Spingendosi oltre, Elena El Asmar interpreta la pratica della memoria come un impegno di emancipazione dal passato: annuncia un ricordo ma plasma un’immagine mentale che è frutto del momento contingente. Quando sovrappone trame, passaggi di colore, inchiostrature, quando combina tra loro materiali incongrui, l’artista persevera nel suo esercizio del lontano che passa ora sotto altri nomi ma non rinuncia a quell’azione trasformativa: un tradimento della forma originaria delle cose e dei pensieri che li risveglia da qualche umbratile assopimento, e conferisce loro una nuova, inaspettata vita.
le cose perse
All’origine di tutte le opere di El Asmar c’è un elemento reale, una matrice fisica usata per imprimere la sagome e impronte sui supporti adottati di volta in volta, o c’è un’oggetto tra le molte cose perse che affollano una disparata raccolta di dozzinali e preziose minuterie, un qualcosa scelto e osservato mentre giace su un piano non molto distante dallo sguardo dell’artista al lavoro. Immersi in un procedimento tra quelli previsti dalle tecniche dell’arte (la pittura, l’incisione, la tessitura), gli elementi perdono la loro aderenza al vero, ne vengono separati, e la loro semplice forma originale è superata da una nuova che si genera nel processo, li cancella e li contiene, così come l’invenzione della memoria erode il tempo accogliendolo nel suo grembo.
Nella ricerca di El Asmar il processo si svolge come un estenuato conflitto con la forma, nel tentativo – si potrebbe dire – di sottrarle fermezza, aumentando la vibrazione dei suoi confini fino a sottrarla all’intelligibilità immediata. La creazione è la descrizione di un viaggio attorno a un’idea fissa, e l’esito di questa esperienza è un ritratto in frammenti del proprio corpo e della propria mente. Per alimentare questo conflitto l’artista si impone una disciplina del segno, osserva il punto in cui convergono il gesto e l’occhio, coniugati dalle alchimie della materia e del medium. Ogni sua opera esteticamente compiuta reca le tracce di questo conflitto per sempre irrisolto; la sovrapposizione degli interventi e degli strati di colore non lo pacificano ma contribuiscono a lasciarlo aperto, come per lasciare visibili spaccature sulla superficie dell’opera e garantire in tal mondo la sua continuità con il presente.
τέλος
Parafrasando l’apparente paradosso di un racconto che narra tacendo, Elena El Asmar allude alla forma dissolvendola e illustra il tempo negandolo. Nell’orizzonte che abbraccia insieme l’artista, la sua opera e chi la osserva, esiste quindi un solo tempo verbale che proferisce “è qui, è adesso”.
Il passato e il futuro vi si precipitano contro senza sosta.
Opening: 10 maggio ore 18 - 21
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