DUOMEDIA in Photography
Dal 21 Settembre 2016 al 21 Ottobre 2016
Milano
Luogo: Grattacielo Pirelli - Spazio Eventi
Indirizzo: Via Fabio Filzi 22
Orari: Da lunedì a venerdi dalle 13 alle 19
Curatori: Ante Glibota, Carmelo Strano
Enti promotori:
- Regione Lombardia
- Mikeroart
Costo del biglietto: Ingresso gratuito
E-Mail info: patrizia.missagia@gmail.com
Due protagoniste dell’arte fotografica internazionale: Maria MULAS, nome da tempo consacrato, e Marilena VITA, apprezzatissima nel suo percorso verso la piena affermazione nel sistema dell’arte. Rappresentanti di punta di due generazioni e anche di differenti approcci alla fotografia che hanno tuttavia in comune un costante interesse per la ricerca linguistica. Sia la MULAS che la VITA sono ben attente alle emergenze sociali e culturali di oggi. Inoltre sono portatrici di punta di climi culturali che precedono (con estensione temporale comprensibilmente più ampia, nel caso della MULAS). Pertanto, offrono al visitatore spaccati emblematici del cammino della fotografia impegnata al raggiungimento di esiti sempre nuovi, anche perché ormai da tempo la critica e il pubblico le riconoscono piena e autonoma dignità professionale.
Da qui la singolarità di questa mostra: infatti i due illustri curatori, ANTE GLIBOTA e CARMELO STRANO, hanno nello stesso tempo puntato a fare di questa mostra due personali che si intrecciano non solo metaforicamente ma anche visivamente, come testimoniano l’allestimento e il catalogo.
Il valore culturale dell’evento espositivo viene inoltre sottolineato dalla collaborazione con la Regione Lombardia e dalla sede dove viene realizzata, il grattacielo Pirelli (1960 -designer Giò Ponti e altri), opera di riferimento dell’architettura del XX secolo, per diversi anni il più alto edificio in Europa). Sede storica della Regione, l’istituzione lombarda ha voluto riservarsi, al primo piano, lo Spazio Eventi. La statura internazionale dei due curatori di lungo corso mette la ciliegina sulla torta, avendo essi presieduto alla realizzazione editoriale del catalogo (grafica di Lucyna Eroska Marelli Raszka) e dell’allestimento firmato dall’artista e designer Mauro Calvi e dall’architetto e urbanista Luigi Moiraghi.
L’organizzazione è di Mikeroart (Michelangelo Anastasi, Presidente, Eroska Marelli Raszka Vice Presidente, consiglieri Vincenzo Panza, Mauro Calvi e Stefano Migliorini).
MARIA MULAS
Nei suoi ben noti ritratti, personaggi famosi -in tanti campi, a partire dalla cultura- MARIA MULAS, pur rispettando la piena e sostanziale riconoscibilità del ritrattato, va oltre la fedelissima resa dei tratti somatici: non li stravolge ma li presenta sotto una luce nuova. Obiettivo: dare, del personaggio, l’essenza caratteriale e comportamentale, avendolo preventivamente frequentato e studiato.
Efficacemente, Emilio Tadini sottolinea che il personaggio, si offre allo sguardo e non all’obiettivo. E precisa inoltre che “si mette in scena un affetto… il frutto di un incontro”.
Tutto questo si vede già nella prima mostra che la MULAS tiene, nel 1976, al Diaframma di Milano che era un riferimento mondiale per la fotografia. Un’altra galleria gloriosa, sempre nel capoluogo lombardo, Il Milione, presenta suoi lavori nel 1988 e nel 1996. Ma, già, anni prima, della nel ’79, aveva messo in mostra, della MULAS, ritratti di intellettuali e artisti per questi stravolgere i quali l’artista aveva cominciato ad avvalersi dell’obiettivo quadrangolare di 20 mm. Nel 1984, la fotografa è parte della mostra Quartetto, con Beuys, Cucchi, Fabro, Nauman, presso la Scuola di S. Giovanni Evangelista, Venezia, curatore Achille Bonito Oliva. Nel 2016: “Maria Mulas, Ritratti italiani, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, a cura di Martina Corgnati. L’artista viene celebrata, poi, nel 1998, con una retrospettiva a palazzo Reale (Arengario), Milano: 300 opere sotto il titolo “Miraggi”. Lungo l’elenco delle mostre, ma giova aggiungere “Portami il tramondo in una tazza”, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Londra (2007) e le personali al Museo Pecci di Prato, nel 2001 e nel 2013.
Questo “attacco” al soggetto la MULAS lo riserva anche a se stessa. Per esempio, nell’autoritratto, morfologicamente e compositivamente complesso, che ha per titolo “Omaggio a Henri Rousseau”, del 1998.
I ritratti di personaggi datano dalla metà degli anni ’60, parallelamente a quelli legati alla vita quotidiana (il cosiddetto ciclo dei “riti sociali”) e parallelamente alla frequentazione del mondo teatrale, a cui l’artista riserva il suoi primi scatti.
I personaggi, come si è detto, non derivano in genere da incontri occasionali. La MULAS ha bisogno di conoscere, sotto diversi punti di vista, il suo “amante”, prima di farlo suo. Ecco qualche esempio di questi personaggi, a parte il fratello di lei, il non meno celebre fotografo Ugo Mulas.
Tra gli architetti: Gae Aulenti, Viera Da Silva, Vittorio Gregotti, Ugo La Pietra. (architetto e artista), Giotto Stoppino.
Del mondo dello spettacolo e della musica: Tino Buazzelli, John Cage, Giorgio Strehler.
Tra i Critici: Guido Ballo (critico e poeta), Gillo Dorfles (critico e artista), Umberto Eco (saggista e romanziere), Fernanda Pivano, Carmelo Strano (critico, filosofo, poeta), Emilio Tadini (critico, artista, scrittore), Lea Vergine.
Tra i galleristi: Leo Castelli, Giò Marconi.
Tra gli artisti: Enrico Baj, Joseph Beuys, Louise Bourgeois, Alberto Burri, Gianni Colombo, Christo, Giorgio De Chirico, Sonia Delaunay, Keith Haring, Emilio Isgrò, Jasper Johns, Allan Kaprow, Bice Lazzari, Roy Lichtenstein, Henry Moore, Bruce Nauman, Claes Oldenburg, Meret Oppenheim, Robert Rauschenberg, Andy Warhol.
Di particolare importanza, il contributo che la MULAS diede alla mostra-pietra miliare “L’altra Metà dell’Avanguardia” che Lea Vergine preparava per il palazzo Reale di Milano,1980: col critico, viaggiò in lungo e largo “ritraendo” tante protagoniste dell’arte del Novecento che partecipavano a quella rassegna. Nello stesso anno partecipava alla mostra “Il pomo della discordia”, una ricognizione delle artiste lombarde di punta, Milano, sale Duchamp e Matisse della Galleria Bonaparte, a cura di Pierangela Rossi Sala e Carmelo Strano.
L’intervento deformante che l’artista pratica nel 1979, nell’occasione della ricordata mostra al Milione, determina una svolta nel suo percorso linguistico. Questa esperienza provoca la fotografa verso momenti di sosta nella ricerca dell’altro, e la avvicina di più a se stessa. Spinge inoltre l’artista verso delle astrazioni. Ciò, nel senso che la MULAS si astrae dal mondo, ma non dalla realtà. E con questa intrattiene un “soliloquio” che fissa, quasi metafisicamente, ciò che le interessa, quasi una “messa in parentesi: non sosta, ma ricerca. Forse di se stessa, appunto. Basta ricordare “Sipario”, 1980. Che cos’è? Null’altro che il primo piano di un sipario declinato con ridotta verticalità e nel suo gioco di verdi dominanti e bianchi. Vi si racchiude un mondo, proprio secondo il principio avanguardistico di significare il tutto nel piccolo. E Gillo Dorfles: “Maria Mulas ha saputo e voluto darci molti esempi di ‘manipolazione’ della pellicola attraverso sovrapposizioni, giustapposizioni, embricazioni dell’immagine primitiva. La serie di foto scomposte e ricomposte creano delle vere e proprie opere visuali a se stanti ed una incredibile unitarietà stilistica”.
Ed ecco una vera svolta. Non a caso, infatti, nel 1996, l’artista prende una più profonda coscienza di se stessa e ammette che “la fotografia in sé è per me un limite: ho bisogno di sequenze, di metamorfosi”. Anche l’architettura a cui il suo obiettivo si volge dagli inizi anni ’80 (prima mostra, a palazzo Carignano, Tornio, nel 1982), risente da quel momento di una sorta di attacco manipolatore. E infatti per Carmelo Strano anche nel caso dell’architettura sarebbe opportuno parlare di “ritratti”, dato che “questi lavori hanno lo stesso trattamento riservato ai personaggi: spaccati architettonici che l’artista amplifica, dilata, e in qualsiasi altro modo enfatizza, fin quasi a dare ad essi una diversa personalità morfologica, pur mantenendone la riconoscibilità”.
Come si vede, personalità tutt’altro che semplice. Tanto che è ormai da tempo considerata un riferimento nella fotografia tra XX e XXI secolo.
Infatti presenza alla Biennale di Venezia nel 1995, quella del centenario della famosa istituzione lagunare: è invitata alla mostra “L'io e il suo doppio/Un secolo di ritratto fotografico in Italia, 1895-1995”, organizzata dall'lstituto Artistico dei fratelli Alinari di Firenze, e a cura di Italo Zannier. Lo stesso anno presenta, sempre alla Biennale di Venezia, “I dinosauri e le rose”, nella mostra di libri d’artista intitolata “Identità e differenza”.
Molti i contributi critici, come quelli di Ugo Ballo, Achille Bonito Oliva, Giorgio Bonomi, Bruno Corà, Martina Corgnati, Denis Curti, Philippe Daverio, Gillo Dorfles, Flaminio Gualdoni, Silvia Pegoraro, Carmelo Strano, Emilio Tadini, Lea Vergine, Italo Zannier, Stefano Zecchi,
Autrice delle serie di libri “Milano vista da” (La Nuova Folio Editrice), “Hans Richter” (1978) e “Il linguaggio organico di Henry Moore” (1977). Ha collaborato con varie riviste, come Domus, Vogue, Grand Bazar, Modo.
MARILENA VITA
Oltre che con la fotografia, Marilena VITA conduce la sua ricerca linguistica ed espressiva anche nella performance, nella video arte e pittura (quest’ultima recentemente è stata proposta, a Milano, allo Spazio Temporaneo di Patrizia Serra, con presentazione di Gilllo Dorfles, Edward Lucie-Smith, Carmelo Strano). Le premesse sono nella sua formazione: pittura, nell’accademia di Belle Arti (110 e lode e tesi coronata dalla dignità di stampa) e Accademia Nazionale di Arti Cinematografiche di Bologna
La sua ricerca nella fotografia si collega spesso al terreno della performance, ma nel pieno rispetto, e anche esaltazione, dell’autonomia disciplinare ed espressiva della macchina fotografica. Da qui il fatto che le situazioni o gli oggetti coinvolti non sono scopo dell’operatività fotografica, neanche se fondate sulle delle libere interpretazioni, come accade con i ritratti della Mulas.
Oggetti e situazioni sono impiegati al fine di realizzare l’ambientazione in cui agisce la performer, che è propria l’artista stessa, che diventa la protagonista nella sua opera fotografica. Insomma, talvolta le varie dinamiche installative mirate alla performance, e anche la stessa performance o “opera paratearale”, sono la fonte iconologica per le sue opere fotografiche. Le quali prendono presto, nel loro stesso concepimento, un cammino di assoluta autonomia linguistica e espressiva. Ecco perché Marilena VITA riesce a dare i suoi contributi nuovi sia alla fotografia sia alla stessa performance(non a caso, va oltre i metodi e i modi di vari riferimenti storici della performance, come la Marina Abramovic. e, ancor di più, oltre i concettualismi neoavanguardistici alla Gina Pane. Il soggetto è spesso un paesaggio ibrido o complesso o un edificio cadente, per ciò stesso divenuto intrigante. Ad esempio, il castello abbandonato di Portopalo, provincia di Siracusa, o le tristi barche dei migranti approdate in Sicilia). Lo scopo non è eminentemente estetico. A Marilena VITA interessa la bellezza, ma l’esteticità fine a se stessa non è l’obiettivo finale. L’obiettivo è dare a quel soggetto una svolta di ambiguità o di aumentarla nel caso ci fossero già segni di ambiguità.
Occorre tenere presente, per capire meglio l’opera fotografica di VITA, che l’autrice è non meno impegnata nella videoarte.
Ogni volta che Marilena VITA si cala in una delle sue discipline (in questa sede più che la pittura, risultano maggiormente pertinenti la performance e la videoarte (per quest’ultima, premiata alla Columbia University di New York), scarta le altre, ma non le dimentica. Esse infatti costituiscono un alimento che contribuisce al coagulo linguistico di quell’opera. L’autoscatto, che Marilena VITA pratica puntualmente, costituisce, ad esempio, un elemento di piglio performativo.
Bisogna guardarsi allora dal tranello che ti conduce nella strada -sbagliata- della sua autosufficienza.
VITA concentra le sue energie nel dare soluzioni opportune, in modo autentico e integrale, alle sue spinte espressive e anche nel fissare -non in modo esplicito e diretto- messaggi a fondamento sociale o anche psicologico. Ma di essi il fruitore quasi non si accorge, specialmente perché la situazione è quasi sempre avvolta in un clima di atemporalità che facilmente distrae dal messaggio. Espressività, pulsioni, modo di porsi responsabilmente verso l’impegno artistico: sul filo di un’irrinunciabile autenticità, anche se camuffata dal linguaggio ambiguo. Il segno espressivo è tenuto lontano sia dall’autoreferenzialità sia dall’eccessiva transitività: comunica ma non in modo esplicito o inequivocabile. Infatti, l’artista imprime virate alle forme e ai modi consolidati o recuperati della fotografia, rivoluzionandola. Ciò vuol dire: il messaggio è questo, ma altri possono essere ipotizzati. Tutto questo, grazie anche all’atmosfera atemporale. Scrive il critico e scrittore Gérard-Georges Lemaire: “Le piace stare in un territorio di ambiguità (…) Adora le contraddizioni. Adora metterci in una posizione di difficoltà”
Protagonista unica dell’opera fotografica è lei stessa, ben allenata all’uso dell’autoscatto, una volta fissato il senso e il canovaccio di un’idea performativa e dello spazio ambientale in cui lei stessa, performer, deve agire, spesso vestita di abiti antichi, ma negando quasi sempre all’obiettivo il suo volto.
Personalità energetica e intransigente, VITA ha ricevuto vari premi in Italia e fuori per la fotografia che è stata oggetto di mostre soprattutto a Berlino, Parigi, Macao -Cina-, Praga, Città del Capo, Mons -Belgio-, Amsterdam, Labin -Croazia-, Atene, Miami, Teheran, ecc., e, in Italia, Museo-Laboratorio dell’Università La Sapienza, Roma; Galleria Lorenzelli, Milano; Galleria Soligo, Roma; Museo Regionale Riso, Palermo.
Nel 2013, ha presentato la sua ricerca nella fotografia e nella videoarte alla Biennale di Venezia, nell’ambito della sezione “Educational”.
Hanno scritto sul suo lavoro, tra gli altri, Brahim Alaoui, Viana Conti, Gillo Dorfles, Dario Evola, Sebastiano Grasso, Gérard-Georges Lemaire (con lui, quale narratore, un libro-oggetto a quattro mani), Evelina Schatz, Edward Lucie-Smith, Carmelo Strano,
Tra i suoi studi pubblicati, il volume “Le Albe della Fotografia/dalla nascita al digitale”, Rose&Rose edizioni, Catania, 2012.
Tante le ragioni per ipotizzare con facilità che questa mostra possa provocare l’interesse di molti tra specialisti, appassionati e anche il visitatore semplicemente incuriosito che avrà modo in ogni caso di intrattenere un rapporto diretto e stretto con le opere.
Anche il non esperto ma sensibile fruitore sarà irretito dalle opere fotografiche di MARIA MULAS e di MARILENA VITA, pensando anche che questa forma d’arte, pur così giovane rispetto alla pittura, è già ben ricca di storia: una situazione che, come dimostra, appunto, il loro lavoro, non smette di risultare stimolante, provocatoria ed emblematica in rapporto alla grande produzione di routine della fotografia internazionale.
I CURATORI
ANTE GLIBOTA, vive a Parigi, storico dell’arte di fama, di origine croata, autore di numerosi libri d’arte, curatore di mostre in varie parti del mondo, vice-presidente e curatore capo Museum of Art and Urbanism di Shanghai
CARMELO STRANO, Milano-Londra, filosofo, critico delle arti visive e letterarie, varie teorie innovative premiate in diversi Paesi, numerosi i volumi, le monografie e le rassegne internazionali (anche presso la Biennale Venezia), distinguished professor di estetica.
La mostra è aperta al pubblico dal 21 settembre al 21 ottobre 2016
nei seguenti giorni: da lunedì a Venerdì, dalle ore 13 alle ore 19.
Ingresso gratuito.
Da qui la singolarità di questa mostra: infatti i due illustri curatori, ANTE GLIBOTA e CARMELO STRANO, hanno nello stesso tempo puntato a fare di questa mostra due personali che si intrecciano non solo metaforicamente ma anche visivamente, come testimoniano l’allestimento e il catalogo.
Il valore culturale dell’evento espositivo viene inoltre sottolineato dalla collaborazione con la Regione Lombardia e dalla sede dove viene realizzata, il grattacielo Pirelli (1960 -designer Giò Ponti e altri), opera di riferimento dell’architettura del XX secolo, per diversi anni il più alto edificio in Europa). Sede storica della Regione, l’istituzione lombarda ha voluto riservarsi, al primo piano, lo Spazio Eventi. La statura internazionale dei due curatori di lungo corso mette la ciliegina sulla torta, avendo essi presieduto alla realizzazione editoriale del catalogo (grafica di Lucyna Eroska Marelli Raszka) e dell’allestimento firmato dall’artista e designer Mauro Calvi e dall’architetto e urbanista Luigi Moiraghi.
L’organizzazione è di Mikeroart (Michelangelo Anastasi, Presidente, Eroska Marelli Raszka Vice Presidente, consiglieri Vincenzo Panza, Mauro Calvi e Stefano Migliorini).
MARIA MULAS
Nei suoi ben noti ritratti, personaggi famosi -in tanti campi, a partire dalla cultura- MARIA MULAS, pur rispettando la piena e sostanziale riconoscibilità del ritrattato, va oltre la fedelissima resa dei tratti somatici: non li stravolge ma li presenta sotto una luce nuova. Obiettivo: dare, del personaggio, l’essenza caratteriale e comportamentale, avendolo preventivamente frequentato e studiato.
Efficacemente, Emilio Tadini sottolinea che il personaggio, si offre allo sguardo e non all’obiettivo. E precisa inoltre che “si mette in scena un affetto… il frutto di un incontro”.
Tutto questo si vede già nella prima mostra che la MULAS tiene, nel 1976, al Diaframma di Milano che era un riferimento mondiale per la fotografia. Un’altra galleria gloriosa, sempre nel capoluogo lombardo, Il Milione, presenta suoi lavori nel 1988 e nel 1996. Ma, già, anni prima, della nel ’79, aveva messo in mostra, della MULAS, ritratti di intellettuali e artisti per questi stravolgere i quali l’artista aveva cominciato ad avvalersi dell’obiettivo quadrangolare di 20 mm. Nel 1984, la fotografa è parte della mostra Quartetto, con Beuys, Cucchi, Fabro, Nauman, presso la Scuola di S. Giovanni Evangelista, Venezia, curatore Achille Bonito Oliva. Nel 2016: “Maria Mulas, Ritratti italiani, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, a cura di Martina Corgnati. L’artista viene celebrata, poi, nel 1998, con una retrospettiva a palazzo Reale (Arengario), Milano: 300 opere sotto il titolo “Miraggi”. Lungo l’elenco delle mostre, ma giova aggiungere “Portami il tramondo in una tazza”, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Londra (2007) e le personali al Museo Pecci di Prato, nel 2001 e nel 2013.
Questo “attacco” al soggetto la MULAS lo riserva anche a se stessa. Per esempio, nell’autoritratto, morfologicamente e compositivamente complesso, che ha per titolo “Omaggio a Henri Rousseau”, del 1998.
I ritratti di personaggi datano dalla metà degli anni ’60, parallelamente a quelli legati alla vita quotidiana (il cosiddetto ciclo dei “riti sociali”) e parallelamente alla frequentazione del mondo teatrale, a cui l’artista riserva il suoi primi scatti.
I personaggi, come si è detto, non derivano in genere da incontri occasionali. La MULAS ha bisogno di conoscere, sotto diversi punti di vista, il suo “amante”, prima di farlo suo. Ecco qualche esempio di questi personaggi, a parte il fratello di lei, il non meno celebre fotografo Ugo Mulas.
Tra gli architetti: Gae Aulenti, Viera Da Silva, Vittorio Gregotti, Ugo La Pietra. (architetto e artista), Giotto Stoppino.
Del mondo dello spettacolo e della musica: Tino Buazzelli, John Cage, Giorgio Strehler.
Tra i Critici: Guido Ballo (critico e poeta), Gillo Dorfles (critico e artista), Umberto Eco (saggista e romanziere), Fernanda Pivano, Carmelo Strano (critico, filosofo, poeta), Emilio Tadini (critico, artista, scrittore), Lea Vergine.
Tra i galleristi: Leo Castelli, Giò Marconi.
Tra gli artisti: Enrico Baj, Joseph Beuys, Louise Bourgeois, Alberto Burri, Gianni Colombo, Christo, Giorgio De Chirico, Sonia Delaunay, Keith Haring, Emilio Isgrò, Jasper Johns, Allan Kaprow, Bice Lazzari, Roy Lichtenstein, Henry Moore, Bruce Nauman, Claes Oldenburg, Meret Oppenheim, Robert Rauschenberg, Andy Warhol.
Di particolare importanza, il contributo che la MULAS diede alla mostra-pietra miliare “L’altra Metà dell’Avanguardia” che Lea Vergine preparava per il palazzo Reale di Milano,1980: col critico, viaggiò in lungo e largo “ritraendo” tante protagoniste dell’arte del Novecento che partecipavano a quella rassegna. Nello stesso anno partecipava alla mostra “Il pomo della discordia”, una ricognizione delle artiste lombarde di punta, Milano, sale Duchamp e Matisse della Galleria Bonaparte, a cura di Pierangela Rossi Sala e Carmelo Strano.
L’intervento deformante che l’artista pratica nel 1979, nell’occasione della ricordata mostra al Milione, determina una svolta nel suo percorso linguistico. Questa esperienza provoca la fotografa verso momenti di sosta nella ricerca dell’altro, e la avvicina di più a se stessa. Spinge inoltre l’artista verso delle astrazioni. Ciò, nel senso che la MULAS si astrae dal mondo, ma non dalla realtà. E con questa intrattiene un “soliloquio” che fissa, quasi metafisicamente, ciò che le interessa, quasi una “messa in parentesi: non sosta, ma ricerca. Forse di se stessa, appunto. Basta ricordare “Sipario”, 1980. Che cos’è? Null’altro che il primo piano di un sipario declinato con ridotta verticalità e nel suo gioco di verdi dominanti e bianchi. Vi si racchiude un mondo, proprio secondo il principio avanguardistico di significare il tutto nel piccolo. E Gillo Dorfles: “Maria Mulas ha saputo e voluto darci molti esempi di ‘manipolazione’ della pellicola attraverso sovrapposizioni, giustapposizioni, embricazioni dell’immagine primitiva. La serie di foto scomposte e ricomposte creano delle vere e proprie opere visuali a se stanti ed una incredibile unitarietà stilistica”.
Ed ecco una vera svolta. Non a caso, infatti, nel 1996, l’artista prende una più profonda coscienza di se stessa e ammette che “la fotografia in sé è per me un limite: ho bisogno di sequenze, di metamorfosi”. Anche l’architettura a cui il suo obiettivo si volge dagli inizi anni ’80 (prima mostra, a palazzo Carignano, Tornio, nel 1982), risente da quel momento di una sorta di attacco manipolatore. E infatti per Carmelo Strano anche nel caso dell’architettura sarebbe opportuno parlare di “ritratti”, dato che “questi lavori hanno lo stesso trattamento riservato ai personaggi: spaccati architettonici che l’artista amplifica, dilata, e in qualsiasi altro modo enfatizza, fin quasi a dare ad essi una diversa personalità morfologica, pur mantenendone la riconoscibilità”.
Come si vede, personalità tutt’altro che semplice. Tanto che è ormai da tempo considerata un riferimento nella fotografia tra XX e XXI secolo.
Infatti presenza alla Biennale di Venezia nel 1995, quella del centenario della famosa istituzione lagunare: è invitata alla mostra “L'io e il suo doppio/Un secolo di ritratto fotografico in Italia, 1895-1995”, organizzata dall'lstituto Artistico dei fratelli Alinari di Firenze, e a cura di Italo Zannier. Lo stesso anno presenta, sempre alla Biennale di Venezia, “I dinosauri e le rose”, nella mostra di libri d’artista intitolata “Identità e differenza”.
Molti i contributi critici, come quelli di Ugo Ballo, Achille Bonito Oliva, Giorgio Bonomi, Bruno Corà, Martina Corgnati, Denis Curti, Philippe Daverio, Gillo Dorfles, Flaminio Gualdoni, Silvia Pegoraro, Carmelo Strano, Emilio Tadini, Lea Vergine, Italo Zannier, Stefano Zecchi,
Autrice delle serie di libri “Milano vista da” (La Nuova Folio Editrice), “Hans Richter” (1978) e “Il linguaggio organico di Henry Moore” (1977). Ha collaborato con varie riviste, come Domus, Vogue, Grand Bazar, Modo.
MARILENA VITA
Oltre che con la fotografia, Marilena VITA conduce la sua ricerca linguistica ed espressiva anche nella performance, nella video arte e pittura (quest’ultima recentemente è stata proposta, a Milano, allo Spazio Temporaneo di Patrizia Serra, con presentazione di Gilllo Dorfles, Edward Lucie-Smith, Carmelo Strano). Le premesse sono nella sua formazione: pittura, nell’accademia di Belle Arti (110 e lode e tesi coronata dalla dignità di stampa) e Accademia Nazionale di Arti Cinematografiche di Bologna
La sua ricerca nella fotografia si collega spesso al terreno della performance, ma nel pieno rispetto, e anche esaltazione, dell’autonomia disciplinare ed espressiva della macchina fotografica. Da qui il fatto che le situazioni o gli oggetti coinvolti non sono scopo dell’operatività fotografica, neanche se fondate sulle delle libere interpretazioni, come accade con i ritratti della Mulas.
Oggetti e situazioni sono impiegati al fine di realizzare l’ambientazione in cui agisce la performer, che è propria l’artista stessa, che diventa la protagonista nella sua opera fotografica. Insomma, talvolta le varie dinamiche installative mirate alla performance, e anche la stessa performance o “opera paratearale”, sono la fonte iconologica per le sue opere fotografiche. Le quali prendono presto, nel loro stesso concepimento, un cammino di assoluta autonomia linguistica e espressiva. Ecco perché Marilena VITA riesce a dare i suoi contributi nuovi sia alla fotografia sia alla stessa performance(non a caso, va oltre i metodi e i modi di vari riferimenti storici della performance, come la Marina Abramovic. e, ancor di più, oltre i concettualismi neoavanguardistici alla Gina Pane. Il soggetto è spesso un paesaggio ibrido o complesso o un edificio cadente, per ciò stesso divenuto intrigante. Ad esempio, il castello abbandonato di Portopalo, provincia di Siracusa, o le tristi barche dei migranti approdate in Sicilia). Lo scopo non è eminentemente estetico. A Marilena VITA interessa la bellezza, ma l’esteticità fine a se stessa non è l’obiettivo finale. L’obiettivo è dare a quel soggetto una svolta di ambiguità o di aumentarla nel caso ci fossero già segni di ambiguità.
Occorre tenere presente, per capire meglio l’opera fotografica di VITA, che l’autrice è non meno impegnata nella videoarte.
Ogni volta che Marilena VITA si cala in una delle sue discipline (in questa sede più che la pittura, risultano maggiormente pertinenti la performance e la videoarte (per quest’ultima, premiata alla Columbia University di New York), scarta le altre, ma non le dimentica. Esse infatti costituiscono un alimento che contribuisce al coagulo linguistico di quell’opera. L’autoscatto, che Marilena VITA pratica puntualmente, costituisce, ad esempio, un elemento di piglio performativo.
Bisogna guardarsi allora dal tranello che ti conduce nella strada -sbagliata- della sua autosufficienza.
VITA concentra le sue energie nel dare soluzioni opportune, in modo autentico e integrale, alle sue spinte espressive e anche nel fissare -non in modo esplicito e diretto- messaggi a fondamento sociale o anche psicologico. Ma di essi il fruitore quasi non si accorge, specialmente perché la situazione è quasi sempre avvolta in un clima di atemporalità che facilmente distrae dal messaggio. Espressività, pulsioni, modo di porsi responsabilmente verso l’impegno artistico: sul filo di un’irrinunciabile autenticità, anche se camuffata dal linguaggio ambiguo. Il segno espressivo è tenuto lontano sia dall’autoreferenzialità sia dall’eccessiva transitività: comunica ma non in modo esplicito o inequivocabile. Infatti, l’artista imprime virate alle forme e ai modi consolidati o recuperati della fotografia, rivoluzionandola. Ciò vuol dire: il messaggio è questo, ma altri possono essere ipotizzati. Tutto questo, grazie anche all’atmosfera atemporale. Scrive il critico e scrittore Gérard-Georges Lemaire: “Le piace stare in un territorio di ambiguità (…) Adora le contraddizioni. Adora metterci in una posizione di difficoltà”
Protagonista unica dell’opera fotografica è lei stessa, ben allenata all’uso dell’autoscatto, una volta fissato il senso e il canovaccio di un’idea performativa e dello spazio ambientale in cui lei stessa, performer, deve agire, spesso vestita di abiti antichi, ma negando quasi sempre all’obiettivo il suo volto.
Personalità energetica e intransigente, VITA ha ricevuto vari premi in Italia e fuori per la fotografia che è stata oggetto di mostre soprattutto a Berlino, Parigi, Macao -Cina-, Praga, Città del Capo, Mons -Belgio-, Amsterdam, Labin -Croazia-, Atene, Miami, Teheran, ecc., e, in Italia, Museo-Laboratorio dell’Università La Sapienza, Roma; Galleria Lorenzelli, Milano; Galleria Soligo, Roma; Museo Regionale Riso, Palermo.
Nel 2013, ha presentato la sua ricerca nella fotografia e nella videoarte alla Biennale di Venezia, nell’ambito della sezione “Educational”.
Hanno scritto sul suo lavoro, tra gli altri, Brahim Alaoui, Viana Conti, Gillo Dorfles, Dario Evola, Sebastiano Grasso, Gérard-Georges Lemaire (con lui, quale narratore, un libro-oggetto a quattro mani), Evelina Schatz, Edward Lucie-Smith, Carmelo Strano,
Tra i suoi studi pubblicati, il volume “Le Albe della Fotografia/dalla nascita al digitale”, Rose&Rose edizioni, Catania, 2012.
Tante le ragioni per ipotizzare con facilità che questa mostra possa provocare l’interesse di molti tra specialisti, appassionati e anche il visitatore semplicemente incuriosito che avrà modo in ogni caso di intrattenere un rapporto diretto e stretto con le opere.
Anche il non esperto ma sensibile fruitore sarà irretito dalle opere fotografiche di MARIA MULAS e di MARILENA VITA, pensando anche che questa forma d’arte, pur così giovane rispetto alla pittura, è già ben ricca di storia: una situazione che, come dimostra, appunto, il loro lavoro, non smette di risultare stimolante, provocatoria ed emblematica in rapporto alla grande produzione di routine della fotografia internazionale.
I CURATORI
ANTE GLIBOTA, vive a Parigi, storico dell’arte di fama, di origine croata, autore di numerosi libri d’arte, curatore di mostre in varie parti del mondo, vice-presidente e curatore capo Museum of Art and Urbanism di Shanghai
CARMELO STRANO, Milano-Londra, filosofo, critico delle arti visive e letterarie, varie teorie innovative premiate in diversi Paesi, numerosi i volumi, le monografie e le rassegne internazionali (anche presso la Biennale Venezia), distinguished professor di estetica.
La mostra è aperta al pubblico dal 21 settembre al 21 ottobre 2016
nei seguenti giorni: da lunedì a Venerdì, dalle ore 13 alle ore 19.
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