Vinicio Berti
Dal 21 Dicembre 2021 al 01 Maggio 2022
Firenze
Luogo: Museo Novecento
Indirizzo: Piazza di Santa Maria Novella 10
Orari: Fino al 31 marzo: 11:00 - 20:00. Giovedì chiuso. Ultimo ingresso un'ora prima della chiusura
Curatori: Eva Francioli e Sergio Risaliti
Telefono per informazioni: +39 055 2768224
E-Mail info: info@musefirenze.it
In occasione del centenario della nascita di Vinicio Berti (Firenze 1921-1991), il Museo Novecento presenta una selezione di dipinti del grande maestro fiorentino, parte della raccolta di circa 600 opere donate alla città di Firenze dalla vedova dell’artista, Liberia Pini, insieme a numerosi manoscritti, documenti e lavori grafici. Dopo il convegno AVANTI POPOLO! tenutosi la scorsa estate tra Palazzo Vecchio e Museo Novecento, le celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Vinicio Berti proseguono all’insegna del tributo con il quale si intende omaggiare il celebre maestro fiorentino: per l’occasione, infatti, viene eccezionalmente esposto un trittico ideale, oggetto di un restauro portato a termine proprio per la mostra, organizzata da MUS.E e in corso fino al 1 maggio 2022.
“Come ci eravamo ripromessi in occasione del convegno dedicato a Vinicio Berti nel giugno scorso, inauguriamo il progetto espositivo dedicato al celebre pittore fiorentino nelle sale del secondo piano del museo” dichiara Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento. “Dal cospicuo fondo di opere donate dal Comune di Firenze abbiamo studiato e poi scelto tre tele che sono state riconosciute come appartenenti a un trittico. Al centro di questa composizione svetta la falce e martello, icona di una fede politica cui Berti aveva aderito fin dalla giovane età senza mai confutarne le ragioni storiche e l’impegno civile. La tempra politica, piuttosto che indebolire gli aspetti formali dell’opera di Berti, arricchisce di tensione e valori l’invenzione di un linguaggio sospeso tra figurativo e astratto. Una qualità artistica che ha reso sicuramente Berti uno dei protagonisti della storia dell’arte novecentesca fiorentina e italiana”.
Attraverso la selezione di tre dipinti inediti del 1951, è oggi possibile gettare nuova luce su una fase particolarmente delicata della vita personale e professionale dell’artista, che proprio in quei mesi inizia ad affrontare un percorso strettamente individuale, lasciandosi alle spalle la stagione militante delle lotte collettive, condotte insieme ai compagni del gruppo Astrattismo Classico.
Le opere qui presentate sono state individuate sulla base di affinità stilistiche e di materiali, oltre che di datazione. In esse Vinicio Berti sembra rielaborare chiave del tutto personale, la triade cromatica che aveva contraddistinto la ricerca dei grandi maestri dell’avanguardia russa, uno su tutti Kazimir Malevič, le cui composizioni si fondavano sul dialogo tra bianchi, rossi e neri.
I dipinti, realizzati a tecnica mista su faesite, vengono mostrati come pannelli di un trittico ideale, che guida lo spettatore in un racconto di angoscia e di riscatto. La narrazione prende le mosse da Costruzione realtà totale, ‘scena vuota’ in cui le fitte geometrie visive disegnano paesaggi inospitali e ostili e il nostro sguardo non riesce a penetrare. Siamo a chiamati a percorrere il serrato susseguirsi di elementi lineari alla ricerca di una luce e di uno spiraglio, ma l’ambiente idealmente costruito appare saturo e il nostro vagare costantemente ostacolato. Fa da contraltare, a questa costruzione, l’affiorare di figure nel pannello di fronte, intitolato Presenze umane. Come in un cortocircuito, la realtà tipizzata e resa astratta accoglie, come delle apparizioni, delle immagini di donna con bambino rese con un tratto incisivo, quasi espressionista. Vere e proprie pietà contemporanee, queste figure inseriscono nella composizione un elemento narrativo che sembra quasi stridere con l’indicibile costruttività dei segni rossi e neri di matrice astratta.
Solo l’utopia comunista, che da sempre guida la ricerca di Vinicio Berti, appare, pur nelle sue dolorose contraddizioni, un faro nella complessità della vita quotidiana. È così che la grande falce e martello, al centro dell’opera Simbolo di verità, può essere considerata un ideale compimento dell’indagine svolta da Berti sull’esistenza e sulla società.
Nato a Firenze da una famiglia di umili origini, Vinicio Berti (1921-1991) compie studi di tipo tecnico-industriale ed artistico, avvinandosi alla pittura all’inizio degli anni Quaranta con opere dal sapore tardo-espressionista, in cui sviluppa i motivi adottati inizialmente nella grafica e nella tipografia.
Inizia così la sua partecipazione al processo di rinnovamento dell’arte contemporanea italiana, presto articolatosi attorno al dibattito tra astrattismo e figurazione. Nel 1945, insieme a Bruno Brunetti, Fernando Farulli, Gualtiero Nativi e al poeta Alberto Caverni, dà alle stampe il periodico “Torrente”, con l’intento di aggiornare il panorama culturale cittadino.
Tra i principali animatori del movimento Arte d’Oggi, nel 1947 approda ad una pittura di tipo astratto-geometrico, dopo aver attraversato una fase di personale rilettura del cubismo e del futurismo. Vicino a Giovanni Michelucci e ai critici Ermanno Migliorini e Giusta Nicco Fasola, è tra i fondatori dell’Astrattismo Classico, di cui sottoscrive il Manifesto ne 1950 insieme a Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi e Mario Nuti. Dopo questa breve fase, caratterizzata da un intenso lavoro collettivo, preferisce rivolgersi ad una ricerca più strettamente individuale, in cui porta alle estreme conseguenze la propria indagine sul gesto e sul segno pittorico.
Agli anni della maturità risalgono le opere delle serie Espansione dell’Astrattismo Classico (1951-1955), Cittadelle ostili (1955-1956), Cittadelle di resistenza (1966-1967), spesso incentrate sul tema della città e sul rapporto conflittuale instaurato con essa. Nel corso degli anni Sessanta si cimenta inoltre nella realizzazione di lavori maggiormente grafici e più vicini all’informale.
La sua ricerca, sostanziata da un instancabile impegno politico e contraddistinta da una speciale attenzione per le problematiche della scienza e della società contemporanee, prosegue con uguale intensità negli anni Settanta e Ottanta, durante i quali sistematizza l’inserimento di frasi scritte all’interno delle composizioni pittoriche e non smette di dedicarsi ad altre pratiche, quali la grafica e l’illustrazione. Appassionato fumettista, nel corso della sua lunga attività disegna e dà alle stampe numerose storie per ragazzi, narrando le vicende di Pinocchio o di altri personaggi inventati, tra cui Atomino.
Negli ultimi anni di attività, la sua tavolozza si riduce spesso a pochi colori puri, stesi direttamente, con veemente rapidità, sul supporto pittorico. Vinicio Berti si concentra così, con forza e decisione, su alcuni motivi ricorrenti, al centro di alcune delle sue serie più conosciute, tra cui Realtà antagonista (1970- 1980) e Guardare in alto (1981-1991).
“Come ci eravamo ripromessi in occasione del convegno dedicato a Vinicio Berti nel giugno scorso, inauguriamo il progetto espositivo dedicato al celebre pittore fiorentino nelle sale del secondo piano del museo” dichiara Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento. “Dal cospicuo fondo di opere donate dal Comune di Firenze abbiamo studiato e poi scelto tre tele che sono state riconosciute come appartenenti a un trittico. Al centro di questa composizione svetta la falce e martello, icona di una fede politica cui Berti aveva aderito fin dalla giovane età senza mai confutarne le ragioni storiche e l’impegno civile. La tempra politica, piuttosto che indebolire gli aspetti formali dell’opera di Berti, arricchisce di tensione e valori l’invenzione di un linguaggio sospeso tra figurativo e astratto. Una qualità artistica che ha reso sicuramente Berti uno dei protagonisti della storia dell’arte novecentesca fiorentina e italiana”.
Attraverso la selezione di tre dipinti inediti del 1951, è oggi possibile gettare nuova luce su una fase particolarmente delicata della vita personale e professionale dell’artista, che proprio in quei mesi inizia ad affrontare un percorso strettamente individuale, lasciandosi alle spalle la stagione militante delle lotte collettive, condotte insieme ai compagni del gruppo Astrattismo Classico.
Le opere qui presentate sono state individuate sulla base di affinità stilistiche e di materiali, oltre che di datazione. In esse Vinicio Berti sembra rielaborare chiave del tutto personale, la triade cromatica che aveva contraddistinto la ricerca dei grandi maestri dell’avanguardia russa, uno su tutti Kazimir Malevič, le cui composizioni si fondavano sul dialogo tra bianchi, rossi e neri.
I dipinti, realizzati a tecnica mista su faesite, vengono mostrati come pannelli di un trittico ideale, che guida lo spettatore in un racconto di angoscia e di riscatto. La narrazione prende le mosse da Costruzione realtà totale, ‘scena vuota’ in cui le fitte geometrie visive disegnano paesaggi inospitali e ostili e il nostro sguardo non riesce a penetrare. Siamo a chiamati a percorrere il serrato susseguirsi di elementi lineari alla ricerca di una luce e di uno spiraglio, ma l’ambiente idealmente costruito appare saturo e il nostro vagare costantemente ostacolato. Fa da contraltare, a questa costruzione, l’affiorare di figure nel pannello di fronte, intitolato Presenze umane. Come in un cortocircuito, la realtà tipizzata e resa astratta accoglie, come delle apparizioni, delle immagini di donna con bambino rese con un tratto incisivo, quasi espressionista. Vere e proprie pietà contemporanee, queste figure inseriscono nella composizione un elemento narrativo che sembra quasi stridere con l’indicibile costruttività dei segni rossi e neri di matrice astratta.
Solo l’utopia comunista, che da sempre guida la ricerca di Vinicio Berti, appare, pur nelle sue dolorose contraddizioni, un faro nella complessità della vita quotidiana. È così che la grande falce e martello, al centro dell’opera Simbolo di verità, può essere considerata un ideale compimento dell’indagine svolta da Berti sull’esistenza e sulla società.
Nato a Firenze da una famiglia di umili origini, Vinicio Berti (1921-1991) compie studi di tipo tecnico-industriale ed artistico, avvinandosi alla pittura all’inizio degli anni Quaranta con opere dal sapore tardo-espressionista, in cui sviluppa i motivi adottati inizialmente nella grafica e nella tipografia.
Inizia così la sua partecipazione al processo di rinnovamento dell’arte contemporanea italiana, presto articolatosi attorno al dibattito tra astrattismo e figurazione. Nel 1945, insieme a Bruno Brunetti, Fernando Farulli, Gualtiero Nativi e al poeta Alberto Caverni, dà alle stampe il periodico “Torrente”, con l’intento di aggiornare il panorama culturale cittadino.
Tra i principali animatori del movimento Arte d’Oggi, nel 1947 approda ad una pittura di tipo astratto-geometrico, dopo aver attraversato una fase di personale rilettura del cubismo e del futurismo. Vicino a Giovanni Michelucci e ai critici Ermanno Migliorini e Giusta Nicco Fasola, è tra i fondatori dell’Astrattismo Classico, di cui sottoscrive il Manifesto ne 1950 insieme a Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi e Mario Nuti. Dopo questa breve fase, caratterizzata da un intenso lavoro collettivo, preferisce rivolgersi ad una ricerca più strettamente individuale, in cui porta alle estreme conseguenze la propria indagine sul gesto e sul segno pittorico.
Agli anni della maturità risalgono le opere delle serie Espansione dell’Astrattismo Classico (1951-1955), Cittadelle ostili (1955-1956), Cittadelle di resistenza (1966-1967), spesso incentrate sul tema della città e sul rapporto conflittuale instaurato con essa. Nel corso degli anni Sessanta si cimenta inoltre nella realizzazione di lavori maggiormente grafici e più vicini all’informale.
La sua ricerca, sostanziata da un instancabile impegno politico e contraddistinta da una speciale attenzione per le problematiche della scienza e della società contemporanee, prosegue con uguale intensità negli anni Settanta e Ottanta, durante i quali sistematizza l’inserimento di frasi scritte all’interno delle composizioni pittoriche e non smette di dedicarsi ad altre pratiche, quali la grafica e l’illustrazione. Appassionato fumettista, nel corso della sua lunga attività disegna e dà alle stampe numerose storie per ragazzi, narrando le vicende di Pinocchio o di altri personaggi inventati, tra cui Atomino.
Negli ultimi anni di attività, la sua tavolozza si riduce spesso a pochi colori puri, stesi direttamente, con veemente rapidità, sul supporto pittorico. Vinicio Berti si concentra così, con forza e decisione, su alcuni motivi ricorrenti, al centro di alcune delle sue serie più conosciute, tra cui Realtà antagonista (1970- 1980) e Guardare in alto (1981-1991).
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