Francesca Guetta. Un chicco, un profumo per il mondo... aspettando l'Expo
Dal 06 Marzo 2015 al 17 Aprile 2015
Firenze
Luogo: Istituto Agronomico per l’Oltremare
Indirizzo: via Antonio Cocchi 4
Curatori: Giampaolo Trotta
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 055 5061320
E-Mail info: iao@iao.florence.it
Sito ufficiale: http://www.iao.florence.it
Francesca Guetta è un'artista complessa, che sarebbe riduttivo definire semplicemente "pittrice". Soprattutto le sue opere su cartone telato montato su tavola, infatti, presentano un'articolata stratificazione e giustapposizione di materiali - anche tridimensionali - a tal punto che possiamo parlare di vere e proprie "pittosculture".
Nei suoi quadri è evidente il richiamo - per cromie e gestualità del segno - a certa Pop Art, segnatamente italiana (come nei suoi fiori, che talora risentono inconsciamente della lezione di Mario Schifano e dei suoi Gigli d'acqua) e a quella che fu definita la risposta europea all'arte popolare americana, vale a dire al Nouveau Réalisme nato sotto l'egida di Pierre Restany e, in particolare, a quello interpretato da Arman con le sue 'accumulazioni'.
Vi sono, però, delle sostanziali differenze, che conducono l'arte della Guetta ad un'assoluta originalità. Come si sa, il movimento nato in Francia negli Anni Sessanta riprendeva il concetto del ready-made dadaista, cioè quello di un oggetto di uso quotidiano e prefabbricato, isolato dal suo contesto funzionale ed elevato da un artista ad opera d'arte solo tramite la nuova contestualizzazione.
In Arman - che si definì come “un peintre qui fait de la sculpture” -l'inserimento di oggetti distrutti valeva ad esprimere l'ingranaggio assurdo del consumismo. L'oggetto applicato sul fondo verniciato, però, poteva essere qualunque cosa - violini fracassati, tubetti di colore, pennelli, scarpe, bambole, bollitori - ma il concetto di fondo poco cambiava. Francesca Guetta, invece, impiega solamente alcuni determinati oggetti strettamente connessi al tema che vuole svolgere e mai vere
proprie 'accumulazioni' quasi indifferenziate. La sua opera - altamente concettuale e sempre legata, in questa serie di realizzazioni, a temi di valenza sociale ed universale - è un vero e proprio percorso di autocoscienza culturale che l'artista segue e possiede un filo conduttore tramite il quale l'autrice vuole farci riflettere su realtà profonde.
Il tema delle cinque opere polimateriche - qui presentate nel primo "gruppo" - è il caffè, nelle sue molteplici valenze economiche e sociali. Attraverso frammenti di balle (nelle quali si conservano i chicchi torrefatti), chicchi stessi di caffè, macinini e vecchie macchinette moka, disposti ad arte sul ‘tappeto' verde o rosso del mondo, ci fa riflettere sulla possibilità di una commercializzazione equa e solidale. Tale prospettiva è sottolineata da commenti scritti, che dal punto di vista formale risentono della tradizione fumettistica 'pop', e nel contempo è enfatizzata tramite la simbolizzazione della filiera della produzione dai Paesi produttori alle nostre tavole, materializzata in un 'Rosario' tutto laico di chicchi torrefatti (si vedano A proposito del Caffè e Macinando ... macinando). Una sottesa esortazione ad uscire dai folli ingranaggi del consumismo globalizzante, per riappropriarsi della nostra individualità, in un contesto di cose semplici che possano darci serenità: un possibile "Paradiso" su questa Terra (a volte 'ritratto' in composizioni surreali) raggiungibile 'semplicemente' sorseggiando una tazzina di buon caffè, magari napoletano o secondo le vecchie ricette dell'Artusi, con sottili risvolti ironici in taluni "fumetti", che 'alleggeriscono' la concettualità del forte messaggio (si veda Paradiso ... forse, Per una tazzina di caffè o ‘ A cuccumella). Proprio in quest'ultima opera, al di sotto di un taglio nella juta di ascendenza fontaniana, emerge la foto di un balaustro scolpito con la piantina del caffè, appartenente alla scala della sede dell'Istituto Agronomico per l'Oltremare, alludendo ancora una volta alla cooperazione internazionale per lo sviluppo di tutti i Popoli.
L'uso di frammenti fotografici è ricorrente nelle opere spirali delle rammentate 'corone' di chicchi (quasi come nei sai di religiosi) e di floreali cordoni sinuosamente diramantisi come rivoli di vita e di pace, come cordoni ombelicali che ci uniscono fraternamente. Le rimanenti tre opere esposte, invece, rispondono ai più canonici stilemi della pittura ad acrilico. Una pittura, come si diceva, per masse cromatiche dalle quali deriva - intuita - la forma figurata dei fiori, in un'esplosione vulcanica di rutilante gestualità.
Speranze è un quadro che possiamo quasi interpretare come una sorta di trait d'union di pittura e collage fra quest'ultima serie di Naturalia e le 'pittosculture' del gruppo precedentemente considerato. Una variopinta girandola di immagini per darci la speranza che sul degrado delle metropoli contemporanee possa riprevalere una natura incontaminata, dallo spreco e dall'inquinamento possa rinascere un fiore, con poetici accenti da "figli dei fiori", quei "figli dei fiori" infrantisi nella logica del consumismo, quell'utopia hippy universalizzata dall'ammiccante richiamo all'idealità della città dell'Umanesimo, cui fa riferimento la foto della Tavola di Urbino di sangallesca memoria.
Una riflessione su una Natura oggi troppo spesso "imbrigliata" dall'uomo, cui par fare riferimento l'omonima opera 'ingessata' sulla tela, una natura bloccata e soffocata dalla cementificazione urbana. Una visione - quella di Francesca Guetta - realistica e disincantata, ma non esistenzialisticamente pessimistica, dove la poesia, l'arte e la velata ironia hanno in
fondo il sopravvento, giocando il ruolo vincente di una parabola "evangelica" tutta contemporanea.
Giampaolo Trotta
Nei suoi quadri è evidente il richiamo - per cromie e gestualità del segno - a certa Pop Art, segnatamente italiana (come nei suoi fiori, che talora risentono inconsciamente della lezione di Mario Schifano e dei suoi Gigli d'acqua) e a quella che fu definita la risposta europea all'arte popolare americana, vale a dire al Nouveau Réalisme nato sotto l'egida di Pierre Restany e, in particolare, a quello interpretato da Arman con le sue 'accumulazioni'.
Vi sono, però, delle sostanziali differenze, che conducono l'arte della Guetta ad un'assoluta originalità. Come si sa, il movimento nato in Francia negli Anni Sessanta riprendeva il concetto del ready-made dadaista, cioè quello di un oggetto di uso quotidiano e prefabbricato, isolato dal suo contesto funzionale ed elevato da un artista ad opera d'arte solo tramite la nuova contestualizzazione.
In Arman - che si definì come “un peintre qui fait de la sculpture” -l'inserimento di oggetti distrutti valeva ad esprimere l'ingranaggio assurdo del consumismo. L'oggetto applicato sul fondo verniciato, però, poteva essere qualunque cosa - violini fracassati, tubetti di colore, pennelli, scarpe, bambole, bollitori - ma il concetto di fondo poco cambiava. Francesca Guetta, invece, impiega solamente alcuni determinati oggetti strettamente connessi al tema che vuole svolgere e mai vere
proprie 'accumulazioni' quasi indifferenziate. La sua opera - altamente concettuale e sempre legata, in questa serie di realizzazioni, a temi di valenza sociale ed universale - è un vero e proprio percorso di autocoscienza culturale che l'artista segue e possiede un filo conduttore tramite il quale l'autrice vuole farci riflettere su realtà profonde.
Il tema delle cinque opere polimateriche - qui presentate nel primo "gruppo" - è il caffè, nelle sue molteplici valenze economiche e sociali. Attraverso frammenti di balle (nelle quali si conservano i chicchi torrefatti), chicchi stessi di caffè, macinini e vecchie macchinette moka, disposti ad arte sul ‘tappeto' verde o rosso del mondo, ci fa riflettere sulla possibilità di una commercializzazione equa e solidale. Tale prospettiva è sottolineata da commenti scritti, che dal punto di vista formale risentono della tradizione fumettistica 'pop', e nel contempo è enfatizzata tramite la simbolizzazione della filiera della produzione dai Paesi produttori alle nostre tavole, materializzata in un 'Rosario' tutto laico di chicchi torrefatti (si vedano A proposito del Caffè e Macinando ... macinando). Una sottesa esortazione ad uscire dai folli ingranaggi del consumismo globalizzante, per riappropriarsi della nostra individualità, in un contesto di cose semplici che possano darci serenità: un possibile "Paradiso" su questa Terra (a volte 'ritratto' in composizioni surreali) raggiungibile 'semplicemente' sorseggiando una tazzina di buon caffè, magari napoletano o secondo le vecchie ricette dell'Artusi, con sottili risvolti ironici in taluni "fumetti", che 'alleggeriscono' la concettualità del forte messaggio (si veda Paradiso ... forse, Per una tazzina di caffè o ‘ A cuccumella). Proprio in quest'ultima opera, al di sotto di un taglio nella juta di ascendenza fontaniana, emerge la foto di un balaustro scolpito con la piantina del caffè, appartenente alla scala della sede dell'Istituto Agronomico per l'Oltremare, alludendo ancora una volta alla cooperazione internazionale per lo sviluppo di tutti i Popoli.
L'uso di frammenti fotografici è ricorrente nelle opere spirali delle rammentate 'corone' di chicchi (quasi come nei sai di religiosi) e di floreali cordoni sinuosamente diramantisi come rivoli di vita e di pace, come cordoni ombelicali che ci uniscono fraternamente. Le rimanenti tre opere esposte, invece, rispondono ai più canonici stilemi della pittura ad acrilico. Una pittura, come si diceva, per masse cromatiche dalle quali deriva - intuita - la forma figurata dei fiori, in un'esplosione vulcanica di rutilante gestualità.
Speranze è un quadro che possiamo quasi interpretare come una sorta di trait d'union di pittura e collage fra quest'ultima serie di Naturalia e le 'pittosculture' del gruppo precedentemente considerato. Una variopinta girandola di immagini per darci la speranza che sul degrado delle metropoli contemporanee possa riprevalere una natura incontaminata, dallo spreco e dall'inquinamento possa rinascere un fiore, con poetici accenti da "figli dei fiori", quei "figli dei fiori" infrantisi nella logica del consumismo, quell'utopia hippy universalizzata dall'ammiccante richiamo all'idealità della città dell'Umanesimo, cui fa riferimento la foto della Tavola di Urbino di sangallesca memoria.
Una riflessione su una Natura oggi troppo spesso "imbrigliata" dall'uomo, cui par fare riferimento l'omonima opera 'ingessata' sulla tela, una natura bloccata e soffocata dalla cementificazione urbana. Una visione - quella di Francesca Guetta - realistica e disincantata, ma non esistenzialisticamente pessimistica, dove la poesia, l'arte e la velata ironia hanno in
fondo il sopravvento, giocando il ruolo vincente di una parabola "evangelica" tutta contemporanea.
Giampaolo Trotta
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