Valentina Carrera. Bereshit
Dal 25 Aprile 2013 al 28 Aprile 2013
Ferrara
Luogo: Palazzo della Racchetta
Indirizzo: via Vaspergolo 6
Orari: tutti i giorni 15-19
Curatori: Enrico Ravegnani, Alessandro Baito
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 348 8838390
E-Mail info: info@palazzodellaracchetta.it
Sito ufficiale: http://palazzodellaracchetta.it/
I lavori di *Valentina Carrera*, nella contemplazione di una parola, di una frase, di un versetto della Genesi, elaborano in senso artistico le emozioni, le suggestioni, le immagini che vengono così evocate, mettendo in luce i colori della potenza della parola. A volte applica carta pergamena a volte elementi materici vari (pigmenti naturali, metalli in polvere, foglie d’oro o d’argento), altre volte ancora affianca alla parola un simbolo, un segno che aiuti l’interpretazione dell’insieme.
Uno dei passi che più ha rappresentato nella sua produzione è quello che racconta il momento della creazione dell’Universo, soprattutto nella sua identità con la fine dei tempi in cui verrà ristabilito il patto tra gli esseri viventi e la divinità. In questi lavori si utilizza una simbologia di colori ben determinata: la forza divina-oro che squarcia l’oscurità-nero del Nulla per donare ritrovare la comunione universale-rosso.
I colori sono però sempre contaminati dal loro simile o dal loro opposto, per sottolineare, aldilà di ogni interpretazione manichea, la presenza del divino anche nell’oscurità e dell’umano nella Luce assoluta.
Valentina Carrera tratta anche diversi temi della cultura e della storia ebraica.
Dall'interpretazione pittorica della sensualità del Cantico dei Cantici alla poesia contemporanea che tratta temi politici o di vita quotidiana, passando dai difficilissimi temi di una delle pagine più scure della storia dell'umanità: la Shoà, per poi arrivare in Israele con i suoi canti di orgoglio e speranza suggeriti in tele come ad esempio la serie Topografia.
Ed ogni tema è affrontato sempre con uno sguardo che cerca il senso ultimo.
Uno sguardo proiettato verso una dimensione religiosa (universalmente religiosa) che meglio sarebbe definire spirituale, alla ricerca della bellezza che supera tutto: forte come la morte è l'amore e in questo caso l'amore passa attraverso la materia quella pittorica.
“La calda espressività lirica di Valentina Carrera si rivolge alla letteratura ebraica sacra e profana, citata nelle titolazioni e concretamente inserita nei suoi lavori. Non è quindi mai casuale che in queste composizioni eseguite con tecniche miste, sovrapponendo materiali diversi e misture di pigmento molto spesse su supporti di tela o cartacei, appaiano sovente frammenti di testi in lingua ebraica, che si propongono all’osservatore come il punto di messa a fuoco dell’ispirazione. Si tratta qui di un’operatività allusiva, che testimonia un rapporto affettivo con le radici stesse della nostra cultura occidentale, e che si rapportano alla contemporaneità evocando spiritualità e colori della Terra Santa di oggi. Il linguaggio cromatico di questa pittrice è oltremodo variegato, anche se si può sottolineare la prevalenza in molti lavori di un rosso sanguigno e vitale. Gli impasti sono densamente corrugati dagli strati materici di varia natura, frammenti di carta, stoffa, o tessuto a trama reticolata, e ben calibrati negli effetti visivi, dove le fasce di colore si dispongono secondo equilibri prestabiliti.
La composizione di questi pezzi assume quindi un andamento dinamico, sconfinando spesso oltre i limiti del supporto, ed evocando una spazialità allargata e suscettibile di espandersi all’infinito. Gli interventi della materia non strettamente pittorica fanno pensare all’applicazione delle tessere di un mosaico, dove ogni singolo frammento trova la sua ragione di essere nel posizionarsi come parte significativa della visione e della trama, ed esplicandosi in apparizione di un paesaggio spirituale. Ogni opera di Carrera agisce come un racconto concluso e irripetibile; di qui la generosa varietà di questi lavori, nei quali tuttavia è perfettamente riconoscibile l’elegante cifra stilistica dell’autrice, che lascia spazio all’intuizione poetica, senza per altro abbandonarsi alla retorica estetizzante della gestualità fine a se stessa. Appaiono così perfettamente equilibrate le due masse di colore che in Arcaico e in Terra promessa si spartiscono lo spazio del supporto, sviluppandosi in senso orizzontale; nel primo caso il rosso sanguigno della parte superiore è sostenuto dalla concretezza materica di un reticolato, le cui sfrangiature sbavano disponendosi irregolarmente su una superficie argentata e corrugata, che trae colore dalla luce che vi si riflette. Nel secondo, una spessa colata bianca, fortemente rilevata come il plastico di una catena montagnosa innevata, invade uno spazio scuro prossimo a scomparire; ambedue i titoli esplicitano la sensazione di eventi cosmici, o di interventi divini, comunque ineluttabili, comunque al di sopra dell’intenzione umana.
In Genesi si assiste invece alla ricomposizione del caos attraverso la separazione degli elementi, chiaramente evocata da nette fasce verticali di colore, e dal brulicare dell’impasto materico. L’uomo è invece ben presente in Genesi 4-16, che cita l’esilio di Caino, e in Poesia israeliana: in questi due lavori sono ben visibili i frammenti cartacei che si riferiscono ai titoli, ma soprattutto è comune ad ambedue il senso profondo di una lacerazione; nel primo caso si tratta di un evento archetipico, sconvolgente e fatale per il destino dell’umanità, e tuttavia le macchie variegate e la larga striscia chiara, che irrompono sulla superficie scura del fondo, suggeriscono anche l’inizio di una ricerca salvifica nella bellezza del colore; nel secondo è ravvisabile una frattura storica, molto più attuale naturalmente, ma forse meno ineluttabile, se ci si affiderà alla saggezza rivoluzionaria della poesia.”
Paolo Levi da “Le allusioni del colore” ed. G.Mondadori
La mostra si svolge in concomitanza con la
Festa del Libro Ebraico in Italia IV edizione
Kermesse culturale che trasforma Ferrara in capitale della cultura ebraica. Per quattro giorni, il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoà coinvolgerà il pubblico in presentazioni di libri, dibattiti, concerti e spettacoli.
Uno dei passi che più ha rappresentato nella sua produzione è quello che racconta il momento della creazione dell’Universo, soprattutto nella sua identità con la fine dei tempi in cui verrà ristabilito il patto tra gli esseri viventi e la divinità. In questi lavori si utilizza una simbologia di colori ben determinata: la forza divina-oro che squarcia l’oscurità-nero del Nulla per donare ritrovare la comunione universale-rosso.
I colori sono però sempre contaminati dal loro simile o dal loro opposto, per sottolineare, aldilà di ogni interpretazione manichea, la presenza del divino anche nell’oscurità e dell’umano nella Luce assoluta.
Valentina Carrera tratta anche diversi temi della cultura e della storia ebraica.
Dall'interpretazione pittorica della sensualità del Cantico dei Cantici alla poesia contemporanea che tratta temi politici o di vita quotidiana, passando dai difficilissimi temi di una delle pagine più scure della storia dell'umanità: la Shoà, per poi arrivare in Israele con i suoi canti di orgoglio e speranza suggeriti in tele come ad esempio la serie Topografia.
Ed ogni tema è affrontato sempre con uno sguardo che cerca il senso ultimo.
Uno sguardo proiettato verso una dimensione religiosa (universalmente religiosa) che meglio sarebbe definire spirituale, alla ricerca della bellezza che supera tutto: forte come la morte è l'amore e in questo caso l'amore passa attraverso la materia quella pittorica.
“La calda espressività lirica di Valentina Carrera si rivolge alla letteratura ebraica sacra e profana, citata nelle titolazioni e concretamente inserita nei suoi lavori. Non è quindi mai casuale che in queste composizioni eseguite con tecniche miste, sovrapponendo materiali diversi e misture di pigmento molto spesse su supporti di tela o cartacei, appaiano sovente frammenti di testi in lingua ebraica, che si propongono all’osservatore come il punto di messa a fuoco dell’ispirazione. Si tratta qui di un’operatività allusiva, che testimonia un rapporto affettivo con le radici stesse della nostra cultura occidentale, e che si rapportano alla contemporaneità evocando spiritualità e colori della Terra Santa di oggi. Il linguaggio cromatico di questa pittrice è oltremodo variegato, anche se si può sottolineare la prevalenza in molti lavori di un rosso sanguigno e vitale. Gli impasti sono densamente corrugati dagli strati materici di varia natura, frammenti di carta, stoffa, o tessuto a trama reticolata, e ben calibrati negli effetti visivi, dove le fasce di colore si dispongono secondo equilibri prestabiliti.
La composizione di questi pezzi assume quindi un andamento dinamico, sconfinando spesso oltre i limiti del supporto, ed evocando una spazialità allargata e suscettibile di espandersi all’infinito. Gli interventi della materia non strettamente pittorica fanno pensare all’applicazione delle tessere di un mosaico, dove ogni singolo frammento trova la sua ragione di essere nel posizionarsi come parte significativa della visione e della trama, ed esplicandosi in apparizione di un paesaggio spirituale. Ogni opera di Carrera agisce come un racconto concluso e irripetibile; di qui la generosa varietà di questi lavori, nei quali tuttavia è perfettamente riconoscibile l’elegante cifra stilistica dell’autrice, che lascia spazio all’intuizione poetica, senza per altro abbandonarsi alla retorica estetizzante della gestualità fine a se stessa. Appaiono così perfettamente equilibrate le due masse di colore che in Arcaico e in Terra promessa si spartiscono lo spazio del supporto, sviluppandosi in senso orizzontale; nel primo caso il rosso sanguigno della parte superiore è sostenuto dalla concretezza materica di un reticolato, le cui sfrangiature sbavano disponendosi irregolarmente su una superficie argentata e corrugata, che trae colore dalla luce che vi si riflette. Nel secondo, una spessa colata bianca, fortemente rilevata come il plastico di una catena montagnosa innevata, invade uno spazio scuro prossimo a scomparire; ambedue i titoli esplicitano la sensazione di eventi cosmici, o di interventi divini, comunque ineluttabili, comunque al di sopra dell’intenzione umana.
In Genesi si assiste invece alla ricomposizione del caos attraverso la separazione degli elementi, chiaramente evocata da nette fasce verticali di colore, e dal brulicare dell’impasto materico. L’uomo è invece ben presente in Genesi 4-16, che cita l’esilio di Caino, e in Poesia israeliana: in questi due lavori sono ben visibili i frammenti cartacei che si riferiscono ai titoli, ma soprattutto è comune ad ambedue il senso profondo di una lacerazione; nel primo caso si tratta di un evento archetipico, sconvolgente e fatale per il destino dell’umanità, e tuttavia le macchie variegate e la larga striscia chiara, che irrompono sulla superficie scura del fondo, suggeriscono anche l’inizio di una ricerca salvifica nella bellezza del colore; nel secondo è ravvisabile una frattura storica, molto più attuale naturalmente, ma forse meno ineluttabile, se ci si affiderà alla saggezza rivoluzionaria della poesia.”
Paolo Levi da “Le allusioni del colore” ed. G.Mondadori
La mostra si svolge in concomitanza con la
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