Agostino Arrivabene. Thesauros
Dal 16 Luglio 2023 al 01 Ottobre 2023
Ferrara
Luogo: Palazzo dei Diamanti
Indirizzo: Corso Ercole I d'Este 21
Orari: tutti i giorni dalle 11 alle 20. Aperta anche 15 agosto
Curatori: Vittorio Sgarbi
Enti promotori:
- Fondazione Ferrara Arte
- Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara
Telefono per informazioni: +39 0532 244949
E-Mail info: diamanti@comune.fe.it
Sito ufficiale: http://www.palazzodiamanti.it
La Fondazione Ferrara Arte e il Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara presentano una mostra antologica dedicata ad Agostino Arrivabene. Quaranta opere realizzate dal 1985 a oggi sono raccolte sotto al titolo Thesauros – nella Grecia antica i piccoli edifici che venivano offerti alle divinità nei santuari – perché l’autore considera le sue creazioni come doni votivi e la pratica artistica come tensione verso il divino. Nei dipinti, eseguiti con tecniche tradizionali e materiali preziosi, si colgono gli echi dei grandi maestri studiati de visu sin dalla prima formazione: Jan van Eyck, Leonardo, Michelangelo, Albrecht Dürer, Rembrandt; padri nobili, come il geniale ferrarese Ercole de’ Roberti, che lo hanno guidato, e confortato, nella ricerca di una personalissima figurazione connotata da una forte carica visionaria e riferimenti simbolici ed esoterici.
Pittore e disegnatore colto e raffinato, dotato di una fantasia inesauribile e di una straordinaria intelligenza compositiva, Arrivabene percorre da sempre, con convinzione e coraggio, la strada della retroguardia, senza cadere mai nella citazione. Nei suoi lavori, sostenuti da una tecnica impeccabile, c’è semmai continuità, oltre che armonia, rigore, intensità. Lo dimostrano anche le preziose sculture e le pietre dipinte, che evocano naturalia e artificialia (rarità scoperte in natura o sapientemente create dall’uomo) o mirabilia (cose insolite, magiche, inquietanti) custodite nelle Wunderkammer assemblate da sofisticati collezionisti. Arrivabene rinnova temi mitologici, sacri e letterari, sfrutta le potenzialità dell’allegoria, scandaglia il mistero della natura, della vita terrena e di quella oltre la morte, eccede i limiti della conoscenza sensibile per conseguire un altrove, una realtà nuova, potente, mutevole, che esiste prima di concretizzarsi.
Come scrive Vittorio Sgarbi: «Di tutti i pittori figurativi delle ultime generazioni, dalla fine degli anni Settanta a oggi, appartenenti a diversi gruppi, Enzo Cucchi, Wainer Vaccari, Lino Frongia, Stefano Di Stasio, ammirevoli per l’esercizio e la tecnica spesso maturata sullo studio degli antichi, il più eccentrico, il più originale, il più sperimentale è certamente Agostino Arrivabene. Gli piace la pittura ambiziosa, gli piace la perfezione esecutiva, ma la sua fantasia lo porta verso soggetti estremi. Lontanissimo dalla realtà, è certamente il più onirico dei nostri pittori e le sue immagini sono lacerate e tormentate. È una continua metamorfosi che moltiplica le forme della realtà. Il disegno e la pittura sono per Arrivabene strumenti di conoscenza che richiedono concentrazione e applicazione continua, studio e confronti. I tempi non sembrano richiederlo per le tante finzioni che avevano reso irriconoscibile il volto dell’arte, ad ogni metamorfosi. Ed ecco Agostino rivederlo dietro la maschera, nei volti scoperti dei pittori amati: Werner Tübke, Lucian Freud, Odd Nerdrum, Antonio López García. Questi fari nella notte gli indicarono che la strada c’era ancora e la si poteva faticosamente percorrere. E questa è la sua partita con la pittura. Poi c’è quella con il sogno. Gran parte di ciò che Arrivabene racconta di reale ha solo l’apparenza.»
L’allestimento è studiato in relazione all’asse prospettico che si crea nelle sale dell’ala Tisi di Palazzo dei Diamanti tra il monumentale dipinto in apertura Erotomachia infera (2023), dove è rappresentata la bufera alla quale sono condannati i lussuriosi nel secondo cerchio dell’Inferno, e l’opera che conclude la mostra, tra le più iconiche dell’artista, Lucifero (1997), che presenta il principe degli angeli divenuto capo dei demoni con il volto svanito in un nero profondo che richiama gli abissi oscuri dell’Ade. L’indagine dell’aldilà procede nel dittico dedicato ad Ade, il dio dei morti dell’antichità greca, e alla sua sposa Persefone, ritratti in Du mal II° (2011) e Ctesia Panax (2012), e in Ea – exit (2016), dove Persefone, in volo, ritorna sulla terra dopo il lungo soggiorno negli inferi.
Opere giovanili nelle quali Arrivabene manifesta la sua passione per la pittura lenticolare e raffinata dei Primitivi fiamminghi e per i miti dell’antica Grecia sono gli straordinari I sette giorni di Orfeo (1996) e Atena (1996), mentre i più recenti dipinti su legni fossili del cretaceo provenienti dai giacimenti in Arizona e in Madagascar documentano il recupero di tecniche antiche cadute in disuso. Un esplicito omaggio all’Officina ferrarese è offerto infine in due lavori ispirati allo splendido paesaggio inquadrato dai pilastri del trono nella celebre pala Portuense di Ercole de’ Roberti, attentamente studiata dall’artista negli anni della formazione all’Accademia di Brera: La grande opera (2016), dove l’alchimista compie la trasmutazione della materia davanti a una veduta con città immaginarie che evocano le architetture di Étienne-Louis Boullée, e Il sogno di Asclepio (2015), eseguito su una tavola del Seicento, nel quale l’interpretazione del paesaggio si arricchisce della citazione del sogno tratto da uno dei Discorsi sacri di Elio Aristide.
Agostino Arrivabene nasce a Rivolta d’Adda, in provincia di Cremona, nel 1967. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera, ma la sua vera palestra sono lo studio e l’osservazione diretta delle opere dei grandi maestri del passato. La sua ricerca si sviluppa, infatti, sotto il segno di Leonardo, Michelangelo, Dürer, Jan Van Eyck, i Primitivi fiamminghi e Rembrandt.
In un personalissimo percorso anti-moderno l’artista sfrutta le indicazioni di questi illustri predecessori per ricercare la “bellezza” nella contraddittoria realtà del presente.
Le opere di Arrivabene sono caratterizzate da una forte carica visionaria e da una predilezione per il linguaggio simbolista e sono realizzate con tecniche tradizionali e materiali preziosi, preparati artigianalmente. Egli guarda a naturalia e artificialia, a quegli oggetti provenienti dalla natura o creati dalle mani dell’uomo che suscitavano meraviglia, un tempo custoditi nelle Wunderkammer di re, nobili, scienziati e dotti ecclesiastici. Nelle Vanitas è architetto fantastico della sua più mirabolante fantasia e del suo amore per l’indagine della vita segreta della natura e delle cose, che si concretizza in misteriose visioni di luci e di ombre che rivelano la pressione di sentimenti e passioni. Nella sua produzione, che spazia dalla figura al paesaggio, le tematiche del male, della morte e del dolore sono una costante. Il dolore però non è morbosa attrazione, ma è “funzionale” ad uno stato di transizione, di passaggio, che permette al soggetto di entrare in contatto con realtà altre (a volte materialmente rappresentate da piante o fiori, altre volte soltanto accennate con colpi di luci o polveri sulla tela). Altrettanto suggestivi sono i paradisi in cui luci accecanti invadono figure in estasi che attendono una risposta a quesiti cosmici.
Pittore e disegnatore colto e raffinato, dotato di una fantasia inesauribile e di una straordinaria intelligenza compositiva, Arrivabene percorre da sempre, con convinzione e coraggio, la strada della retroguardia, senza cadere mai nella citazione. Nei suoi lavori, sostenuti da una tecnica impeccabile, c’è semmai continuità, oltre che armonia, rigore, intensità. Lo dimostrano anche le preziose sculture e le pietre dipinte, che evocano naturalia e artificialia (rarità scoperte in natura o sapientemente create dall’uomo) o mirabilia (cose insolite, magiche, inquietanti) custodite nelle Wunderkammer assemblate da sofisticati collezionisti. Arrivabene rinnova temi mitologici, sacri e letterari, sfrutta le potenzialità dell’allegoria, scandaglia il mistero della natura, della vita terrena e di quella oltre la morte, eccede i limiti della conoscenza sensibile per conseguire un altrove, una realtà nuova, potente, mutevole, che esiste prima di concretizzarsi.
Come scrive Vittorio Sgarbi: «Di tutti i pittori figurativi delle ultime generazioni, dalla fine degli anni Settanta a oggi, appartenenti a diversi gruppi, Enzo Cucchi, Wainer Vaccari, Lino Frongia, Stefano Di Stasio, ammirevoli per l’esercizio e la tecnica spesso maturata sullo studio degli antichi, il più eccentrico, il più originale, il più sperimentale è certamente Agostino Arrivabene. Gli piace la pittura ambiziosa, gli piace la perfezione esecutiva, ma la sua fantasia lo porta verso soggetti estremi. Lontanissimo dalla realtà, è certamente il più onirico dei nostri pittori e le sue immagini sono lacerate e tormentate. È una continua metamorfosi che moltiplica le forme della realtà. Il disegno e la pittura sono per Arrivabene strumenti di conoscenza che richiedono concentrazione e applicazione continua, studio e confronti. I tempi non sembrano richiederlo per le tante finzioni che avevano reso irriconoscibile il volto dell’arte, ad ogni metamorfosi. Ed ecco Agostino rivederlo dietro la maschera, nei volti scoperti dei pittori amati: Werner Tübke, Lucian Freud, Odd Nerdrum, Antonio López García. Questi fari nella notte gli indicarono che la strada c’era ancora e la si poteva faticosamente percorrere. E questa è la sua partita con la pittura. Poi c’è quella con il sogno. Gran parte di ciò che Arrivabene racconta di reale ha solo l’apparenza.»
L’allestimento è studiato in relazione all’asse prospettico che si crea nelle sale dell’ala Tisi di Palazzo dei Diamanti tra il monumentale dipinto in apertura Erotomachia infera (2023), dove è rappresentata la bufera alla quale sono condannati i lussuriosi nel secondo cerchio dell’Inferno, e l’opera che conclude la mostra, tra le più iconiche dell’artista, Lucifero (1997), che presenta il principe degli angeli divenuto capo dei demoni con il volto svanito in un nero profondo che richiama gli abissi oscuri dell’Ade. L’indagine dell’aldilà procede nel dittico dedicato ad Ade, il dio dei morti dell’antichità greca, e alla sua sposa Persefone, ritratti in Du mal II° (2011) e Ctesia Panax (2012), e in Ea – exit (2016), dove Persefone, in volo, ritorna sulla terra dopo il lungo soggiorno negli inferi.
Opere giovanili nelle quali Arrivabene manifesta la sua passione per la pittura lenticolare e raffinata dei Primitivi fiamminghi e per i miti dell’antica Grecia sono gli straordinari I sette giorni di Orfeo (1996) e Atena (1996), mentre i più recenti dipinti su legni fossili del cretaceo provenienti dai giacimenti in Arizona e in Madagascar documentano il recupero di tecniche antiche cadute in disuso. Un esplicito omaggio all’Officina ferrarese è offerto infine in due lavori ispirati allo splendido paesaggio inquadrato dai pilastri del trono nella celebre pala Portuense di Ercole de’ Roberti, attentamente studiata dall’artista negli anni della formazione all’Accademia di Brera: La grande opera (2016), dove l’alchimista compie la trasmutazione della materia davanti a una veduta con città immaginarie che evocano le architetture di Étienne-Louis Boullée, e Il sogno di Asclepio (2015), eseguito su una tavola del Seicento, nel quale l’interpretazione del paesaggio si arricchisce della citazione del sogno tratto da uno dei Discorsi sacri di Elio Aristide.
Agostino Arrivabene nasce a Rivolta d’Adda, in provincia di Cremona, nel 1967. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera, ma la sua vera palestra sono lo studio e l’osservazione diretta delle opere dei grandi maestri del passato. La sua ricerca si sviluppa, infatti, sotto il segno di Leonardo, Michelangelo, Dürer, Jan Van Eyck, i Primitivi fiamminghi e Rembrandt.
In un personalissimo percorso anti-moderno l’artista sfrutta le indicazioni di questi illustri predecessori per ricercare la “bellezza” nella contraddittoria realtà del presente.
Le opere di Arrivabene sono caratterizzate da una forte carica visionaria e da una predilezione per il linguaggio simbolista e sono realizzate con tecniche tradizionali e materiali preziosi, preparati artigianalmente. Egli guarda a naturalia e artificialia, a quegli oggetti provenienti dalla natura o creati dalle mani dell’uomo che suscitavano meraviglia, un tempo custoditi nelle Wunderkammer di re, nobili, scienziati e dotti ecclesiastici. Nelle Vanitas è architetto fantastico della sua più mirabolante fantasia e del suo amore per l’indagine della vita segreta della natura e delle cose, che si concretizza in misteriose visioni di luci e di ombre che rivelano la pressione di sentimenti e passioni. Nella sua produzione, che spazia dalla figura al paesaggio, le tematiche del male, della morte e del dolore sono una costante. Il dolore però non è morbosa attrazione, ma è “funzionale” ad uno stato di transizione, di passaggio, che permette al soggetto di entrare in contatto con realtà altre (a volte materialmente rappresentate da piante o fiori, altre volte soltanto accennate con colpi di luci o polveri sulla tela). Altrettanto suggestivi sono i paradisi in cui luci accecanti invadono figure in estasi che attendono una risposta a quesiti cosmici.
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