Tetris. Opere di Fabrizio Fontana
Dal 13 Agosto 2014 al 31 Agosto 2014
Ostuni | Brindisi
Luogo: Spazio Purgatorio
Indirizzo: via Alfonso Giovine
Orari: tutti i giorni 10-22
Curatori: Carmelo Cipriani
Telefono per informazioni: +39 0831 335373
E-Mail info: info@orizzontiarte.it
Sito ufficiale: http://www.orizzontiarte.it
Il secondo evento del mese di agosto con cui la Galleria Orizzonti Arte Contemporanea di Ostuni movimenta lo Spazio Purgatorio, è affidato alla mostra “Tetris” dell’artista Fabrizio Fontana.
Salentino di nascita, Fontana fa del gioco il fulcro di tutto il suo lavoro e in questa mostra, giocando giocando, mette in atto, in performance, un’idea geniale che promette di risolvere il grande dissidio interiore che dilania l’artista tutte le volte che con la vendita si vede costretto a cedere la paternità delle sue opere.
Ecco come Carmelo Cipriani, curatore della mostra, ci racconta questa nuova avventura dell’artista:
“Sembra scritto nel destino il percorso artistico di Fabrizio Fontana, in quello stesso nome condiviso con uno dei maggiori capolavori del Novecento. Predestinazione o pura casualità poco importa, ma come in Fontana di Marcel Duchamp, anche il lavoro di Fabrizio cela, dietro l’aspetto ironico e dissacratorio, complessi significati e verità più profonde. Con il genio francese Fontana condivide la propensione speculativa generata da un approccio ludico alla realtà. Un modus operandi storicamente connotato, all’origine di molteplici capolavori del secolo trascorso, tradotto dall’artista salentino in un’esortazione al gioco – o “jioko” come egli ama scrivere – e alla visionarietà tipica dei teneri anni.
Al Tetris, gioco cult degli anni Ottanta, sul quale si sono consumati anni e acribia adolescenziali, è dedicato un filone di ricerca importante della sua produzione. Presentato per la prima volta nel 2006, il tema è ora riproposto con lavori inediti e nuove finalità. Una revisione progettuale nata da una sincera riflessione sul sistema dell’arte, immaginato come un quadrilatero i cui lati sono rispettivamente rappresentati dall’artista, dal critico-curatore, dal gallerista (ma anche dall’operatore museale) e dal collezionista-pubblico. Ciascun elemento è fondamentale per chiudere il cerchio, o meglio, per completare il quadrato. In assenza anche di una sola di queste componenti, il sistema permarrebbe incompleto, inconsistente ed autoreferenziale. Un’indagine impietosa che ha condotto l’artista alla creazione di diciassette opere, differenti l’una dall’altra ma intrinsecamente legate dalla verve polemica, sempre abilmente celata dalla rosea parvenza degli elementi oggettuali, e dalla frase componibile sul retro: opere opistografe, dunque, assemblaggi in box sul fronte, scrittura dipinta sul retro.
Punto focale del sistema è la vendita, che, una volta compiuta, segna il distacco dell’opera dal suo creatore e il diradarsi del rapporto con le opere coeve. Una necessità per l’artista, ma anche un rammarico, simile ad una paternità ceduta. Ma attraverso la scritta retrostante Fontana ha trovato il modo di assoggettare le sue creature ad un sistema di autocontrollo, legandole indissolubilmente le une alle altre. In esse idee politiche, abitudini sociali, dinamiche culturali e spunti autobiografici appaiono condensati in una sintassi iconica che cede volentieri all’eccesso. Un surplus cromatico e formale prodotto da una personalità dicotomica in cui la spensieratezza del bambino trova un proprio equilibrio con la consapevolezza dell’adulto. I titoli, sempre esplicitati, contribuiscono fattivamente all’economia compositiva mediante inserimenti testuali attinti ad ambiti eterogenei, dal letterario al popolare. Nelle sue opere detti e versi assumono uguale dignità, affiancandosi e sovrapponendosi in maniera analoga a quanto nell’esistenza umana fanno tragedia e allegria, vita e morte, bene e male. Concetti, questi, tutti contemplati nell’operare dell’artista, insinuati nel piano pittorico in forma demitizzata, proprio come fossero trattati da un bambino.
Con attività da bricoler Fontana monta legni, crea stencil, fonde resina, applica giocattoli. Ogni lavoro, carico di riferimenti oggettuali, testuali, numerici e perfino gestuali, si configura come un micromondo, suscitando nello spettatore stimoli memoriali e capacità immedesimatorie. Osservando le sue composizioni, l’occhio indugia sul singolo dettaglio, scoprendo i giochi dell’infanzia e sollecitando il ricordo. D’altronde “la memoria possiede già in sé ogni immagine che l’occhio, vedendo, non fa che ritrovare” (Valerio Adami). Serio e faceto, sacro e profano, si combinano magistralmente in opere che dietro l’aspetto beffardo pongono molteplici interrogativi, indorando la pillola dell’entropia esistenziale. Narrativa ed estetica s’intrecciano creando un ensamble visivamente dirompente e pregno di complessi riferimenti simbolici. Confermando il gusto dell’artista per la citazione, parole e immagini attingono continuamente al doppio senso, accompagnate nella loro polisemia e mai forzate ad esprimere pensieri contrari alla propria natura. Un procedimento di mise en abyme all’interno del quale combinare gli opposti, indagare il paradosso e porre in discussione il comune sentire.
Questo testo è destinato a rimanere flebile traccia di un’operazione culturale perspicace. A vernissage concluso, la frase retrostante sarà smembrata per rivelarsi, solo a distanza di anni, ad un impegnato collezionista che, nel rileggerla, ne ricaverà un monito sulle pratiche collezionistiche e sulle complesse dinamiche della fruizione artistica. Un brano composto da cento lettere, tante quanti sono i moduli in cui sono divisi i retri delle singole opere: al tempo stesso raggiunta conquista e imperdonabile tradimento. Rivelando una pratica condivisa, la scritta rappresenterà per il collezionista il game over, un duro colpo per il suo compiacimento estetico, per la sua mania di possesso. È questo l’approdo definitivo e la chiave interpretativa dell’intero progetto.
Partito dall’indagine sulle pratiche collezionistiche l’artista ha prodotto ognuna delle diciassette opere immaginando un futuro compratore in grado di ricomporle. Diciassette, perché uno più sette dà otto, simbolo dell’infinito, della continua ed estenuante ricerca del pezzo mancante. Condizionato da suggestioni dadaiste, il recente lavoro di Fontana sembra conoscere nella dimensione scritturale un trait d’union con gli arazzi di Alighiero Boetti, ma, a differenza dell’artista torinese, che ha dato ad ogni opera un senso compiuto, il nostro artista ha costituito un lavoro multiplo, testualmente e semanticamente componibile.
Attraverso l’ennesima trovata Fontana sembra esortarci al gioco e al recupero dell’infanzia perduta. Ma dietro il volto ludico – un dietro fisico oltre che concettuale – le sue opere rivelano una profonda riflessione sulle contraddizioni dell’esistenza, sulle dinamiche del collezionismo e, per estensione, sull’intero sistema dell’arte. Ed è su questa via che il gioco si fa serio”.
La sera dell'inaugurazione è prevista la presentazione del brano inedito dei "T for Trivellor" (gruppo musicale emergente salentino) dedicato al Tetris di Fabrizio Fontana.
Si comincia alle ore 20.00.
Salentino di nascita, Fontana fa del gioco il fulcro di tutto il suo lavoro e in questa mostra, giocando giocando, mette in atto, in performance, un’idea geniale che promette di risolvere il grande dissidio interiore che dilania l’artista tutte le volte che con la vendita si vede costretto a cedere la paternità delle sue opere.
Ecco come Carmelo Cipriani, curatore della mostra, ci racconta questa nuova avventura dell’artista:
“Sembra scritto nel destino il percorso artistico di Fabrizio Fontana, in quello stesso nome condiviso con uno dei maggiori capolavori del Novecento. Predestinazione o pura casualità poco importa, ma come in Fontana di Marcel Duchamp, anche il lavoro di Fabrizio cela, dietro l’aspetto ironico e dissacratorio, complessi significati e verità più profonde. Con il genio francese Fontana condivide la propensione speculativa generata da un approccio ludico alla realtà. Un modus operandi storicamente connotato, all’origine di molteplici capolavori del secolo trascorso, tradotto dall’artista salentino in un’esortazione al gioco – o “jioko” come egli ama scrivere – e alla visionarietà tipica dei teneri anni.
Al Tetris, gioco cult degli anni Ottanta, sul quale si sono consumati anni e acribia adolescenziali, è dedicato un filone di ricerca importante della sua produzione. Presentato per la prima volta nel 2006, il tema è ora riproposto con lavori inediti e nuove finalità. Una revisione progettuale nata da una sincera riflessione sul sistema dell’arte, immaginato come un quadrilatero i cui lati sono rispettivamente rappresentati dall’artista, dal critico-curatore, dal gallerista (ma anche dall’operatore museale) e dal collezionista-pubblico. Ciascun elemento è fondamentale per chiudere il cerchio, o meglio, per completare il quadrato. In assenza anche di una sola di queste componenti, il sistema permarrebbe incompleto, inconsistente ed autoreferenziale. Un’indagine impietosa che ha condotto l’artista alla creazione di diciassette opere, differenti l’una dall’altra ma intrinsecamente legate dalla verve polemica, sempre abilmente celata dalla rosea parvenza degli elementi oggettuali, e dalla frase componibile sul retro: opere opistografe, dunque, assemblaggi in box sul fronte, scrittura dipinta sul retro.
Punto focale del sistema è la vendita, che, una volta compiuta, segna il distacco dell’opera dal suo creatore e il diradarsi del rapporto con le opere coeve. Una necessità per l’artista, ma anche un rammarico, simile ad una paternità ceduta. Ma attraverso la scritta retrostante Fontana ha trovato il modo di assoggettare le sue creature ad un sistema di autocontrollo, legandole indissolubilmente le une alle altre. In esse idee politiche, abitudini sociali, dinamiche culturali e spunti autobiografici appaiono condensati in una sintassi iconica che cede volentieri all’eccesso. Un surplus cromatico e formale prodotto da una personalità dicotomica in cui la spensieratezza del bambino trova un proprio equilibrio con la consapevolezza dell’adulto. I titoli, sempre esplicitati, contribuiscono fattivamente all’economia compositiva mediante inserimenti testuali attinti ad ambiti eterogenei, dal letterario al popolare. Nelle sue opere detti e versi assumono uguale dignità, affiancandosi e sovrapponendosi in maniera analoga a quanto nell’esistenza umana fanno tragedia e allegria, vita e morte, bene e male. Concetti, questi, tutti contemplati nell’operare dell’artista, insinuati nel piano pittorico in forma demitizzata, proprio come fossero trattati da un bambino.
Con attività da bricoler Fontana monta legni, crea stencil, fonde resina, applica giocattoli. Ogni lavoro, carico di riferimenti oggettuali, testuali, numerici e perfino gestuali, si configura come un micromondo, suscitando nello spettatore stimoli memoriali e capacità immedesimatorie. Osservando le sue composizioni, l’occhio indugia sul singolo dettaglio, scoprendo i giochi dell’infanzia e sollecitando il ricordo. D’altronde “la memoria possiede già in sé ogni immagine che l’occhio, vedendo, non fa che ritrovare” (Valerio Adami). Serio e faceto, sacro e profano, si combinano magistralmente in opere che dietro l’aspetto beffardo pongono molteplici interrogativi, indorando la pillola dell’entropia esistenziale. Narrativa ed estetica s’intrecciano creando un ensamble visivamente dirompente e pregno di complessi riferimenti simbolici. Confermando il gusto dell’artista per la citazione, parole e immagini attingono continuamente al doppio senso, accompagnate nella loro polisemia e mai forzate ad esprimere pensieri contrari alla propria natura. Un procedimento di mise en abyme all’interno del quale combinare gli opposti, indagare il paradosso e porre in discussione il comune sentire.
Questo testo è destinato a rimanere flebile traccia di un’operazione culturale perspicace. A vernissage concluso, la frase retrostante sarà smembrata per rivelarsi, solo a distanza di anni, ad un impegnato collezionista che, nel rileggerla, ne ricaverà un monito sulle pratiche collezionistiche e sulle complesse dinamiche della fruizione artistica. Un brano composto da cento lettere, tante quanti sono i moduli in cui sono divisi i retri delle singole opere: al tempo stesso raggiunta conquista e imperdonabile tradimento. Rivelando una pratica condivisa, la scritta rappresenterà per il collezionista il game over, un duro colpo per il suo compiacimento estetico, per la sua mania di possesso. È questo l’approdo definitivo e la chiave interpretativa dell’intero progetto.
Partito dall’indagine sulle pratiche collezionistiche l’artista ha prodotto ognuna delle diciassette opere immaginando un futuro compratore in grado di ricomporle. Diciassette, perché uno più sette dà otto, simbolo dell’infinito, della continua ed estenuante ricerca del pezzo mancante. Condizionato da suggestioni dadaiste, il recente lavoro di Fontana sembra conoscere nella dimensione scritturale un trait d’union con gli arazzi di Alighiero Boetti, ma, a differenza dell’artista torinese, che ha dato ad ogni opera un senso compiuto, il nostro artista ha costituito un lavoro multiplo, testualmente e semanticamente componibile.
Attraverso l’ennesima trovata Fontana sembra esortarci al gioco e al recupero dell’infanzia perduta. Ma dietro il volto ludico – un dietro fisico oltre che concettuale – le sue opere rivelano una profonda riflessione sulle contraddizioni dell’esistenza, sulle dinamiche del collezionismo e, per estensione, sull’intero sistema dell’arte. Ed è su questa via che il gioco si fa serio”.
La sera dell'inaugurazione è prevista la presentazione del brano inedito dei "T for Trivellor" (gruppo musicale emergente salentino) dedicato al Tetris di Fabrizio Fontana.
Si comincia alle ore 20.00.
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