Omaggio a Christo
Dal 02 Aprile 2022 al 02 Maggio 2022
Chiari | Brescia
Luogo: GALLERIA D'ARTE L'INCONTRO
Indirizzo: Via XXVI Aprile 38
Orari: da 10,00-12,00 | 15,30-18,30
Curatori: Cosimo Bruno
Telefono per informazioni: +39.030.712537
E-Mail info: info@galleriaincontro.it
Sito ufficiale: http://www.galleriaincontro.it
Sul finire degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta gli artisti avvertirono il bisogno di stringere un confronto attivo con il mondo a loro circostante. Se in un primo momento tale dialogo porterà all’appropriazione e all’inclusione di oggetti reali, quotidiani, nell’opera, in un secondo momento si assisterà alla fuoriuscita dell’arte dallo spazio elitario delle gallerie e dei musei, e all’instaurarsi di un rapporto nuovo, diretto, ora compartecipativo, con il pubblico. L’obiettivo era quello di mettere in crisi tanto la natura fisica oggettuale dell’opera quanto le convinzioni artistiche allora dominanti.
È all’interno di questa premessa che si colloca il lavoro di Christo, artista che è riuscito con la sua arte, “sempre all’avanguardia, spesso precorritrice delle nuove tendenze, dei nouveaux réalistes come della land art americana” (1), a condensare il clima del tempo a lui presente.
Nel 1956 Christo, poco più che ventenne, decide di fuggire dalla Bulgaria del dopoguerra verso l’Europa occidentale. Tappe del suo viaggio sono dapprima Praga, poi Vienna e Ginevra, per giungere infine nella primavera del 1958 a Parigi. È durante questo percorso liberatorio che avrà la possibilità di assimilare la lezione dell’arte moderna occidentale e dare luogo alla prima serie di oggetti impacchettati: Inventory (1958). Le opere, ancora cariche del vissuto personale, sono barattoli di pittura e cibo, bottiglie e casse vuote, barili da petrolio, avvolti con tessuto intriso di resina, poi legati con corda o spago e finiti con una miscela di sabbia, colla e vernice, e un sottile strato di lacca. L’impacchettare, l’occultare un oggetto, come ebbe a spiegare David Bourdon è in realtà, contrariamente a un’affrettata conclusione, un’azione puramente rivelatrice. Una volta coperti, occultati dal loro normale aspetto e funzione, anche gli oggetti più familiari diventano qualcosa d’altro. Cambia la relazione con essi: ci coinvolgono e ci stimolano a osservare e ad approcciarci in modo inedito al quotidiano.
Il gesto si riassume presto nell’uso esclusivo di corda e tessuto, parimenti la gamma di oggetti utilizzati e la scala dei suoi lavori si accresceranno. Infatti, è con il trasferimento, nel 1960, nello studio parigino di Gentilly, un garage confinante con un deposito di fusti di petrolio usati, che Christo ha la possibilità di dare forma alle sue prime opere di grandi dimensioni. I barili di petrolio, ora oggetti di facile appropriazione, diventano espediente per esplorare il dialogo con lo spazio e l’ambiente circostante. Tali riflessioni lo porteranno a una svolta concettuale nella sua arte, con la realizzazione dei primi interventi all’interno del perimetro urbano.
La notte del 27 giugno 1962 Christo innalza un muro temporaneo composto da 240 fusti di petrolio, bloccando il passaggio in Rue de Visconti nei pressi della Senna. “Il muro di barili produceva […] un effetto molto simile a quello degli impacchettamenti, che privavano gli oggetti della loro utilità: negava e sopprimeva la funzione utilitaria della strada.” (2) È con questa azione, Wall of Oil Barrels - The Iron Curtain, forse la più politicamente impegnata, in quanto diretta risposta all’innalzamento del Muro di Berlino (1961), che si affermerà la primarietà della dimensione progettuale nella sua pratica artistica: il progetto era infatti già stato redatto nell’ottobre del ’61 con tanto di fotomontaggio e descrizione dettagliata del futuro intervento.
Da questo momento Christo con costanza progetta e dà forma a idee per opere giganti e temporanee, non immaginazioni utopiche ma idee concrete da attuare insieme a Jeanne-Claude, compagna e anima organizzativa del duo. La sua “è come una spedizione nel complicato processo del creare” (3), le opere esistono dapprima in forma di disegni preparatori, collage, che recano schizzi in scala, tavole, mappe, appunti tecnici, misurazioni, fotografie, materiali di realizzazione. Servono come strumenti di registrazione delle scelte intraprese, rivelano le idee dandone forma. Sono studi di fattibilità, per “oggetti ben precisi” (4), che Christo restituisce con minuzia di particolari grazie alla solida formazione accademica ricevuta presso l’Accademia di Belle Arti di Sofia e, successivamente, di Vienna. Questi lavori sono inoltre mezzo di autofinanziamento per l’attività artistica della coppia: hanno sempre rifiutato con forza ogni sovvenzione e sponsorizzazione, pubblica e privata, al fine di non minare mai la loro assoluta libertà.
Con l’arrivo a New York nel 1964 la scala delle opere cresce ulteriormente. Christo, colpito dai grattacieli e dalle costruzioni newyorkesi, progetta di impacchettare alcune strutture di Lower Manhattan e nel 1968 di bloccare la 53rd strada all’altezza del MoMa, con una struttura composta da 441 barili di petrolio. I lavori per il Museum of Modern Art di New York saranno molteplici, Christo avrebbe voluto, infatti, impacchettare la facciata del museo e il giardino interno con gli alberi e le sculture presenti. Per l’occasione il MoMa realizzerà, nel giugno dello stesso anno, la mostra Christo Wraps the Museum: Scale Models, Photomontages, and Drawings for a Non-Event esponendo i disegni preparatori, i collage e modelli in scala realizzati dall’artista. Lo stesso anno impacchetta la Kunstal di Berna nonché la torre medievale e la fontana barocca della Piazza del Mercato a Spoleto.
Per l’artista, l’Italia è stata scenario di numerosi lavori, tra cui a Milano l’impacchettamento della statua di Vittorio Emanuele II e di Leonardo da Vinci per il X anniversario del Nouveau Réalisme nel 1970. Prima di ricadere su questi monumenti l’idea era stata quella di impacchettare il Duomo e successivamente, al diniego da parte della Curia, l’Arco della Pace, ostacolata questa dal Demanio. In occasione di tale ricorrenza la Rotonda della Besana è stata sede di una grande esposizione retrospettiva sul movimento e teatro di numerose manifestazioni. Lo stesso Christo ipotizzò un progetto per tale struttura, ideando di drappeggiarne l’ampio portico. Qualche anno dopo si troverà nuovamente in Italia, a Roma, per avvolgere un tratto di 259 metri delle Mura Aureliane (The Wall - Wrapped Roman Wall 1973-1974).
È in questo periodo che alle azioni nello spazio urbano si aggiungono e si intervallano imponenti interventi inseriti all’interno del paesaggio naturale: luoghi rurali, talvolta solitari, ma mai deserti, in quanto il suo operare si situa sempre nel dialogo tra un ambiente, un sito, un monumento e la vita che vi si inscrive. Così nel 1969 impacchetta 2,4 chilometri di costa rocciosa della Little Bay nel New South Wales, in Australia, mentre nel 1972 innalza una barriera di telo di nylon arancione di 18,600 metri quadrati, a Riffle in California, realizzando Valley Curtain. Lo stesso anno inizia a progettare Running Fence, poi realizzata nel ’76: un nastro, un profilo, di nylon bianco alto 5,5 metri che si estendeva per 39,4 chilometri tra le colline delle contee di Sonoma e Marin nel nord della Californiaper infine sfociare nell’Oceano Pacifico. Nel 1983 realizza Surrounded Islands nella baia di Biscayne, in Florida e l’anno seguente inizia a dar forma a The Umbrellas che solo il 9 ottobre 1991 vedrà la sua concretizzazione con la partecipazione di 1.880 operai intenti a installare 3.100 ombrelloni tra le valli di Ibuki (in Giappone) e la California. È il 1985 quando, invece, riuscirà nell’intento di avvolgere per 14 giorni - durata usuale delle sue realizzazioni - il Pount Neuf a Parigi. Negli anni erano stati diversi i progetti ideati, poi mai realizzati, per tal tipo di strutture: il Ponte Sant Angelo a Roma nel ‘67, l’Harbour Bridge a Sydney nel ’69 e il Pont Alexandre III, nella stessa Parigi, nel ’72.
Dopo una negoziazione prolungatasi sin dagli anni 70, nel 1995, anche al Reichstag di Berlino verrà restituita nuova dimensione estetica. “Il progetto aveva una straordinaria qualità dinamica, e questa è una parte molto importante di tutte le nostre opere. Non sono statiche come il legno, la pietra e l’acciaio” (5), affermerà Christo in un’intervista.
Da lì a presto, nel novembre del ‘98, avrà modo di dare compimento anche al lavoro sugli alberi avviato già dalla metà degli anni Sessanta. Il progetto Wrapped Trees, ora realizzato, prevedeva l’avvolgimento, con il tessuto in poliestere usato tradizionalmente in Giappone per proteggere gli alberi dal gelo e dalle abbondanti nevicate invernali, di 178 alberi situati nel Berower Park e nel prato circostante l’edificio - disegnato da Renzo Piano - della Fondazione Beyeler a Riehen. “I rami dei Wrapped Trees premevano sul tessuto trasparente che li avvolgeva creando volumi dinamici di luci e ombre che si muovevano al vento, dando vita a forme e superfici nuove modellate dalle corde del tessuto.” (6) L’attenzione e il lavoro sugli alberi sono iniziati nel 1966 quando realizza il primo progetto per un ‘wrapped trees’, da lì saranno molteplici gli interventi proposti ma mai accolti, si ricorda in particolare, nello stesso anno, il progetto per avvolge una quarantina di alberi del Saint Louis Art Museum in Missouri e successivamente, nel 1969, di 330 alberi costeggianti l'Avenue des Champs-Élysées a Parigi.
L’ultimo intervento che vide Christo attivo nella sua realizzazione è stato The Floating Piers per il Lago d’Iseo nel 2016, tuttavia i suoi progetti continuano a vivere e prendere forma anche dopo la scomparsa dell’artista, avvenuta il 31 maggio 2020. Risale all’autunno del 2021 l’attuazione dell’impacchettamento dell’Arc de Triomphe; in corso è, invece, la realizzazione del progetto La Mastaba per Abu Dhabi. Christo desiderava che i suoi progetti proseguissero anche dopo la sua morte, poiché non necessitano dell’intervento diretto dell’artista nella fase di trasposizione nella dimensione concreta, in quanto l’opera esiste già - sebbene in forma non ancora compiuta - nei disegni, nei collage, negli studi a noi restituiti.
Molti parlando di Christo si sono riferiti a lui, ora, come un “land artist”, ora, come un “artista concettuale”. Lui dal canto suo ha rifiutato sempre queste rigide categorizzazioni. La sua arte a ben guardare non si lascia etichettare, come d'altronde non è etichettabile la sua figura. “Non so cosa sono; scultore? pittore? architetto?”[7] Sebbene il suo lavoro sia pianamente inserito nelle vicende artistiche della seconda metà del secolo scorso, di cui ne condivide ideali e sentimenti, Christo ha portato avanti la sua ricerca con assoluta libertà, dando forma a un’arte e a un modo di fare arte personalissimo e originale. “Sono un artista totalmente irrazionale, totalmente irresponsabile e completamente libero” [8], ha affermato in una delle sue ultime interviste. Christo, a cui la mostra qui presentata vuole rendere omaggio, ha vissuto con gioia il mondo e si è lasciato ispirare da esso: un oggetto quotidiano, un luogo, una costruzione, un elemento naturale lo portano a immaginare ciò che ancora non c’è ma che potrebbe esserci o diventare. La sua arte è “il risultato dell’intelligenza e dell’intuizione estetica applicate ad uno specifico luogo naturale o edificato” (9).Le sue opere, sempre nuove e diverse, meravigliose ed effimere, creano relazioni inedite con ciò che conosciamo, ci insegnano e attivano a guardare con nuova coscienza al reale.
Si tratta sempre di svelare e dare nuova vita, far percepire un luogo con nuova consapevolezza. (Christo)
(1) Rudy Chiappini, Christo e Jean-Claude, in Rudy Chiappini (a cura di) Christo e Jean-Claude, Museo d’Arte Moderna della Città di Lugano, Skira, Ginevra-Milano, 2006, p.16.
(2) David Bourdon, Christo, Harry N. Abrams, New York, 1970, in Rudy Chiappini (a cura di), Christo e Jean-Claude, Museo d’Arte Moderna della Città di Lugano, Skira, Ginevra-Milano, 2006, p.74.
(3) Christo in Gianfranco Mantegna, Intervista con Christo e Jean-Claude, Journal of Contemporary Art, https://www.jcaonline.com/Christo.html.
(4) Ibidem.
(5) Christo in Jan Garden Castro, A Matter of Passion: A Conversation with Christo e Jean-Claude, in Sculpture Magazine, vol 23. N. 3, aprile 2004.
(6) Germano Celant, Christo e Jean-Claude Water Projects, Silvana Editoriale, Milano, 2016, p. 266.
[7] Christo in Jill Spalding, Christo: ‘Art is useless’, Studio International, Novembre 2018, https://www.studiointernational.com/index.php/christo-interview-art-is-useless-surrounded-islands-perez-museum-miami
[8] Christo in Nicholas Glass, In one of his last interviews, Christo speaks about life in lockdown and wrapping the Arc de Triomphe, in The Art NewsPaper, giugno 2020, https://www.theartnewspaper.com/2020/06/01/in-one-of-his-last-interviews-christo-speaks-about-life-in-lockdown-and-wrapping-the-arc-de-triomphe.
(9) Albert Ensen, La Libertà di essere i Christo, in Riccardo Grasselli Contini, Ettore Camuffo (Ideazione e realizzazione editoriale) Christo e Jean-Claude XTO & J - C, Galleria D’Arte Contini, Grafiche Peruzzo S.p.A., Viaggiano, 2004, p. 7
È all’interno di questa premessa che si colloca il lavoro di Christo, artista che è riuscito con la sua arte, “sempre all’avanguardia, spesso precorritrice delle nuove tendenze, dei nouveaux réalistes come della land art americana” (1), a condensare il clima del tempo a lui presente.
Nel 1956 Christo, poco più che ventenne, decide di fuggire dalla Bulgaria del dopoguerra verso l’Europa occidentale. Tappe del suo viaggio sono dapprima Praga, poi Vienna e Ginevra, per giungere infine nella primavera del 1958 a Parigi. È durante questo percorso liberatorio che avrà la possibilità di assimilare la lezione dell’arte moderna occidentale e dare luogo alla prima serie di oggetti impacchettati: Inventory (1958). Le opere, ancora cariche del vissuto personale, sono barattoli di pittura e cibo, bottiglie e casse vuote, barili da petrolio, avvolti con tessuto intriso di resina, poi legati con corda o spago e finiti con una miscela di sabbia, colla e vernice, e un sottile strato di lacca. L’impacchettare, l’occultare un oggetto, come ebbe a spiegare David Bourdon è in realtà, contrariamente a un’affrettata conclusione, un’azione puramente rivelatrice. Una volta coperti, occultati dal loro normale aspetto e funzione, anche gli oggetti più familiari diventano qualcosa d’altro. Cambia la relazione con essi: ci coinvolgono e ci stimolano a osservare e ad approcciarci in modo inedito al quotidiano.
Il gesto si riassume presto nell’uso esclusivo di corda e tessuto, parimenti la gamma di oggetti utilizzati e la scala dei suoi lavori si accresceranno. Infatti, è con il trasferimento, nel 1960, nello studio parigino di Gentilly, un garage confinante con un deposito di fusti di petrolio usati, che Christo ha la possibilità di dare forma alle sue prime opere di grandi dimensioni. I barili di petrolio, ora oggetti di facile appropriazione, diventano espediente per esplorare il dialogo con lo spazio e l’ambiente circostante. Tali riflessioni lo porteranno a una svolta concettuale nella sua arte, con la realizzazione dei primi interventi all’interno del perimetro urbano.
La notte del 27 giugno 1962 Christo innalza un muro temporaneo composto da 240 fusti di petrolio, bloccando il passaggio in Rue de Visconti nei pressi della Senna. “Il muro di barili produceva […] un effetto molto simile a quello degli impacchettamenti, che privavano gli oggetti della loro utilità: negava e sopprimeva la funzione utilitaria della strada.” (2) È con questa azione, Wall of Oil Barrels - The Iron Curtain, forse la più politicamente impegnata, in quanto diretta risposta all’innalzamento del Muro di Berlino (1961), che si affermerà la primarietà della dimensione progettuale nella sua pratica artistica: il progetto era infatti già stato redatto nell’ottobre del ’61 con tanto di fotomontaggio e descrizione dettagliata del futuro intervento.
Da questo momento Christo con costanza progetta e dà forma a idee per opere giganti e temporanee, non immaginazioni utopiche ma idee concrete da attuare insieme a Jeanne-Claude, compagna e anima organizzativa del duo. La sua “è come una spedizione nel complicato processo del creare” (3), le opere esistono dapprima in forma di disegni preparatori, collage, che recano schizzi in scala, tavole, mappe, appunti tecnici, misurazioni, fotografie, materiali di realizzazione. Servono come strumenti di registrazione delle scelte intraprese, rivelano le idee dandone forma. Sono studi di fattibilità, per “oggetti ben precisi” (4), che Christo restituisce con minuzia di particolari grazie alla solida formazione accademica ricevuta presso l’Accademia di Belle Arti di Sofia e, successivamente, di Vienna. Questi lavori sono inoltre mezzo di autofinanziamento per l’attività artistica della coppia: hanno sempre rifiutato con forza ogni sovvenzione e sponsorizzazione, pubblica e privata, al fine di non minare mai la loro assoluta libertà.
Con l’arrivo a New York nel 1964 la scala delle opere cresce ulteriormente. Christo, colpito dai grattacieli e dalle costruzioni newyorkesi, progetta di impacchettare alcune strutture di Lower Manhattan e nel 1968 di bloccare la 53rd strada all’altezza del MoMa, con una struttura composta da 441 barili di petrolio. I lavori per il Museum of Modern Art di New York saranno molteplici, Christo avrebbe voluto, infatti, impacchettare la facciata del museo e il giardino interno con gli alberi e le sculture presenti. Per l’occasione il MoMa realizzerà, nel giugno dello stesso anno, la mostra Christo Wraps the Museum: Scale Models, Photomontages, and Drawings for a Non-Event esponendo i disegni preparatori, i collage e modelli in scala realizzati dall’artista. Lo stesso anno impacchetta la Kunstal di Berna nonché la torre medievale e la fontana barocca della Piazza del Mercato a Spoleto.
Per l’artista, l’Italia è stata scenario di numerosi lavori, tra cui a Milano l’impacchettamento della statua di Vittorio Emanuele II e di Leonardo da Vinci per il X anniversario del Nouveau Réalisme nel 1970. Prima di ricadere su questi monumenti l’idea era stata quella di impacchettare il Duomo e successivamente, al diniego da parte della Curia, l’Arco della Pace, ostacolata questa dal Demanio. In occasione di tale ricorrenza la Rotonda della Besana è stata sede di una grande esposizione retrospettiva sul movimento e teatro di numerose manifestazioni. Lo stesso Christo ipotizzò un progetto per tale struttura, ideando di drappeggiarne l’ampio portico. Qualche anno dopo si troverà nuovamente in Italia, a Roma, per avvolgere un tratto di 259 metri delle Mura Aureliane (The Wall - Wrapped Roman Wall 1973-1974).
È in questo periodo che alle azioni nello spazio urbano si aggiungono e si intervallano imponenti interventi inseriti all’interno del paesaggio naturale: luoghi rurali, talvolta solitari, ma mai deserti, in quanto il suo operare si situa sempre nel dialogo tra un ambiente, un sito, un monumento e la vita che vi si inscrive. Così nel 1969 impacchetta 2,4 chilometri di costa rocciosa della Little Bay nel New South Wales, in Australia, mentre nel 1972 innalza una barriera di telo di nylon arancione di 18,600 metri quadrati, a Riffle in California, realizzando Valley Curtain. Lo stesso anno inizia a progettare Running Fence, poi realizzata nel ’76: un nastro, un profilo, di nylon bianco alto 5,5 metri che si estendeva per 39,4 chilometri tra le colline delle contee di Sonoma e Marin nel nord della Californiaper infine sfociare nell’Oceano Pacifico. Nel 1983 realizza Surrounded Islands nella baia di Biscayne, in Florida e l’anno seguente inizia a dar forma a The Umbrellas che solo il 9 ottobre 1991 vedrà la sua concretizzazione con la partecipazione di 1.880 operai intenti a installare 3.100 ombrelloni tra le valli di Ibuki (in Giappone) e la California. È il 1985 quando, invece, riuscirà nell’intento di avvolgere per 14 giorni - durata usuale delle sue realizzazioni - il Pount Neuf a Parigi. Negli anni erano stati diversi i progetti ideati, poi mai realizzati, per tal tipo di strutture: il Ponte Sant Angelo a Roma nel ‘67, l’Harbour Bridge a Sydney nel ’69 e il Pont Alexandre III, nella stessa Parigi, nel ’72.
Dopo una negoziazione prolungatasi sin dagli anni 70, nel 1995, anche al Reichstag di Berlino verrà restituita nuova dimensione estetica. “Il progetto aveva una straordinaria qualità dinamica, e questa è una parte molto importante di tutte le nostre opere. Non sono statiche come il legno, la pietra e l’acciaio” (5), affermerà Christo in un’intervista.
Da lì a presto, nel novembre del ‘98, avrà modo di dare compimento anche al lavoro sugli alberi avviato già dalla metà degli anni Sessanta. Il progetto Wrapped Trees, ora realizzato, prevedeva l’avvolgimento, con il tessuto in poliestere usato tradizionalmente in Giappone per proteggere gli alberi dal gelo e dalle abbondanti nevicate invernali, di 178 alberi situati nel Berower Park e nel prato circostante l’edificio - disegnato da Renzo Piano - della Fondazione Beyeler a Riehen. “I rami dei Wrapped Trees premevano sul tessuto trasparente che li avvolgeva creando volumi dinamici di luci e ombre che si muovevano al vento, dando vita a forme e superfici nuove modellate dalle corde del tessuto.” (6) L’attenzione e il lavoro sugli alberi sono iniziati nel 1966 quando realizza il primo progetto per un ‘wrapped trees’, da lì saranno molteplici gli interventi proposti ma mai accolti, si ricorda in particolare, nello stesso anno, il progetto per avvolge una quarantina di alberi del Saint Louis Art Museum in Missouri e successivamente, nel 1969, di 330 alberi costeggianti l'Avenue des Champs-Élysées a Parigi.
L’ultimo intervento che vide Christo attivo nella sua realizzazione è stato The Floating Piers per il Lago d’Iseo nel 2016, tuttavia i suoi progetti continuano a vivere e prendere forma anche dopo la scomparsa dell’artista, avvenuta il 31 maggio 2020. Risale all’autunno del 2021 l’attuazione dell’impacchettamento dell’Arc de Triomphe; in corso è, invece, la realizzazione del progetto La Mastaba per Abu Dhabi. Christo desiderava che i suoi progetti proseguissero anche dopo la sua morte, poiché non necessitano dell’intervento diretto dell’artista nella fase di trasposizione nella dimensione concreta, in quanto l’opera esiste già - sebbene in forma non ancora compiuta - nei disegni, nei collage, negli studi a noi restituiti.
Molti parlando di Christo si sono riferiti a lui, ora, come un “land artist”, ora, come un “artista concettuale”. Lui dal canto suo ha rifiutato sempre queste rigide categorizzazioni. La sua arte a ben guardare non si lascia etichettare, come d'altronde non è etichettabile la sua figura. “Non so cosa sono; scultore? pittore? architetto?”[7] Sebbene il suo lavoro sia pianamente inserito nelle vicende artistiche della seconda metà del secolo scorso, di cui ne condivide ideali e sentimenti, Christo ha portato avanti la sua ricerca con assoluta libertà, dando forma a un’arte e a un modo di fare arte personalissimo e originale. “Sono un artista totalmente irrazionale, totalmente irresponsabile e completamente libero” [8], ha affermato in una delle sue ultime interviste. Christo, a cui la mostra qui presentata vuole rendere omaggio, ha vissuto con gioia il mondo e si è lasciato ispirare da esso: un oggetto quotidiano, un luogo, una costruzione, un elemento naturale lo portano a immaginare ciò che ancora non c’è ma che potrebbe esserci o diventare. La sua arte è “il risultato dell’intelligenza e dell’intuizione estetica applicate ad uno specifico luogo naturale o edificato” (9).Le sue opere, sempre nuove e diverse, meravigliose ed effimere, creano relazioni inedite con ciò che conosciamo, ci insegnano e attivano a guardare con nuova coscienza al reale.
Si tratta sempre di svelare e dare nuova vita, far percepire un luogo con nuova consapevolezza. (Christo)
(1) Rudy Chiappini, Christo e Jean-Claude, in Rudy Chiappini (a cura di) Christo e Jean-Claude, Museo d’Arte Moderna della Città di Lugano, Skira, Ginevra-Milano, 2006, p.16.
(2) David Bourdon, Christo, Harry N. Abrams, New York, 1970, in Rudy Chiappini (a cura di), Christo e Jean-Claude, Museo d’Arte Moderna della Città di Lugano, Skira, Ginevra-Milano, 2006, p.74.
(3) Christo in Gianfranco Mantegna, Intervista con Christo e Jean-Claude, Journal of Contemporary Art, https://www.jcaonline.com/Christo.html.
(4) Ibidem.
(5) Christo in Jan Garden Castro, A Matter of Passion: A Conversation with Christo e Jean-Claude, in Sculpture Magazine, vol 23. N. 3, aprile 2004.
(6) Germano Celant, Christo e Jean-Claude Water Projects, Silvana Editoriale, Milano, 2016, p. 266.
[7] Christo in Jill Spalding, Christo: ‘Art is useless’, Studio International, Novembre 2018, https://www.studiointernational.com/index.php/christo-interview-art-is-useless-surrounded-islands-perez-museum-miami
[8] Christo in Nicholas Glass, In one of his last interviews, Christo speaks about life in lockdown and wrapping the Arc de Triomphe, in The Art NewsPaper, giugno 2020, https://www.theartnewspaper.com/2020/06/01/in-one-of-his-last-interviews-christo-speaks-about-life-in-lockdown-and-wrapping-the-arc-de-triomphe.
(9) Albert Ensen, La Libertà di essere i Christo, in Riccardo Grasselli Contini, Ettore Camuffo (Ideazione e realizzazione editoriale) Christo e Jean-Claude XTO & J - C, Galleria D’Arte Contini, Grafiche Peruzzo S.p.A., Viaggiano, 2004, p. 7
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