R.E.M.I.D.A. The Gold Factory
Dal 11 Dicembre 2021 al 27 Marzo 2022
Biella
Luogo: M.A.C.I.S.T. Museum
Indirizzo: Via Costa di Riva 9
Orari: sabato e domenica 15-19,15
Curatori: Mark Bertazzoli
Costo del biglietto: ingresso libero con offerta
Telefono per informazioni: +39 338 8772385
E-Mail info: info@macist.it
Sito ufficiale: http://www.macist.it
I R.E.M.I.D.A., artisti che intendono rivelare attraverso l’oro l’alchimia dell’arte, giungono per la prima volta a Biella con le loro opere eleganti, irridenti e simboliche. Un insieme di sculture recenti, tutte rivestite dalla sfavillante foglia oro, ricondurrà le stanze del MACIST alla loro antica origine, facendo risorgere l’antica “Fabbrica dell’Oro”.
Il viaggio artistico dei R.E.M.I.D.A. inizia nel 1997, quando decidono di dare vita a nuove forme e creare le prime installazioni utilizzando la foglia oro, materiale che ricopre integralmente le loro sculture e rende qualsiasi oggetto di recupero o immagine un’opera d’arte allegorica, ironica e raffinata. La metamorfosi in oro lucente conferisce alle opere il dono dell’eternità e celebra gli oggetti della nostra quotidianità, suggestivi e a volte inutili, la cui transitorietà viene per sempre annullata dalla creazione artistica.
La filosofia del riciclo è sempre preminente nel lavoro dei R.E.M.I.D.A.. Essi, infatti, non si limitano solamente a foderare d’oro oggetti fragili e destinati all’oblio, ma perseguono saggiamente la via del riuso dei materiali, in quanto le loro opere vengono molto spesso scomposte e riciclate per la realizzazione di altri lavori, di soggetti inediti e pensieri più attuali.
Oltre al poliedrico impiego di molteplici oggetti di recupero, i R.E.M.I.D.A. si concentrano sovente anche sulle immagini, “scatole” che racchiudono storie uniche e dense di emozioni. É guardando queste originali rappresentazioni, congiunte ancora una volta con l’oro, che prevale una forte connotazione etica ed emergono in modo eloquente tutte le questioni sociali della società contemporanea. Del resto, il celebre mito greco avente per protagonista il re frigio Mida, colui che ricevette il nefasto “tocco d’oro” dal dio Dioniso, è quanto mai attuale nella società globale di oggi. Una civiltà vittima della cupidigia e un mondo sommerso dai rifiuti del consumismo.
The Gold Factory non è soltanto un riferimento alla tecnica “aurea” dei R.E.M.I.D.A., sempre indirizzati - in contrapposizione a certe tendenze concettuali - verso un’artigianalità manuale del fare arte, ma è anche un omaggio allo storico edificio che ospita il MACIST Museum: “La Fabbrica dell’Oro”. Esempio di archeologia industriale, l’antico stabile venne costruito nel 1901 dal biellese Giovanni Gualino (padre del più famoso Riccardo, grande imprenditore e proverbiale collezionista d’arte) e costituì, per diversi anni, uno dei centri nevralgici dell’arte orafa nell’Italia di inizio novecento. Prendendo altresì spunto da molte pagine di storia dell’arte rinascimentale, The Gold Factory intende anche indagare, proprio grazie alle suggestioni che vengono generate dal passato di un luogo - un opificio unico nel suo genere-, il rapporto tra arte e oreficeria, e ricordare le affinità e le analogie, che sono sempre esistite, tra artisti e orafi.
L’esposizione costituisce un avvincente excursus sulla produzione più attuale dei R.E.M.I.D.A.: assemblages di elementi che ispirano allo stesso tempo attrazione e inquietudine, in grado di ben rappresentare la loro più autentica cifra espressiva, in cui l’ironia diventa uno strumento di riflessione sul mondo contemporaneo, sulla società dei consumi e anche sul sistema dell’arte. Un sistema fatto spesso di ambiguità dove, da sempre, «non tutto quel ch’è oro brilla». E proprio a proposito del metallo più nobile, di ready-made e di considerazioni sul mercato dell’arte, vale qui la pena ricordare almeno la celeberrima Merda d’artistadi Piero Manzoni (1961), venduta a 300 grammi d’oro zecchino, e la provocatoria America (2008), un wc in oro a 18 carati installato da Maurizio Cattelan in una piccola stanza del Guggenheim di New York.
La mostra ha inizio con Auro (2018) e Marzia (2015), due affascinanti e perturbanti opere appartenenti alla serie dei Collezionisti. In questa considerevole serie, dedicata ai poetici e realistici volti di persone senza fissa dimora, i R.E.M.I.D.A. mostrano una delle problematiche sociali tipiche della metropoli. Barboni, clochard, homeless, vagabondi: dietro ogni sguardo si palesano storie di solitudine, di precarietà materiale, di tracollo finanziario, di disfacimento delle reti familiari. Dal momento che raramente si tratta di scelte personali, la società dovrebbe porsi qualche interrogativo in più e ritenersi, almeno in parte, sconfitta. La tipica “sindrome di accumulazione” dei senzatetto, inevitabilmente indirizzata agli oggetti inutili, consumati e ai rifiuti della collettività, fa di loro gli “ultimi dei collezionisti”. Questi assemblaggi perenni di oggetti, ultimo legame con la società degli “altri”, rappresentano dei piccoli tesori per chi è stato privato di tutto. Piccole e inutili cose per noi diventano così oggetti preziosi, sacri e densi di significato.
L’opera Re-use (2018), scultura di grandi dimensioni, rappresenta un esempio della predilezione che i R.E.M.I.D.A. nutrono per gli objet trouvé: in questo caso uno slanciato armadio ampolloso a due ante, con molteplici ripiani e cassetti, che racchiude al suo interno dodici scatole in plexiglass, con tanti piccoli oggettini di recupero luccicanti. Le originali e numerose decorazioni a tema naturale presenti nel mobile (il fogliame) sono ora completamente rivestite dalla scintillante foglia oro.
Una stimolante indagine sul trash quotidiano ci viene dalle sculture intitolate Rubbish (2020), due bidoni della spazzatura strabordanti di cose affascinanti e scarti dimenticati: lattine, bottiglie, scarpette, giocattoli di pezza, guantoni da boxe, insetti. Tra i vari oggetti ammonticchiati spunta chiaramente un’elegante e misteriosa maschera da ballo, verosimilmente una metafora sul tema della finzione artistica e un simbolo delle tante mistificazioni della realtà.
Dopocena e Genio (2021) appartengono al gruppo delle cosiddette “sparecchiature”, un genere che ci riporta subito alla mente - dapprima - i noti “quadri-trappola” di Daniel Spoerri, con stoviglie ammonticchiate e oggetti conviviali sparsi qua e là, e - poi - anche le più recenti sculture di Bertozzi & Casoni, in cui le stoviglie e gli avanzi sono realizzati in ceramica policroma. I R.E.M.I.D.A. rivestono interamente di oro i piatti, le tazzine, le posate, le teiere, i cibi e i vari alimenti da portata in un pasto tanto esteticamente seducente quanto «indigeribile», deleterio e mortale, proprio come accadeva nella leggenda di Re Mida.
Il collettivo R.E.M.I.D.A., nato dal 1997, si occupa di visualizzare attraverso l'oro l'alchimia dell'arte, lavorando a nuove forme e ad installazioni con una forte componente di design e recupero di materiali ed immagini e mettendo spesso in evidenza, attraverso l’oro, problematiche a forte connotazione etica.
Gli artisti R.E.M.I.D.A. iniziano la loro attività espositiva negli anni ottanta, in ambito nazionale ed internazionale, partecipando singolarmente, in gruppo e successivamente in simbiosi, a numerose iniziative artistiche. Diverse loro opere fanno parte della collezione del MAGA di Gallarate e della Pinacoteca di Villa Soranzo a Varallo Pombia. Negli anni novanta danno vita a Busto Arsizio ad “Aquifante”, spazio autogestito, palestra di idee, arte e cultura, luogo dove si mescolavano giovani artisti di grande talento ad artisti storicizzati e ad indimenticabili figure come Alda Merini.
Dopo la chiusura di “Aquifante”, nel 2002, i R.E.M.I.D.A. decidono di partecipare a poche selezionate esposizioni, con opere in spazi pubblici, culturali o in rare illuminate gallerie, disposte ad esporre progetti d'arte senza scopo di lucro, in quanto le opere dei R.E.M.I.D.A. non sono in vendita e alla fine di un loro naturale ciclo espositivo vengono spesso smontate e riciclate per la creazione di nuovi lavori, di nuovi progetti, di nuovi messaggi. Dal 2009 hanno collaborato con lo scenografo Osvaldo Desideri (premio Oscar per “L'ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci) per la creazione di installazioni e opere da collocare nelle locations di alcuni dei suoi progetti cinematografici.
Mark Bertazzoli, storico e critico d’arte, nasce nel 1986 a Biella, dove vive e lavora. Nel 2011 si laurea in storia contemporanea presso l’Università degli studi di Milano con la tesi “Una collana storica nell’Italia fascista. I Libri verdi Mondadori tra storia e romanzo (1932-1941)”, che pubblica nel 2013 per Edizioni Unicopli. Appassionato di arte contemporanea, nel 2015 conosce Omar Ronda che lo sceglie come assistente e lo nomina curatore del MACIST (Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze) di Biella-Riva. Presso il MACIST organizza e cura importanti mostre dedicate ad artisti contemporanei italiani e internazionali, tra cui Robert Rauschenberg, Michelangelo Pistoletto, Ugo Nespolo, Bertozzi & Casoni, Umberto Mariani, Luca Alinari e Plinio Martelli. Nel 2017 cura la doppia personale di Francesco Capello e Omar Ronda dedicata al mito Ferrari presso il Museo Ferrari di Maranello e ARC Gallery (Monza). Nel 2018 cura al MACIST una grande mostra collettiva dedicata alla Vespa Piaggio con opere di trentasei fra i maggiori artisti italiani contemporanei. Come responsabile dell’Archivio storico Omar Ronda, è co-autore, insieme a Vittoria Coen, del Catalogo ragionato dell’artista biellese, pubblicato da Skira nel 2019. Nel 2020/21 organizza e cura le due personali di Danilo Marchi “Back to Life” (Galleria Marelia, Bergamo) ed “Electric Hexagons” (Biella); segue infine “Gianni Depaoli - Hope”, a Biella e Torino.
In occasione dell’inaugurazione della mostra personale gli artisti doneranno un’opera alla Fondazione Edo ed Elvo Tempia Valenta per la lotta contro i tumori, che entrerà così a far parte della collezione museale.
Il viaggio artistico dei R.E.M.I.D.A. inizia nel 1997, quando decidono di dare vita a nuove forme e creare le prime installazioni utilizzando la foglia oro, materiale che ricopre integralmente le loro sculture e rende qualsiasi oggetto di recupero o immagine un’opera d’arte allegorica, ironica e raffinata. La metamorfosi in oro lucente conferisce alle opere il dono dell’eternità e celebra gli oggetti della nostra quotidianità, suggestivi e a volte inutili, la cui transitorietà viene per sempre annullata dalla creazione artistica.
La filosofia del riciclo è sempre preminente nel lavoro dei R.E.M.I.D.A.. Essi, infatti, non si limitano solamente a foderare d’oro oggetti fragili e destinati all’oblio, ma perseguono saggiamente la via del riuso dei materiali, in quanto le loro opere vengono molto spesso scomposte e riciclate per la realizzazione di altri lavori, di soggetti inediti e pensieri più attuali.
Oltre al poliedrico impiego di molteplici oggetti di recupero, i R.E.M.I.D.A. si concentrano sovente anche sulle immagini, “scatole” che racchiudono storie uniche e dense di emozioni. É guardando queste originali rappresentazioni, congiunte ancora una volta con l’oro, che prevale una forte connotazione etica ed emergono in modo eloquente tutte le questioni sociali della società contemporanea. Del resto, il celebre mito greco avente per protagonista il re frigio Mida, colui che ricevette il nefasto “tocco d’oro” dal dio Dioniso, è quanto mai attuale nella società globale di oggi. Una civiltà vittima della cupidigia e un mondo sommerso dai rifiuti del consumismo.
The Gold Factory non è soltanto un riferimento alla tecnica “aurea” dei R.E.M.I.D.A., sempre indirizzati - in contrapposizione a certe tendenze concettuali - verso un’artigianalità manuale del fare arte, ma è anche un omaggio allo storico edificio che ospita il MACIST Museum: “La Fabbrica dell’Oro”. Esempio di archeologia industriale, l’antico stabile venne costruito nel 1901 dal biellese Giovanni Gualino (padre del più famoso Riccardo, grande imprenditore e proverbiale collezionista d’arte) e costituì, per diversi anni, uno dei centri nevralgici dell’arte orafa nell’Italia di inizio novecento. Prendendo altresì spunto da molte pagine di storia dell’arte rinascimentale, The Gold Factory intende anche indagare, proprio grazie alle suggestioni che vengono generate dal passato di un luogo - un opificio unico nel suo genere-, il rapporto tra arte e oreficeria, e ricordare le affinità e le analogie, che sono sempre esistite, tra artisti e orafi.
L’esposizione costituisce un avvincente excursus sulla produzione più attuale dei R.E.M.I.D.A.: assemblages di elementi che ispirano allo stesso tempo attrazione e inquietudine, in grado di ben rappresentare la loro più autentica cifra espressiva, in cui l’ironia diventa uno strumento di riflessione sul mondo contemporaneo, sulla società dei consumi e anche sul sistema dell’arte. Un sistema fatto spesso di ambiguità dove, da sempre, «non tutto quel ch’è oro brilla». E proprio a proposito del metallo più nobile, di ready-made e di considerazioni sul mercato dell’arte, vale qui la pena ricordare almeno la celeberrima Merda d’artistadi Piero Manzoni (1961), venduta a 300 grammi d’oro zecchino, e la provocatoria America (2008), un wc in oro a 18 carati installato da Maurizio Cattelan in una piccola stanza del Guggenheim di New York.
La mostra ha inizio con Auro (2018) e Marzia (2015), due affascinanti e perturbanti opere appartenenti alla serie dei Collezionisti. In questa considerevole serie, dedicata ai poetici e realistici volti di persone senza fissa dimora, i R.E.M.I.D.A. mostrano una delle problematiche sociali tipiche della metropoli. Barboni, clochard, homeless, vagabondi: dietro ogni sguardo si palesano storie di solitudine, di precarietà materiale, di tracollo finanziario, di disfacimento delle reti familiari. Dal momento che raramente si tratta di scelte personali, la società dovrebbe porsi qualche interrogativo in più e ritenersi, almeno in parte, sconfitta. La tipica “sindrome di accumulazione” dei senzatetto, inevitabilmente indirizzata agli oggetti inutili, consumati e ai rifiuti della collettività, fa di loro gli “ultimi dei collezionisti”. Questi assemblaggi perenni di oggetti, ultimo legame con la società degli “altri”, rappresentano dei piccoli tesori per chi è stato privato di tutto. Piccole e inutili cose per noi diventano così oggetti preziosi, sacri e densi di significato.
L’opera Re-use (2018), scultura di grandi dimensioni, rappresenta un esempio della predilezione che i R.E.M.I.D.A. nutrono per gli objet trouvé: in questo caso uno slanciato armadio ampolloso a due ante, con molteplici ripiani e cassetti, che racchiude al suo interno dodici scatole in plexiglass, con tanti piccoli oggettini di recupero luccicanti. Le originali e numerose decorazioni a tema naturale presenti nel mobile (il fogliame) sono ora completamente rivestite dalla scintillante foglia oro.
Una stimolante indagine sul trash quotidiano ci viene dalle sculture intitolate Rubbish (2020), due bidoni della spazzatura strabordanti di cose affascinanti e scarti dimenticati: lattine, bottiglie, scarpette, giocattoli di pezza, guantoni da boxe, insetti. Tra i vari oggetti ammonticchiati spunta chiaramente un’elegante e misteriosa maschera da ballo, verosimilmente una metafora sul tema della finzione artistica e un simbolo delle tante mistificazioni della realtà.
Dopocena e Genio (2021) appartengono al gruppo delle cosiddette “sparecchiature”, un genere che ci riporta subito alla mente - dapprima - i noti “quadri-trappola” di Daniel Spoerri, con stoviglie ammonticchiate e oggetti conviviali sparsi qua e là, e - poi - anche le più recenti sculture di Bertozzi & Casoni, in cui le stoviglie e gli avanzi sono realizzati in ceramica policroma. I R.E.M.I.D.A. rivestono interamente di oro i piatti, le tazzine, le posate, le teiere, i cibi e i vari alimenti da portata in un pasto tanto esteticamente seducente quanto «indigeribile», deleterio e mortale, proprio come accadeva nella leggenda di Re Mida.
Il collettivo R.E.M.I.D.A., nato dal 1997, si occupa di visualizzare attraverso l'oro l'alchimia dell'arte, lavorando a nuove forme e ad installazioni con una forte componente di design e recupero di materiali ed immagini e mettendo spesso in evidenza, attraverso l’oro, problematiche a forte connotazione etica.
Gli artisti R.E.M.I.D.A. iniziano la loro attività espositiva negli anni ottanta, in ambito nazionale ed internazionale, partecipando singolarmente, in gruppo e successivamente in simbiosi, a numerose iniziative artistiche. Diverse loro opere fanno parte della collezione del MAGA di Gallarate e della Pinacoteca di Villa Soranzo a Varallo Pombia. Negli anni novanta danno vita a Busto Arsizio ad “Aquifante”, spazio autogestito, palestra di idee, arte e cultura, luogo dove si mescolavano giovani artisti di grande talento ad artisti storicizzati e ad indimenticabili figure come Alda Merini.
Dopo la chiusura di “Aquifante”, nel 2002, i R.E.M.I.D.A. decidono di partecipare a poche selezionate esposizioni, con opere in spazi pubblici, culturali o in rare illuminate gallerie, disposte ad esporre progetti d'arte senza scopo di lucro, in quanto le opere dei R.E.M.I.D.A. non sono in vendita e alla fine di un loro naturale ciclo espositivo vengono spesso smontate e riciclate per la creazione di nuovi lavori, di nuovi progetti, di nuovi messaggi. Dal 2009 hanno collaborato con lo scenografo Osvaldo Desideri (premio Oscar per “L'ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci) per la creazione di installazioni e opere da collocare nelle locations di alcuni dei suoi progetti cinematografici.
Mark Bertazzoli, storico e critico d’arte, nasce nel 1986 a Biella, dove vive e lavora. Nel 2011 si laurea in storia contemporanea presso l’Università degli studi di Milano con la tesi “Una collana storica nell’Italia fascista. I Libri verdi Mondadori tra storia e romanzo (1932-1941)”, che pubblica nel 2013 per Edizioni Unicopli. Appassionato di arte contemporanea, nel 2015 conosce Omar Ronda che lo sceglie come assistente e lo nomina curatore del MACIST (Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze) di Biella-Riva. Presso il MACIST organizza e cura importanti mostre dedicate ad artisti contemporanei italiani e internazionali, tra cui Robert Rauschenberg, Michelangelo Pistoletto, Ugo Nespolo, Bertozzi & Casoni, Umberto Mariani, Luca Alinari e Plinio Martelli. Nel 2017 cura la doppia personale di Francesco Capello e Omar Ronda dedicata al mito Ferrari presso il Museo Ferrari di Maranello e ARC Gallery (Monza). Nel 2018 cura al MACIST una grande mostra collettiva dedicata alla Vespa Piaggio con opere di trentasei fra i maggiori artisti italiani contemporanei. Come responsabile dell’Archivio storico Omar Ronda, è co-autore, insieme a Vittoria Coen, del Catalogo ragionato dell’artista biellese, pubblicato da Skira nel 2019. Nel 2020/21 organizza e cura le due personali di Danilo Marchi “Back to Life” (Galleria Marelia, Bergamo) ed “Electric Hexagons” (Biella); segue infine “Gianni Depaoli - Hope”, a Biella e Torino.
In occasione dell’inaugurazione della mostra personale gli artisti doneranno un’opera alla Fondazione Edo ed Elvo Tempia Valenta per la lotta contro i tumori, che entrerà così a far parte della collezione museale.
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