Renato Guttuso. Il Realismo e l’attualità dell’immagine
Dal 27 Marzo 2013 al 22 Settembre 2013
Aosta
Luogo: Museo Archeologico Regionale
Indirizzo: piazza Roncas 12
Orari: da martedì a domenica 10-18
Curatori: Flaminio Gualdoni, Franco Calarota
Enti promotori:
- Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta
Telefono per informazioni: +39 0165 274401
E-Mail info: u-mostre@regione.vda.it
Sito ufficiale: http://www.regione.vda.it
Se Pier Paolo Pasolini è stato il neorealista della parola, mentre Federico Fellini e Vittorio De Sica hanno portato il neorealismo al suo culmine sul grande schermo, Renato Guttuso è il maggiore esponente del realismo in pittura. Attraverso l’attentissima selezione di opere del Maestro riunite nella mostra realizzata dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta e ospitata al Museo Archeologico Regionale di Aosta, curata da Flaminio Gualdoni con Franco Calarota, il visitatore potrà instaurare di persona un dialogo con l’opera di un artista che cerca la verità proprio nella relazione con il suo pubblico.
La mostra riunisce oltre 50 opere primarie di Guttuso, dalla nature morte della fine degli anni ’30 e dei primi ’40 al drammatico Partigiana assassinata, 1954, dal visionarioBambino sul mostro, 1966, all’epico Comizio di quartiere, 1975.
Scrive Flaminio Gualdoni nel saggio introduttivo al catalogo: “Ora che l’ideologia dell’avanguardismo a ogni costo cede il posto a riflessioni meditate sul secondo dopoguerra, la scelta ispida di Guttuso, un’aristocrazia formale attenta allo stesso tempo alle ragioni essenziali del comunicare, conferma che il senso della storia può essere continuità e non rottura, far nuova la sostanza dello sguardo e non la pelle del far vedere, riportare l’umano al centro del discorso e non limitarsi a un’arte che parli solo d’arte”.
Profondamente coinvolto nel clima sociale e politico del suo tempo, Renato Guttuso è tra le coscienze più autorevoli dell’arte del secondo dopoguerra.
Sin dalla metà degli anni ’30 la sua scelta è chiara, in nome di una figurazione che da un lato recuperi in modo critico l’identità antica della pittura, la sua capacità di farsi racconto ed emblema, e dall’altro sia lo specchio critico di un rapporto intenso, lucido, drammatico anche, con la storia.
La precoce scelta antifascista, l’adesione al movimento comunista, ne fanno l’interprete maggiore di un realismo che non è scelta retorica e celebrativa, ma testimonianza critica del proprio tempo, del presente individuale e collettivo, di cui restituire una verità possibile.
“Vorrei arrivare alla totale libertà in arte, libertà che, come nella vita, consiste nella verità”, scrive Guttuso. E ancora: “Sempre ha contato, soprattutto, per me il rapporto con le cose. Trovare, o credere di trovare questo rapporto (naturalmente non stabile né fisso) ha significato, in qualche modo, tentare la possibilità di comunicare tale rapporto. Un’arte senza pubblico non esiste”.
Colta tanto quanto antiintellettualistica, la pittura di Guttuso sceglie temi di genere, dalla natura morta al ritratto al nudo, fondendo registri che vanno dall’amore per il Rinascimento e il Seicento all’umore popolaresco, dalla sintesi formalmente forte alla narratività, dall’evidenza potente delle cose all’allegoria.
La sua è, anche, partecipazione piena al dibattito delle avanguardie, di cui ha piena consapevolezza ma che sempre guarda da un punto di vista di piena, rivendicata autonomia.
Riflette sull’espressionismo, instaura un dialogo serrato con Picasso e le sue sintesi brucianti, polemizza con il disimpegno etico delle correnti a lui contemporanee, perché per lui la realtà “è un rendiconto di ciò che la realtà è, di ciò che è dell’uomo”.
La mostra riunisce oltre 50 opere primarie di Guttuso, dalla nature morte della fine degli anni ’30 e dei primi ’40 al drammatico Partigiana assassinata, 1954, dal visionarioBambino sul mostro, 1966, all’epico Comizio di quartiere, 1975.
Scrive Flaminio Gualdoni nel saggio introduttivo al catalogo: “Ora che l’ideologia dell’avanguardismo a ogni costo cede il posto a riflessioni meditate sul secondo dopoguerra, la scelta ispida di Guttuso, un’aristocrazia formale attenta allo stesso tempo alle ragioni essenziali del comunicare, conferma che il senso della storia può essere continuità e non rottura, far nuova la sostanza dello sguardo e non la pelle del far vedere, riportare l’umano al centro del discorso e non limitarsi a un’arte che parli solo d’arte”.
Profondamente coinvolto nel clima sociale e politico del suo tempo, Renato Guttuso è tra le coscienze più autorevoli dell’arte del secondo dopoguerra.
Sin dalla metà degli anni ’30 la sua scelta è chiara, in nome di una figurazione che da un lato recuperi in modo critico l’identità antica della pittura, la sua capacità di farsi racconto ed emblema, e dall’altro sia lo specchio critico di un rapporto intenso, lucido, drammatico anche, con la storia.
La precoce scelta antifascista, l’adesione al movimento comunista, ne fanno l’interprete maggiore di un realismo che non è scelta retorica e celebrativa, ma testimonianza critica del proprio tempo, del presente individuale e collettivo, di cui restituire una verità possibile.
“Vorrei arrivare alla totale libertà in arte, libertà che, come nella vita, consiste nella verità”, scrive Guttuso. E ancora: “Sempre ha contato, soprattutto, per me il rapporto con le cose. Trovare, o credere di trovare questo rapporto (naturalmente non stabile né fisso) ha significato, in qualche modo, tentare la possibilità di comunicare tale rapporto. Un’arte senza pubblico non esiste”.
Colta tanto quanto antiintellettualistica, la pittura di Guttuso sceglie temi di genere, dalla natura morta al ritratto al nudo, fondendo registri che vanno dall’amore per il Rinascimento e il Seicento all’umore popolaresco, dalla sintesi formalmente forte alla narratività, dall’evidenza potente delle cose all’allegoria.
La sua è, anche, partecipazione piena al dibattito delle avanguardie, di cui ha piena consapevolezza ma che sempre guarda da un punto di vista di piena, rivendicata autonomia.
Riflette sull’espressionismo, instaura un dialogo serrato con Picasso e le sue sintesi brucianti, polemizza con il disimpegno etico delle correnti a lui contemporanee, perché per lui la realtà “è un rendiconto di ciò che la realtà è, di ciò che è dell’uomo”.
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