Gely Korzhev. Back to Venice
Dal 11 Maggio 2019 al 31 Ottobre 2019
Venezia
Luogo: Ca' Foscari Esposizioni
Indirizzo: Dorsoduro 3246
Orari: da martedì a domenica (chiuso il lunedì) dalle 10 alle 18
Curatori: Faina Balachovskaja, Giuseppe Barbieri, Silvia Burini, Nadezhda Stepanova
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Torna a Venezia Gely Korzhev (1925-2012), una delle figure più eminenti del panorama pittorico, prima sovietico e poi russo, della seconda metà del Novecento. Il ritorno tra le lagune cade esattamente 57 anni dopo la sua partecipazione alla XXXI Biennale, quando, assieme tra gli altri a Viktor Popkov, risultò, nel padiglione dell’URSS, la voce più convincente del cosiddetto “stile severo” che cercava, nell’alveo ancora quasi inscalfito del realismo socialista, una via espressiva d’uscita dai canoni ferrei dell’epoca staliniana.
La mostra “Gely Korzhev. Back to Venice” – realizzata grazie a un’azione congiunta tra Galleria Tret’jakov, the Institute of Russian Realist Art e il Centro Studi sulle Arti della Russia (CSAR) di Ca’ Foscari, con il sostegno di IntesaSanpaolo – restituisce prima di tutto, con documenti, foto, proiezioni, e inoltre con il ricorso alle Information and Communication Technologies, la concretezza del trittico del pittore russo, la sala Korzhev e altri segni importanti presenti nel Padiglione del 1962. Ma è anche l’occasione – tre anni dopo la grande monografica dedicata a Korzhev dalla Galleria Tret’jakovskaja di Mosca – di presentare al pubblico italiano e internazionale, con oltre 50 dipinti, una consistente ed esauriente sequenza di opere del maestro, che non potranno che fare giustizia degli affrettati giudizi espressi in occasione della XXXI Biennale.
La rassegna di Ca’ Foscari non si presenta come una mostra antologica in senso stretto. Procede piuttosto per nuclei tematici ben definiti, focalizzandosi criticamente sugli aspetti che sono stati ritenuti più rilevanti nella vasta produzione dell’artista: davanti agli occhi degli spettatori sfileranno così i monumentali nudi dell’artista, le sue straordinarie nature morte, alcuni altri esempi particolarmente riusciti della sua originale declinazione della pittura realista sovietica; il centro essenziale del percorso si impernia tuttavia sulle immagini dolenti della memoria degli anni della Grande Guerra Patriottica, che è il nome russo della Seconda Guerra Mondiale, che sono anche i capolavori che hanno garantito a Korzhev il maggior riconoscimento internazionale: non casualmente Tracce di guerra (1963-1964) fu prescelto, tra oltre 500 opere esposte, come manifesto per la grande esposizione “Berlino-Mosca Mosca-Berlino” del 2003 al Martin Gropius Bau. La rassegna si conclude con le meditazioni visive del pittore sul collasso del sistema sovietico: sono dipinti a volte di accorato coinvolgimento, altre volte di recisa denuncia sociale, altre ancora grottesche, come nelle degenerazioni ibride dei cosiddetti Tyurlikis e negli scheletri dell’URSS.
L’esposizione, come recita il suo stesso titolo, costituisce anche l’occasione per rileggere, dopo più di mezzo secolo, quell’esordio veneziano di Korzhev.
Nel 1962 Larisa Salmina, il commissario del padiglione, esplicitava così i criteri con cui erano stati selezionati gli artisti che dovevano rappresentare la cultura artistica russa in una fase molto delicata della sua vicenda novecentesca, quella del disgelo post staliniano guidata da Nikita Khrushchev: «L’arte sovietica è rappresentata alla XXXI Biennale di Venezia da alcuni artisti appartenenti a varie nazionalità e generazioni. L’opera di questi artisti dà una chiara idea di quanto siano numerose le maniere creative, di quanto sia ricca la tematica che illustra la vita del popolo sovietico, e di come sia profondamente umana l’arte sovietica». Diversificazione di linguaggi, alternanza di generazioni, ancora saldo collegamento con «la vita del popolo sovietico»: per questo accanto alle figure emergenti di Korzhev e Popkov erano stati convocati anche giovani speranze e più collaudati accademici.
Korzhev vi espose una sorta di autoritratto in movimento (L’artista inginocchiato del 1961, che sta realizzando un piccolo nudo di donna a gessetti sul ciglio di un marciapiede, e tiene accanto a sé un basco con qualche moneta offerta dai passanti) e soprattutto il trittico Comunisti (1957-1960), ora al Museo Russo di Stato di San Pietroburgo. Sono tre vaste tele, due verticali, una orizzontale, di misure irregolari: la prima (in ordine di esecuzione), è intitolata Internazionale, dominata da due figure in piedi, due soldati dell’Armata Rossa su un campo di battaglia, una che suona il corno, l’altra, di spalle, che regge virilmente il vessillo del reggimento; la seconda – l’unica orizzontale: Alzando la bandiera – mostra un civile inginocchiato, che prende in mano la bandiera rossa abbandonata da un compagno caduto; la terza (Omero: lo studio) ha come protagonista uno scultore, in realtà in abiti militari, intento a modellare un busto del poeta greco.
Per opere di questo tenore – e nel padiglione comparivano anche dipinti di Deineka e soprattutto I costruttori di Bratsk di Popkov (il capolavoro 5 anni fa al centro dell’esposizione dedicatagli da Ca’ Foscari) – Renato Guttuso parlò allora di “resistenzialismo”; i critici italiani scrissero invece o di un «faticoso travaglio per il rinnovamento» (Mario De Micheli) o di un perdurante arretramento, come Paolo Rizzi che su “Il Gazzettino” denunciava: «Destalinizzare la pittura dei paesi socialisti. Già, come se tutto dipendesse da Stalin, come se bastasse togliere dai muri i ritratti del dittatore ripudiato. […] È troppo facile il giochetto. È troppo facile dire che tutta la creazione artistica dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti è alla vigilia di un cosciente rinnovamento che non intacca, anzi rafforza i valori». Dopo quasi sessant’anni il giudizio può essere diversamente storicizzato.
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