Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini

Francesco Hayez, Ruth, 1835

 

Dal 09 Febbraio 2019 al 16 Giugno 2019

Forlì | Forlì-Cesena

Luogo: Musei San Domenico

Indirizzo: Piazza Guido da Montefeltro 12

Curatori: Fernando Mazzocca, Francesco Leone



Antonio Paolucci, Fernando Mazzocca, Francesco Leone e Gianfranco Brunelli annunciano Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini, dal 9 febbraio al 16 giugno 2019, naturalmente presso i Musei San Domenico di Forlì.
 FOTO: Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini
“Una mostra - evidenzia il coordinatore, Gianfranco Brunelli - che vuole mettere un punto fermo sull’Ottocento italiano, dopo le centinaia di retrospettive che hanno indagato questo o quell’autore, questo o quell’aspetto, declinazione o sfaccettatura di quell’importante secolo”.
Più puntualmente, la scelta curatoriale (Fernando Mazzocca e Francesco Leone) ha voluto focalizzarsi sui sessant’anni fatidici che intecorrono tra l’Unità d’Italia e lo scoppio della Grande Guerra.
“Si passa - dicono i curatori - dall’ultima fase del Romanticismo e del Purismo al Realismo, dall’Eclettismo storicista al Simbolismo, dal Neorinascimento al Divisionismo presentando i capolavori, molti dei quali ancora da riscoprire, dei protagonisti di quei tormentati decenni”.
“Attraverso un immersivo viaggio nel tempo e nello spazio, ci vengono incontro capolavori di pittura e di scultura che segnano aspetti culturali e sociali nuovissimi, di impatto popolare e dal significato universale.
La varietà dei linguaggi con cui sono stati rappresentati consentono di ripercorrere le sperimentazioni stilistiche che hanno caratterizzato il corso dell’arte italiana nella seconda metà dell’Ottocento e alle soglie del nuovo secolo, in una coinvolgente dialettica tra la tradizione e la modernità”.

La mostra presenta, nella loro più importante produzione, pittori come Hayez, Induno, Molmenti, Pagliano, Faruffini, Cremona, Barabino, Bertini, Malatesta, Mussini, Maccari, Muzioli, Gamba, Gastaldi, Fontanesi, Grosso, Morelli, Costa, Fattori, Ussi, Signorini, Ciseri, Corcos, Michetti, Lojacono, Delleani, Mancini, Favretto, Michetti, Nono, Previati, Carcano, Longoni, Morbelli, Nomellini, Tito, Sartorio, Coleman, Cellini, Bargellini, De Carolis, De Nittis, Pellizza da Volpedo, Segantini, Boccioni, Balla; e scultori come Vela, Cecioni, Monteverde, Rosa, Tabacchi, Grandi, Gemito, Rutelli, Ximenes, Trentacoste, Canonica, Bistolfi.

Ma sarà anche la straordinaria occasione di far conoscere tanti altri artisti sorprendenti, oggi ingiustamente dimenticati.
“I due fuochi, iniziale e finale, Hayez e Segantini, tracciano certamente un confine simbolico - ribadisce Brunelli -. Ma quel confine dice ad un tempo tutto il recupero della classicità e tutto il rinnovamento di un secolo.
All’inizio e alla fine del secolo, entrambi sono pittori del rinnovamento dell’arte italiana. Se Hayez viene consacrato da Mazzini pittore della nazione, Segantini avrà da D’Annunzio, nella sua Ode in morte del pittore, analogo, alto riconoscimento”.

Per la mostra sono state scelte opere fondamentali, mai casuali, spesso prestiti prestigiosissimi, accanto ad opere quasi inedite che la mostra svela per la prima volta al suo pubblico. 

Ai Musei San Domenico non ci si limiterà alla pittura ma ci si immergerà in un confronto straordinario, tra architettura, pittura, scultura, illustrazione e arti decorative. Ripercorrere in questo modo le vicende dell’arte italiana nel mezzo secolo che ha preceduto la rivoluzione del Futurismo, consente di capire criticamente come l’arte sia stata non solo un formidabile strumento celebrativo e mediatico per creare consenso, ma anche il mezzo più popolare, “democratico” per far conoscere agli italiani i percorsi esaltanti e contraddittori di una storia antica e recente caratterizzata da slanci comuni e da forti tensioni e divisioni. 

L’arte - chiosa il Presidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, avvocato Roberto Pinza, che promuove la mostra - è stata anche un formidabile laboratorio per far conoscere e riscoprire le meraviglie naturalistiche del “bel paese” e quelle artistiche delle città che le esigenze della modernità stavano trasformando irrimediabilmente, com’è avvenuto nel caso di Firenze e di Roma quando vennero innalzate al rango di capitali; per presentare la varietà e il fascino degli usi e costumi delle diverse identità locali; per trasmettere l’eccellenza di tecniche artistiche: dalla scultura all’oreficeria, ad uno strepitoso artigianato, che venivano ancora richieste in tutto il mondo, come era avvenuto nel Rinascimento, ai tempi di Giambologna e di Benvenuto Cellini”.

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