In attesa dell'ultima produzione firmata Sky, nelle sale dal 27 settembre al 3 ottobre
Con il regista Emanuele Imbucci dentro "Michelangelo Infinito"
Enrico Lo Verso nel ruolo di un giovane Michelangelo al suo primo viaggio alle Cave di Marmo di Carrara, nel 1497, per scegliere i marmi per la Pietà Vaticana. Cave di marmo Calacata Crestola Borghini Carrara. Scena tratta dal film Michelangelo Infinito | Foto: © Stefano Montesi
Samantha De Martin
25/09/2018
Roma - Per la sua prima opera da regista sul grande schermo la parola d’ordine di Emanuele Imbucci è emozionare, raccontando la vita, la tecnica e l’istinto, la passione e le ossessioni del grande Michelangelo Buonarroti.
Investendo il pubblico del prezioso ruolo di assistente dell’immenso genio, ponendolo costantemente a fianco del maestro, il giovane regista di "Michelangelo infinito" trascina gli spettatori nel limbo di marmo dell’artista, in quella cava nel cuore delle Alpi Apuane che è anche il set naturale dell’intera opera.
E così l’ultima produzione firmata Sky, nelle sale dal 27 Settembre al 3 Ottobre, distribuita da Lucky Red, diventa un viaggio tra l’anima e le opere del maestro, che si insinua nel processo di creazione, invitando lo spettatore a parteciparvi, a sporcarsi le mani della stessa polvere bianca di quel magico marmo.
“Ogni sera, dopo essere stato sul set, ritornavo a casa sporco di polvere. Non sembra, ma il marmo è un materiale incredibile. Lo avevo sempre guardato nelle statue e lo vedevo immobile. Invece è duttile e insieme resistente, va lavorato con una forza pazzesca” spiega Imbucci.
Durante le riprese, fondamentale si è rivelata la consulenza degli scalpellini.
“Ho scoperto che c’è un determinato verso in cui la pietra va colpita prima di prendere forma. La grandezza racchiusa nella creazione dal marmo si comprende solo guardando le persone lavorare all’interno della cava, di questa potentissima cassa di risonanza che ci ha affascinati non appena vi abbiamo messo piede. Da una parte ti accoglie, dall’altra ti domina, come se fosse sul punto di inghiottirti. Maurizio Calvesi, direttore della fotografia di "Michelangelo infinito" è riuscito magistralmente a dipingere con la luce, enfatizzando la straordinaria peculiarità del marmo di riflettere, simile a uno specchio.
Girare nella cava non è stato semplice. Tutto si è svolto con estrema difficoltà, dal piazzamento dei materiali al posizionamento delle luci. Ed è per questo che ringrazio Sky, Cosetta Lagani - responsabile, autrice del soggetto e direttore artistico del film - e Magnitudo che hanno creduto in questa mia idea di portare il limbo di Michelangelo in quella che è stata molto più di una location”.
Cava che è anche una finestra dei pensieri sulla quale il film sospende le riflessioni di Michelangelo.
“Ho voluto raccontare l’idea del blocco che si riflette nell’acqua cercando un modo per creare delle transizioni verso le opere di Michelangelo. Questo liquido rispecchia le descrizioni e il fluire di ricordi del maestro”.
Ed in effetti la scena in cui il monolite, riflettendosi nella pozza, acquista le sembianze del David o quella in cui Michelangelo, sempre attraverso l’acqua, assume la posa nella quale fu ritratto da Raffaello nella Scuola di Atene, restano particolarmente impresse nella mente dello spettatore.
A questo punto il marmo diventa metafora dell’indole stessa dell’artista.
“Simile a Michelangelo, questo materiale si presenta a volte levigato e perfetto, altre volte ruvido ed estremamente graffiante. Solo una sovrumana capacità di astrazione è in grado di vedere la forma in un sasso. Ho capito di stare gestendo una materia veramente molto pesante - nel senso di delicata, preziosa - quando, sul set, con l’aiuto di due escavatori, ho sperimentato la difficoltà estrema nel muovere, anche se di pochi centimetri, un blocco in marmo alto 5 metri che rappresentava il riflesso del David. Chiedevo di spostare quel blocco, di porlo in verticale, di abbassarlo, ruotarlo. Sembrava una sorta di elegante balletto. Ma quando mi hanno detto che, venduto al dettaglio, quell’imponente sagoma di 20 tonnellate sarebbe potuta arrivare a costare un milione di euro, ho capito il valore, la delicatezza, di quello che stavamo maneggiando”.
L’ idea di soffermarsi sulla vicenda - meno nota - di un ragazzino, artefice, già a 15 anni, di capolavori incredibili, scaturisce, come spiega Imbucci, "dalla volontà di far riscoprire la scintilla iniziale", riportando in vita luoghi come il Giardino di San Marco, fortemente collegati all’artista.
Un’idea vincente quella del regista - già regista di seconda unità in "Raffaello-il Principe delle Arti", regista e co-sceneggiatore della serie "Donne" di Camilleri, andata in onda su Rai Uno nel 2016 - che conta oltre 15 anni di esperienza maturata attraverso produzioni cinematografiche e fiction.
Ma c’è qualche altro aspetto relativo a Michelangelo che ha colpito Emanuele Imbucci, pur non trovando spazio nel film?
“Michelangelo, ancora oggi, è carne, sangue, è anatomia, è passione sconfinata per l’arte greca e romana. Un episodio molto bello, assente nel film, ma che mi piace raccontare, è quello relativo al ritrovameto del Laocoonte nella vigna del colle Oppio, al quale il maestro, stando alle cronache dell’epoca, avrebbe assistito. Furono modelli come questo, carichi di titanico vigore ad ispirare le sue creazioni”.
Leggi anche:
• Michelangelo Infinito - La nostra recensione
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• Tour nei luoghi dove visse e lavorò Michelangelo
Investendo il pubblico del prezioso ruolo di assistente dell’immenso genio, ponendolo costantemente a fianco del maestro, il giovane regista di "Michelangelo infinito" trascina gli spettatori nel limbo di marmo dell’artista, in quella cava nel cuore delle Alpi Apuane che è anche il set naturale dell’intera opera.
E così l’ultima produzione firmata Sky, nelle sale dal 27 Settembre al 3 Ottobre, distribuita da Lucky Red, diventa un viaggio tra l’anima e le opere del maestro, che si insinua nel processo di creazione, invitando lo spettatore a parteciparvi, a sporcarsi le mani della stessa polvere bianca di quel magico marmo.
“Ogni sera, dopo essere stato sul set, ritornavo a casa sporco di polvere. Non sembra, ma il marmo è un materiale incredibile. Lo avevo sempre guardato nelle statue e lo vedevo immobile. Invece è duttile e insieme resistente, va lavorato con una forza pazzesca” spiega Imbucci.
Durante le riprese, fondamentale si è rivelata la consulenza degli scalpellini.
“Ho scoperto che c’è un determinato verso in cui la pietra va colpita prima di prendere forma. La grandezza racchiusa nella creazione dal marmo si comprende solo guardando le persone lavorare all’interno della cava, di questa potentissima cassa di risonanza che ci ha affascinati non appena vi abbiamo messo piede. Da una parte ti accoglie, dall’altra ti domina, come se fosse sul punto di inghiottirti. Maurizio Calvesi, direttore della fotografia di "Michelangelo infinito" è riuscito magistralmente a dipingere con la luce, enfatizzando la straordinaria peculiarità del marmo di riflettere, simile a uno specchio.
Girare nella cava non è stato semplice. Tutto si è svolto con estrema difficoltà, dal piazzamento dei materiali al posizionamento delle luci. Ed è per questo che ringrazio Sky, Cosetta Lagani - responsabile, autrice del soggetto e direttore artistico del film - e Magnitudo che hanno creduto in questa mia idea di portare il limbo di Michelangelo in quella che è stata molto più di una location”.
Cava che è anche una finestra dei pensieri sulla quale il film sospende le riflessioni di Michelangelo.
“Ho voluto raccontare l’idea del blocco che si riflette nell’acqua cercando un modo per creare delle transizioni verso le opere di Michelangelo. Questo liquido rispecchia le descrizioni e il fluire di ricordi del maestro”.
Ed in effetti la scena in cui il monolite, riflettendosi nella pozza, acquista le sembianze del David o quella in cui Michelangelo, sempre attraverso l’acqua, assume la posa nella quale fu ritratto da Raffaello nella Scuola di Atene, restano particolarmente impresse nella mente dello spettatore.
A questo punto il marmo diventa metafora dell’indole stessa dell’artista.
“Simile a Michelangelo, questo materiale si presenta a volte levigato e perfetto, altre volte ruvido ed estremamente graffiante. Solo una sovrumana capacità di astrazione è in grado di vedere la forma in un sasso. Ho capito di stare gestendo una materia veramente molto pesante - nel senso di delicata, preziosa - quando, sul set, con l’aiuto di due escavatori, ho sperimentato la difficoltà estrema nel muovere, anche se di pochi centimetri, un blocco in marmo alto 5 metri che rappresentava il riflesso del David. Chiedevo di spostare quel blocco, di porlo in verticale, di abbassarlo, ruotarlo. Sembrava una sorta di elegante balletto. Ma quando mi hanno detto che, venduto al dettaglio, quell’imponente sagoma di 20 tonnellate sarebbe potuta arrivare a costare un milione di euro, ho capito il valore, la delicatezza, di quello che stavamo maneggiando”.
L’ idea di soffermarsi sulla vicenda - meno nota - di un ragazzino, artefice, già a 15 anni, di capolavori incredibili, scaturisce, come spiega Imbucci, "dalla volontà di far riscoprire la scintilla iniziale", riportando in vita luoghi come il Giardino di San Marco, fortemente collegati all’artista.
Un’idea vincente quella del regista - già regista di seconda unità in "Raffaello-il Principe delle Arti", regista e co-sceneggiatore della serie "Donne" di Camilleri, andata in onda su Rai Uno nel 2016 - che conta oltre 15 anni di esperienza maturata attraverso produzioni cinematografiche e fiction.
Ma c’è qualche altro aspetto relativo a Michelangelo che ha colpito Emanuele Imbucci, pur non trovando spazio nel film?
“Michelangelo, ancora oggi, è carne, sangue, è anatomia, è passione sconfinata per l’arte greca e romana. Un episodio molto bello, assente nel film, ma che mi piace raccontare, è quello relativo al ritrovameto del Laocoonte nella vigna del colle Oppio, al quale il maestro, stando alle cronache dell’epoca, avrebbe assistito. Furono modelli come questo, carichi di titanico vigore ad ispirare le sue creazioni”.
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