A Torino dal 28 febbraio al 20 maggio
Frank Horvat: la fotografia è come un haiku
Frank Horvat, Cappello di Givenchy, 1958
Francesca Grego
01/03/2018
Torino - Duecento “ottime domande” o “coraggiosi tentativi di risposta” trafiggono gli occhi. A formularle, il talento cangiante di Frank Horvat.
Dal 28 febbraio a Palazzo Reale una selezione di scatti scelti personalmente dal fotografo mostrerà tutta la ricchezza di un percorso lungo quasi 70 anni, in cui Horvat ha abbracciato con lo sguardo mondi lontani e modelle di alta moda, opere d’arte e scenari naturali.
A questi si aggiungono una trentina di immagini tratte dalla raccolta personale del maestro di origine croata: “una collezione di miracoli” che portano le firme di autori come Brassai, André Kertesz, Henri Cartier-Bresson, Elliott Herwitt, Mario Giacomelli, Irving Penn, Sebastiao Salgado.
“Per me la fotografia non è veramente un’arte visuale, ma qualche cosa di più vicino alla poesia, come un haiku”, ha spiegato Horvat, che con sensibilità libera e originale ha affrontato ogni genere di sfide, influenzando l’evoluzione del linguaggio fotografico novecentesco.
C'è una storia dietro ogni scatto: dalla lotta agli stereotipi dell’alta moda, rinfrescata dalle primissime immagini di modelle in strada, senza trucco e senza parrucca, alle influenze di Caravaggio e Rembrandt nell’uso della luce o di Cartier-Bresson nella caccia dell’istante decisivo.
E poi i panorami umani dell’Asia, dell’America Latina e del Medio Oriente, catturati nel periodo in cui Horvat fu un reporter Magnum (1958-1951), per arrivare alle sperimentazioni più personali portate avanti dagli anni Settanta in poi, in cui quotidianità e fantasia s’incontrano sotto il comune denominatore della ricerca sul linguaggio con mezzi sempre nuovi, digitale compreso.
“Ho avuto la fortuna di fotografare per una settantina d’anni in un periodo in cui il mondo è cambiato più che in qualsiasi altra epoca”, racconta l’artista: “Ho avuto anche la fortuna di vivere in sei paesi diversi e di visitarne molti altri, di pensare, parlare e scrivere in quattro lingue e di avere altri interessi oltre alla fotografia, come la scrittura e l’oleicoltura".
"Ma l’eclettismo non è sempre stato un vantaggio per me: alcuni hanno messo in dubbio la sincerità del mio impegno, altri hanno trovato che le mie foto fossero poco ‘riconoscibili’, come se, dicevano fossero state fatte da autori diversi. Questo mi ha spinto a ripercorrere la mia opera per cercarvi un denominatore comune. Ne ho trovati quindici e non solo uno, quindici in tutto il mio percorso, e li ho chiamati ‘chiavi’”.
Luce, Tempo sospeso, Voyeur, Somiglianze, Fuori luogo, Autoritratti, La vera donna sono alcune di queste chiavi di lettura, cui si ispirano le 15 sezioni della mostra: un saggio di un universo molteplice e sfaccettato, da assaporare nel suo continuo divenire.
Dimenticando completamente che, secondo Horvat, “la fotografia è l’arte di non premere il bottone”.
Frank Horvat. Storia di un fotografo. Moda, cronaca e vita nelle immagini della sua carriera e della sua collezione sarà visitabile nelle Sale Chiablese di Palazzo Reale dal 28 febbraio al 20 maggio.
Leggi anche:
• 70 anni di Magnum Photos al Museo dell'Ara Pacis
• André Kertész, gli scatti del fotografo-poeta in mostra a Genova
• La Primavera di Praga in 100 immagini
• Frammenti di un bestiario amoroso: il legame uomo-animale in 46 scatti e due opere del Seicento
• La poesia degli occhi negli scatti di Danilo De Marco, esploratore di sguardi
Dal 28 febbraio a Palazzo Reale una selezione di scatti scelti personalmente dal fotografo mostrerà tutta la ricchezza di un percorso lungo quasi 70 anni, in cui Horvat ha abbracciato con lo sguardo mondi lontani e modelle di alta moda, opere d’arte e scenari naturali.
A questi si aggiungono una trentina di immagini tratte dalla raccolta personale del maestro di origine croata: “una collezione di miracoli” che portano le firme di autori come Brassai, André Kertesz, Henri Cartier-Bresson, Elliott Herwitt, Mario Giacomelli, Irving Penn, Sebastiao Salgado.
“Per me la fotografia non è veramente un’arte visuale, ma qualche cosa di più vicino alla poesia, come un haiku”, ha spiegato Horvat, che con sensibilità libera e originale ha affrontato ogni genere di sfide, influenzando l’evoluzione del linguaggio fotografico novecentesco.
C'è una storia dietro ogni scatto: dalla lotta agli stereotipi dell’alta moda, rinfrescata dalle primissime immagini di modelle in strada, senza trucco e senza parrucca, alle influenze di Caravaggio e Rembrandt nell’uso della luce o di Cartier-Bresson nella caccia dell’istante decisivo.
E poi i panorami umani dell’Asia, dell’America Latina e del Medio Oriente, catturati nel periodo in cui Horvat fu un reporter Magnum (1958-1951), per arrivare alle sperimentazioni più personali portate avanti dagli anni Settanta in poi, in cui quotidianità e fantasia s’incontrano sotto il comune denominatore della ricerca sul linguaggio con mezzi sempre nuovi, digitale compreso.
“Ho avuto la fortuna di fotografare per una settantina d’anni in un periodo in cui il mondo è cambiato più che in qualsiasi altra epoca”, racconta l’artista: “Ho avuto anche la fortuna di vivere in sei paesi diversi e di visitarne molti altri, di pensare, parlare e scrivere in quattro lingue e di avere altri interessi oltre alla fotografia, come la scrittura e l’oleicoltura".
"Ma l’eclettismo non è sempre stato un vantaggio per me: alcuni hanno messo in dubbio la sincerità del mio impegno, altri hanno trovato che le mie foto fossero poco ‘riconoscibili’, come se, dicevano fossero state fatte da autori diversi. Questo mi ha spinto a ripercorrere la mia opera per cercarvi un denominatore comune. Ne ho trovati quindici e non solo uno, quindici in tutto il mio percorso, e li ho chiamati ‘chiavi’”.
Luce, Tempo sospeso, Voyeur, Somiglianze, Fuori luogo, Autoritratti, La vera donna sono alcune di queste chiavi di lettura, cui si ispirano le 15 sezioni della mostra: un saggio di un universo molteplice e sfaccettato, da assaporare nel suo continuo divenire.
Dimenticando completamente che, secondo Horvat, “la fotografia è l’arte di non premere il bottone”.
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