Al cinema dal 27 settembre al 3 ottobre
Michelangelo infinito - La nostra recensione
Enrico Lo Verso, nel ruolo di Michelangelo, rievoca il ricordo del David che si materializza come riflesso del monolite di marmo, all’interno della Cava di Marmo di Carrara, da cui ha inizio la narrazione. Scena tratta dal film Michelangelo Infinito | Courtesy of Sky
Samantha De Martin
19/09/2018
Roma - Nello specchio d’acqua alimentato dal sudore e dal respiro della cava in cui Michelangelo riuscì a trovare "il marmo più bello del mondo" e dove ancora oggi gli artisti attingono materia sublime per dare forma ai propri sogni, il limbo cinematografico del “meraviglioso artista” trova il suo impareggiabile set naturale, allietato talvolta dall'armonia sublime del verso dantesco.
È qui, in questo insolito museo a cielo aperto nel cuore delle Alpi Apuane, dove 500 anni fa il “divino” aveva trascorso mesi a selezionare e lavorare i marmi trasformandoli in immortali capolavori, che prende vita il racconto che esplora l’anima, le mani, gli attrezzi da lavoro, le opere dell’immortale genio nutritosi, sin da bambino, con la polvere del bianco marmo, come fosse latte.
Non è facile racchiudere in poche parole "Michelangelo infinito", il sesto film d’arte prodotto da Sky, distribuito al cinema da Lucky Red dal 27 Settembre al 3 Ottobre, con la regia di Emanuele Imbucci e la direzione artistica di Cosetta Lagani.
Non lo è soprattutto perché la prima sensazione avvertita dallo spettatore dinnanzi alla vastissima produzione artistica di questo gigante - “infinito”, in quanto immortale, ma allo stesso tempo “in-finito”, in quella costante, maniacale, ossessiva ricerca di una perfezione quasi divina - è la stessa percepita da Michelangelo, e dall’intera troupe, di fronte a una delle cave di Carrara, l’attuale Calacata Borghini. Un sentimento di infinito stupore e di microscopica fattezza al cospetto della maestà titanica del marmo, di quelle pareti che, come ricorda lo stesso Buonarroti “cambiavano colore assecondando la luce del sole”.
Al limbo duro, squadrato, rigoroso di Michelangelo, interpretato da un intenso Enrico Lo Verso - dove il maestro rievoca gli snodi principali della sua vita, le riflessioni universali e i dubbi esistenziali che lo assalgono come artista e come uomo - si affianca quello più avvolgente, accomodante, affettuoso, di Giorgio Vasari, interpretato da Ivano Marescotti.
Come in un abbraccio - sensazione assecondata anche dalla forma ellittica del grande teatro in cui è ambientato il limbo storico dell’architetto - l’autore delle "Vite" ripercorre con una tenerezza, mista a fervida ammirazione, passione e insieme autorevolezza, la vita e la carriera del suo artista prediletto.
Tra queste due sfere, solo in apparenza separate, si inseriscono le musiche di Matteo Curallo, belle, potenti, che scandiscono l’entrata in scena di ciascuna opera d’arte fungendo da ponte tra il limbo di Vasari e quello del Buonarroti.
Ed eccole sfilare, belle da togliere il fiato con il loro potente impatto visivo, le poetiche sequenze del film. Ecco la sublime Testa di fauno, il Tondo Doni - riprodotto fedelmente all’originale - la Cappella Paolina, uno dei luoghi più riservati all’interno del Palazzo Apostolico, ecco il Mosè, La Pietà vaticana, ripresa oltre la teca di protezione, o ancora il David, protagonista di un vero “faccia a faccia” con il pubblico grazie all’ultra definizione del 4K HDR. O ancora il nascondiglio segreto al di sotto della Sagrestia Nuova nella Basilica di San Lorenzo, dove Michelangelo si sarebbe nascosto nel 1530. Ritenuto inizialmente un vano per conservare la legna, questo luogo angusto scoperto nel 1975 e solitamente chiuso al pubblico, grazie al film offre un’ idea di come doveva presentarsi agli occhi del maestro che, sulle pareti, aveva riprodotto alcuni disegni.
In questo viaggio nella vita inquieta dell’artista, tra i luoghi che da Firenze a Roma, da Milano alle Cave di Carrara, custodiscono parte della sua anima, il film compie un’impresa senza precedenti. E cioè tentare una ricostruzione filologica, emotiva della Cappella Sistina, come non l’abbiamo mai vista, ripercorrendone l’evoluzione, i cambiamenti della decorazione pittorica, dal 1508 al 1541 - anno della conclusione del Giudizio Universale - servendosi di emozionanti visual effects.
Il 1508 è l’anno in cui il maestro viene chiamato da papa Giulio II a sostituire la precedente decorazione della volta a cielo notturno a stelle realizzata da Pier Matteo D’Amelia, per far posto al Giudizio Universale. Grazie a preziosi documenti messi a disposizione dei Musei Vaticani il film consente quindi di seguire il reale svolgersi delle “giornate” di lavoro dell’artista e la tecnica esecutiva di riporto del cartone “a spolvero” utilizzata per la figura del Cristo Giudice.
E così il pubblico, quasi condividendo il ponteggio utilizzato dall’artista, diventa assistente, collaboratore, complice di quel potente miracolo artistico compiuto dal Buonarroti.
La Sistina prima di Michelangelo, i dipinti del Perugino sulla parete dell’altare cedono il posto al lavoro del maestro che “esplode” nella Creazione di Adamo e nel Cristo Giudice.
A fungere da fonte e da autorevole spartito per la ricostruzione fedele del personaggio, gli scritti che il genio fiorentino ha lasciato di sé, come le centinaia di Lettere e Rime, passate in rassegna dagli sceneggiatori e dalla consulenza scientifica dello storico dell’arte Vincenzo Farinella.
Nel definire un nuovo genere cinematografico, "Michelangelo infinito" compie un decisivo passo in avanti nella trasformazione dei film d’arte, da documentari cinematografici, a film “di autorevole finzione”, portando a compimento il dialogo tra il mondo del cinema e l'universo dell’arte.
Ma è nel finale, in quella struggente preghiera rivolta a Dio attraverso lo scalpello - che assume al tempo stesso i toni di una maledizione dalla quale emerge tutta la straziante solitudine di un artista immenso - che il film raggiunge il più alto pathos. Ed è in questo epilogo che la missione della produzione, di cucire tra pubblico e artista un sodalizio empatico, carico di intensità e vibrante intesa, appare definitivamente compiuta.
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Leggi anche:
• Giorgio Vasari: da biografo del Buonarroti a narratore nell'ultima produzione Sky
• Tour nei luoghi dove visse e lavorò Michelangelo
• Michelangelo infinito. L'immortale arte del genio arriva al cinema
• Presto al cinema Michelangelo infinito
È qui, in questo insolito museo a cielo aperto nel cuore delle Alpi Apuane, dove 500 anni fa il “divino” aveva trascorso mesi a selezionare e lavorare i marmi trasformandoli in immortali capolavori, che prende vita il racconto che esplora l’anima, le mani, gli attrezzi da lavoro, le opere dell’immortale genio nutritosi, sin da bambino, con la polvere del bianco marmo, come fosse latte.
Non è facile racchiudere in poche parole "Michelangelo infinito", il sesto film d’arte prodotto da Sky, distribuito al cinema da Lucky Red dal 27 Settembre al 3 Ottobre, con la regia di Emanuele Imbucci e la direzione artistica di Cosetta Lagani.
Non lo è soprattutto perché la prima sensazione avvertita dallo spettatore dinnanzi alla vastissima produzione artistica di questo gigante - “infinito”, in quanto immortale, ma allo stesso tempo “in-finito”, in quella costante, maniacale, ossessiva ricerca di una perfezione quasi divina - è la stessa percepita da Michelangelo, e dall’intera troupe, di fronte a una delle cave di Carrara, l’attuale Calacata Borghini. Un sentimento di infinito stupore e di microscopica fattezza al cospetto della maestà titanica del marmo, di quelle pareti che, come ricorda lo stesso Buonarroti “cambiavano colore assecondando la luce del sole”.
Al limbo duro, squadrato, rigoroso di Michelangelo, interpretato da un intenso Enrico Lo Verso - dove il maestro rievoca gli snodi principali della sua vita, le riflessioni universali e i dubbi esistenziali che lo assalgono come artista e come uomo - si affianca quello più avvolgente, accomodante, affettuoso, di Giorgio Vasari, interpretato da Ivano Marescotti.
Come in un abbraccio - sensazione assecondata anche dalla forma ellittica del grande teatro in cui è ambientato il limbo storico dell’architetto - l’autore delle "Vite" ripercorre con una tenerezza, mista a fervida ammirazione, passione e insieme autorevolezza, la vita e la carriera del suo artista prediletto.
Tra queste due sfere, solo in apparenza separate, si inseriscono le musiche di Matteo Curallo, belle, potenti, che scandiscono l’entrata in scena di ciascuna opera d’arte fungendo da ponte tra il limbo di Vasari e quello del Buonarroti.
Ed eccole sfilare, belle da togliere il fiato con il loro potente impatto visivo, le poetiche sequenze del film. Ecco la sublime Testa di fauno, il Tondo Doni - riprodotto fedelmente all’originale - la Cappella Paolina, uno dei luoghi più riservati all’interno del Palazzo Apostolico, ecco il Mosè, La Pietà vaticana, ripresa oltre la teca di protezione, o ancora il David, protagonista di un vero “faccia a faccia” con il pubblico grazie all’ultra definizione del 4K HDR. O ancora il nascondiglio segreto al di sotto della Sagrestia Nuova nella Basilica di San Lorenzo, dove Michelangelo si sarebbe nascosto nel 1530. Ritenuto inizialmente un vano per conservare la legna, questo luogo angusto scoperto nel 1975 e solitamente chiuso al pubblico, grazie al film offre un’ idea di come doveva presentarsi agli occhi del maestro che, sulle pareti, aveva riprodotto alcuni disegni.
In questo viaggio nella vita inquieta dell’artista, tra i luoghi che da Firenze a Roma, da Milano alle Cave di Carrara, custodiscono parte della sua anima, il film compie un’impresa senza precedenti. E cioè tentare una ricostruzione filologica, emotiva della Cappella Sistina, come non l’abbiamo mai vista, ripercorrendone l’evoluzione, i cambiamenti della decorazione pittorica, dal 1508 al 1541 - anno della conclusione del Giudizio Universale - servendosi di emozionanti visual effects.
Il 1508 è l’anno in cui il maestro viene chiamato da papa Giulio II a sostituire la precedente decorazione della volta a cielo notturno a stelle realizzata da Pier Matteo D’Amelia, per far posto al Giudizio Universale. Grazie a preziosi documenti messi a disposizione dei Musei Vaticani il film consente quindi di seguire il reale svolgersi delle “giornate” di lavoro dell’artista e la tecnica esecutiva di riporto del cartone “a spolvero” utilizzata per la figura del Cristo Giudice.
E così il pubblico, quasi condividendo il ponteggio utilizzato dall’artista, diventa assistente, collaboratore, complice di quel potente miracolo artistico compiuto dal Buonarroti.
La Sistina prima di Michelangelo, i dipinti del Perugino sulla parete dell’altare cedono il posto al lavoro del maestro che “esplode” nella Creazione di Adamo e nel Cristo Giudice.
A fungere da fonte e da autorevole spartito per la ricostruzione fedele del personaggio, gli scritti che il genio fiorentino ha lasciato di sé, come le centinaia di Lettere e Rime, passate in rassegna dagli sceneggiatori e dalla consulenza scientifica dello storico dell’arte Vincenzo Farinella.
Nel definire un nuovo genere cinematografico, "Michelangelo infinito" compie un decisivo passo in avanti nella trasformazione dei film d’arte, da documentari cinematografici, a film “di autorevole finzione”, portando a compimento il dialogo tra il mondo del cinema e l'universo dell’arte.
Ma è nel finale, in quella struggente preghiera rivolta a Dio attraverso lo scalpello - che assume al tempo stesso i toni di una maledizione dalla quale emerge tutta la straziante solitudine di un artista immenso - che il film raggiunge il più alto pathos. Ed è in questo epilogo che la missione della produzione, di cucire tra pubblico e artista un sodalizio empatico, carico di intensità e vibrante intesa, appare definitivamente compiuta.
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