Dal 28 gennaio al 23 marzo a Palazzo Sant'Elia
L'arte racconta il terremoto del Belice: a Palermo una mostra tra installazioni e scatti d'autore
Nicola Scafidi, baraccopoli Valle del Belice | Foto: © Nicola Scafidi
Samantha De Martin
15/01/2018
Palermo - Il racconto di un dramma affidato all’arte, agli scatti dei fotoreporter alle testimonianze di maestri come Guttuso, Schifano, Rotella, Scialoja, ai frammenti di scenografie di Pomodoro e Paladino, e ancora alla musica, ai versi dei poeti.
A cinquant’anni dal terremoto del Belice - quando, nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, una scossa colpì una vasta area della Sicilia orientale, la Valle del Belice, compresa tra le province di Trapani, Agrigento, Palermo - Palazzo Sant’Elia ospita a Palermo la mostra 1968/2018 Pausa sismica. Cinquant’anni dal terremoto del Belìce. Vicende e visioni, in programma dal 28 gennaio al 23 marzo.
Ed è così che la cronaca di un episodio drammatico compiutosi in tre violente scosse, una delle quali percepita fino a Pantelleria, che ridussero la luminosa valle del trapanese in un paesaggio lunare e privo di vita, passa attraverso la pluralità di linguaggi - dall’architettura al teatro, dalla fotografia alle installazioni contemporanee - tipica dell’arte.
Il ricordo dei circa 300 morti - anche se il numero esatto delle vittime non fu mai noto - dei circa mille feriti e degli oltre 70mila sfollati, trova spazio nelle sezioni della mostra a cura della Fondazione Orestiadi e coprodotta dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina.
Gli scatti di Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi - che si precipitarono nella Valle tra baraccopoli e macerie - si intrecciano ai primi documenti video, alla vita nelle baracche che ancora nel 1976 ospitavano oltre 47mila persone, raccontano di uomini e macerie in una Sicilia rurale, arretrata, a lungo dimenticata dallo Stato.
La sezione relativa alla cronaca, arricchita anche dei primi video delle Teche Rai, lascia spazio alla quella dedicata all’arte, dove spiccano opere di Guttuso, Schifano, Rotella, Scialoja, ai bozzetti di sculture e ai frammenti di scenografie di Pomodoro, Paladino, Isgrò per il festival internazionale delle Orestiadi.
E poi ci sono il futuro e la speranza, racchiusi nel progetto urbanistico per Gibellina Nuova o nel Cretto di Burri - un'opera di land art realizzata site specific dal pittore umbro nel luogo in cui sorgeva la città vecchia di Gibellina - ma anche tra le architetture, le sculture, i modelli delle opere realizzate dagli artisti che, raccogliendo l’appello del sindaco Ludovico Corrao, aderirono al tentativo di ricostruzione del territorio nel segno dell’arte.
Leggi anche:
• Il Grande Cretto di Burri
• Completato il Grande Cretto di Burri a Gibellina
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Ed è così che la cronaca di un episodio drammatico compiutosi in tre violente scosse, una delle quali percepita fino a Pantelleria, che ridussero la luminosa valle del trapanese in un paesaggio lunare e privo di vita, passa attraverso la pluralità di linguaggi - dall’architettura al teatro, dalla fotografia alle installazioni contemporanee - tipica dell’arte.
Il ricordo dei circa 300 morti - anche se il numero esatto delle vittime non fu mai noto - dei circa mille feriti e degli oltre 70mila sfollati, trova spazio nelle sezioni della mostra a cura della Fondazione Orestiadi e coprodotta dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina.
Gli scatti di Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi - che si precipitarono nella Valle tra baraccopoli e macerie - si intrecciano ai primi documenti video, alla vita nelle baracche che ancora nel 1976 ospitavano oltre 47mila persone, raccontano di uomini e macerie in una Sicilia rurale, arretrata, a lungo dimenticata dallo Stato.
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