In mostra al Musée de l’Orangerie fino al 20 agosto
A Parigi Monet precursore dell’Arte Astratta

Claude Monet (1840-1926) Les Nymphéas : Reflets verts (détail) Vers 1915-1926 Huile sur toile, 200 x 850 cm Musée de l’Orangerie - Salle 1, mur est Photo © Musée de l’Orangerie, Dist. RMN- Grand Palais / Sophie Crépy Boegly
Francesca Grego
27/04/2018
Mondo - Avete mai pensato alle Ninfee di Claude Monet come prodromi dell’arte astratta? Forse no, ma se dimentichiamo per un attimo il giardino di Giverny e il mito della pittura en plein air, guardando le sue tele i paralleli non tardano a palesarsi.
A indagare l’argomento al Musée de l’Orangerie di Parigi è ora la mostra Nimphéas. L’abstraction américaine et le dernier Monet, in programma fino al 20 agosto: un allestimento che mescola ai gioielli dell’artista francese una serie di capolavori dei protagonisti dell’avventura astratta statunitense, da Mark Rothko a Jackson Pollock. Trenta selezionatissime opere, provenienti da grandi musei come Whitman Museum of American Art di New York e il Musée d’Orsay, per risalire il corso della storia alla ricerca dei contatti tra due mondi molto diversi.
Se nel secondo dopoguerra Monet è un maestro di culto per i tanti artisti americani di stanza a Parigi, all’origine della sua importante influenza sull’astrazione d’Oltreoceano c’è una decisione del direttore del MoMa Alfred Barr, che nel 1955 porta a New York una delle Ninfee, mentre altri quadri della serie, ancora nell’atelier di Giverny, iniziano ad attrarre l’attenzione di collezionisti e musei.
“L’ultima maniera di Monet”, aveva scritto già nel 1948 il critico americano Clement Greenberg, “mette in crisi le convenzioni della pittura da cavalletto. Vent’anni dopo la sua morte, le sue pratiche sono diventate il punto di partenza di un nuovo modo di dipingere”.
Ammirato dal direttore del MoMa per la “vitalità delle superfici dipinte” e per il “sentimento di spontaneità” che emana dai suoi quadri, Monet ispira il nuovo filone dell’Impressionismo Astratto, termine coniato dal critico Elaine de Koonig per rappresentare artisti come Philip Guston o Joan Mitchell: alle impressioni della natura, al centro del lavoro di Monet, Sisley o Pissarro, i protagonisti di questa nuova tendenza sostituiscono il lirismo di “stati spirituali” e di “un’essenza mistica” che tuttavia si esprime attraverso gli stessi potenti “effetti ottici”.
Nel percorso espositivo curato da Cécile Debray, l’intera storia si dipana in tre sezioni - La Pittura all’Americana, L’Action Painting e L’Impressionismo Astratto – alla scoperta di connessioni impreviste: otto grandi tele di Claude Monet dialogano con opere di Barnett Newmann, Clyfford Still, Pollock, Rothko, Morris Louis, Philip Guston, Helen Frankethaler, Mark Tobey, Joan Mitchell, Sam Francis ed Ellsworth Kelly, scomparso nel 2015, cui è dedicato un tributo speciale.
A indagare l’argomento al Musée de l’Orangerie di Parigi è ora la mostra Nimphéas. L’abstraction américaine et le dernier Monet, in programma fino al 20 agosto: un allestimento che mescola ai gioielli dell’artista francese una serie di capolavori dei protagonisti dell’avventura astratta statunitense, da Mark Rothko a Jackson Pollock. Trenta selezionatissime opere, provenienti da grandi musei come Whitman Museum of American Art di New York e il Musée d’Orsay, per risalire il corso della storia alla ricerca dei contatti tra due mondi molto diversi.
Se nel secondo dopoguerra Monet è un maestro di culto per i tanti artisti americani di stanza a Parigi, all’origine della sua importante influenza sull’astrazione d’Oltreoceano c’è una decisione del direttore del MoMa Alfred Barr, che nel 1955 porta a New York una delle Ninfee, mentre altri quadri della serie, ancora nell’atelier di Giverny, iniziano ad attrarre l’attenzione di collezionisti e musei.
“L’ultima maniera di Monet”, aveva scritto già nel 1948 il critico americano Clement Greenberg, “mette in crisi le convenzioni della pittura da cavalletto. Vent’anni dopo la sua morte, le sue pratiche sono diventate il punto di partenza di un nuovo modo di dipingere”.
Ammirato dal direttore del MoMa per la “vitalità delle superfici dipinte” e per il “sentimento di spontaneità” che emana dai suoi quadri, Monet ispira il nuovo filone dell’Impressionismo Astratto, termine coniato dal critico Elaine de Koonig per rappresentare artisti come Philip Guston o Joan Mitchell: alle impressioni della natura, al centro del lavoro di Monet, Sisley o Pissarro, i protagonisti di questa nuova tendenza sostituiscono il lirismo di “stati spirituali” e di “un’essenza mistica” che tuttavia si esprime attraverso gli stessi potenti “effetti ottici”.
Nel percorso espositivo curato da Cécile Debray, l’intera storia si dipana in tre sezioni - La Pittura all’Americana, L’Action Painting e L’Impressionismo Astratto – alla scoperta di connessioni impreviste: otto grandi tele di Claude Monet dialogano con opere di Barnett Newmann, Clyfford Still, Pollock, Rothko, Morris Louis, Philip Guston, Helen Frankethaler, Mark Tobey, Joan Mitchell, Sam Francis ed Ellsworth Kelly, scomparso nel 2015, cui è dedicato un tributo speciale.
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