Fino al 3 ottobre alla Galleria Still di Milano
Fotografare l'arte: i grandi maestri dello scatto a confronto in una mostra
Gabriele Basilico, Palazzo della Civiltà Italiana, Roma, arch. Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula, Mario Romano, Stampa giclée su carta baritata
Samantha De Martin
09/09/2021
Milano - Avete mai pensato alla possibilità che una stessa opera d’arte, ritratta da due fotografi differenti, possa sembrare diversa, a seconda del punto di vista di colui che la immortala?
La mostra in corso fino al prossimo 3 ottobre alla Galleria Still di Milano affronta anche questo interessante aspetto, approfondendo l’inconsueto e originale tema della riproduzione fotografica dell’opera d’arte.
Il percorso espositivo, a cura di Eleonora Ballista in collaborazione con Denis Curti, esplora la tematica attraverso quarantasei immagini di quattordici illustri maestri dello scatto - da Gabriele Basilico a Elisabetta Catalano, da Franco Fontana a Piero Gemelli - che si sono interrogati su come fotografare l’arte.
"Fin dalla nascita della fotografia - spiega Eleonora Ballista - il rapporto con l’arte, intesa nel senso più classico, è stato complesso, a volte travagliato. I primi a riflettere sul tema sono stati gli storici dell’arte di metà Ottocento, per i quali la fotografia è stata una rivoluzione incredibile. Prima, per studiare l’opera lo storico doveva recarsi a vederla di persona, o al massimo ne entrava in contatto attraverso le incisioni che la riproducevano. Grazie alla fotografia non è più lo storico dell’arte che deve andare all’opera, ma è questa stessa a presentarsi allo studioso”.
© Piero Gemelli
Il rapporto tra arte e fotografia non si limita quindi alla mera riproduzione delle opere. Molti fotografi sono andati oltre il soggetto stesso, interessandosi anche all’artista, alla tecnica, al processo creativo.
E a questo punto la domanda che anche Umberto Eco si era posto nella sua introduzione al libro di Ugo Mulas e Pietro Consagra, Fotografare l’arte, su chi fosse davvero il fotografo d’arte, sorge spontanea.
“Sono assolutamente d’accordo con la risposta che Eco fornì nella sua introduzione al volume di Mulas e Consagra - spiega Ballista -. Il fotografo d’arte si fa “critico”, analizza l’opera, ma soprattutto deve cercare di immedesimarsi nell’artista tentando di capire cosa questo volesse dire”.
Il percorso allestito alla Galleria Still offre anche l’opportunità di seguire i cambiamenti sociali, ma soprattutto l’evoluzione del ruolo del fotografo. “Se all’inizio del percorso la figura del fotografo appare legata alle case editrici, alle pubblicazioni d’arte, al termine della mostra il visitatore ne capta l’evoluzione, coglie il legame tra il maestro dello scatto e il design, il mondo dell’entertainment”.
Enrico Cattaneo, Ugo Nespolo, Ospedale Psichiatrico, Volterra 1973, Stampa ai sali d’argento su carta politenata
Sono quattro le sezioni tematiche che scandiscono il percorso. La prima, Fotografare l’arte come riproduzione, presenta i lavori di Giorgio Nimatallah e Piero Baguzzi, artisti che, come spiega Ballista, “dagli anni Sessanta ai Novanta, hanno lavorato per case editrici, occupandosi di fotografare le opere più in un’ ottica di divulgazione della conoscenza dell’opera stessa, in maniera più descrittiva, cercando di annullare il più possibile l’interpretazione personale dell’artista”. Un modus operandi opposto rispetto a quello che ritroviamo nella seconda parte della mostra - Fotografare l’arte come interpretazione - dove Aurelio Amendola, Gabriele Basilico, Elisabetta Catalano, Giovanni Ricci-Novara immortalano i loro soggetti compiendo un grande lavoro di analisi per il pubblico, interrogandosi su cosa si potesse aggiungere, fotografando, del lavoro dell’artista.
“Tra i soggetti di questa sezione - spiega la curatrice - troviamo l’Auriga di Delfi immortalata da Ricci-Novara, immagine che ho voluto inserire in mostra in due occasioni diverse. La prima, con il soggetto fotografato da Ricci-Novara, la seconda da Giorgio Nimatallah, per evidenziare il modo diverso con cui si può rappresentare la stessa opera, sebbene attraverso due differenti visioni”.
Il terzo momento del percorso, Fotografare l’arte come narrazione, vede invece protagonisti Enrico Cattaneo, Paolo Mussat Sartor, Carla Cerati che, non limitandosi a fotografare l’opera d’arte, hanno incluso in questa ricerca anche gli artisti, la loro vita, il contesto nel quale erano immersi.
“In questo caso particolarmente interessanti - spiega Ballista - sono quattro fotografie di Paolo Mussat Sartor che ritraggono Emilio Vedova intento nel suo lavoro, coinvolgendoci nel processo creativo del pittore”.
Piero Gemelli, La Firma, still life, milano 1990, Stampa giclée su carta baritata
Un Franco Fontana “insolito” emerge della quarta e ultima sezione (Fotografare l’arte come creazione) assieme a Piero Gemelli, Maria Vittoria Backhaus, Efrem Raimondi. Il maestro è presente con quattro scatti del progetto Vita Nova, che ritraggono le statue del cimitero di Staglieno. In questo caso le sculture danno al fotografo lo spunto per sviluppare una sua personale ricerca sulla tematica di Eros e Thanatos.
“In quest’ultima parte abbiamo voluto mostrare come il fotografo utilizzi l'oggetto d'arte per raccontare il suo punto di vista, integrandolo nella sua narrazione” conclude Ballista.
Leggi anche:
• Fotografare l'arte: origini e sviluppi di una eccellenza della fotografia
La mostra in corso fino al prossimo 3 ottobre alla Galleria Still di Milano affronta anche questo interessante aspetto, approfondendo l’inconsueto e originale tema della riproduzione fotografica dell’opera d’arte.
Il percorso espositivo, a cura di Eleonora Ballista in collaborazione con Denis Curti, esplora la tematica attraverso quarantasei immagini di quattordici illustri maestri dello scatto - da Gabriele Basilico a Elisabetta Catalano, da Franco Fontana a Piero Gemelli - che si sono interrogati su come fotografare l’arte.
"Fin dalla nascita della fotografia - spiega Eleonora Ballista - il rapporto con l’arte, intesa nel senso più classico, è stato complesso, a volte travagliato. I primi a riflettere sul tema sono stati gli storici dell’arte di metà Ottocento, per i quali la fotografia è stata una rivoluzione incredibile. Prima, per studiare l’opera lo storico doveva recarsi a vederla di persona, o al massimo ne entrava in contatto attraverso le incisioni che la riproducevano. Grazie alla fotografia non è più lo storico dell’arte che deve andare all’opera, ma è questa stessa a presentarsi allo studioso”.
© Piero Gemelli
Il rapporto tra arte e fotografia non si limita quindi alla mera riproduzione delle opere. Molti fotografi sono andati oltre il soggetto stesso, interessandosi anche all’artista, alla tecnica, al processo creativo.
E a questo punto la domanda che anche Umberto Eco si era posto nella sua introduzione al libro di Ugo Mulas e Pietro Consagra, Fotografare l’arte, su chi fosse davvero il fotografo d’arte, sorge spontanea.
“Sono assolutamente d’accordo con la risposta che Eco fornì nella sua introduzione al volume di Mulas e Consagra - spiega Ballista -. Il fotografo d’arte si fa “critico”, analizza l’opera, ma soprattutto deve cercare di immedesimarsi nell’artista tentando di capire cosa questo volesse dire”.
Il percorso allestito alla Galleria Still offre anche l’opportunità di seguire i cambiamenti sociali, ma soprattutto l’evoluzione del ruolo del fotografo. “Se all’inizio del percorso la figura del fotografo appare legata alle case editrici, alle pubblicazioni d’arte, al termine della mostra il visitatore ne capta l’evoluzione, coglie il legame tra il maestro dello scatto e il design, il mondo dell’entertainment”.
Enrico Cattaneo, Ugo Nespolo, Ospedale Psichiatrico, Volterra 1973, Stampa ai sali d’argento su carta politenata
Sono quattro le sezioni tematiche che scandiscono il percorso. La prima, Fotografare l’arte come riproduzione, presenta i lavori di Giorgio Nimatallah e Piero Baguzzi, artisti che, come spiega Ballista, “dagli anni Sessanta ai Novanta, hanno lavorato per case editrici, occupandosi di fotografare le opere più in un’ ottica di divulgazione della conoscenza dell’opera stessa, in maniera più descrittiva, cercando di annullare il più possibile l’interpretazione personale dell’artista”. Un modus operandi opposto rispetto a quello che ritroviamo nella seconda parte della mostra - Fotografare l’arte come interpretazione - dove Aurelio Amendola, Gabriele Basilico, Elisabetta Catalano, Giovanni Ricci-Novara immortalano i loro soggetti compiendo un grande lavoro di analisi per il pubblico, interrogandosi su cosa si potesse aggiungere, fotografando, del lavoro dell’artista.
“Tra i soggetti di questa sezione - spiega la curatrice - troviamo l’Auriga di Delfi immortalata da Ricci-Novara, immagine che ho voluto inserire in mostra in due occasioni diverse. La prima, con il soggetto fotografato da Ricci-Novara, la seconda da Giorgio Nimatallah, per evidenziare il modo diverso con cui si può rappresentare la stessa opera, sebbene attraverso due differenti visioni”.
Il terzo momento del percorso, Fotografare l’arte come narrazione, vede invece protagonisti Enrico Cattaneo, Paolo Mussat Sartor, Carla Cerati che, non limitandosi a fotografare l’opera d’arte, hanno incluso in questa ricerca anche gli artisti, la loro vita, il contesto nel quale erano immersi.
“In questo caso particolarmente interessanti - spiega Ballista - sono quattro fotografie di Paolo Mussat Sartor che ritraggono Emilio Vedova intento nel suo lavoro, coinvolgendoci nel processo creativo del pittore”.
Piero Gemelli, La Firma, still life, milano 1990, Stampa giclée su carta baritata
Un Franco Fontana “insolito” emerge della quarta e ultima sezione (Fotografare l’arte come creazione) assieme a Piero Gemelli, Maria Vittoria Backhaus, Efrem Raimondi. Il maestro è presente con quattro scatti del progetto Vita Nova, che ritraggono le statue del cimitero di Staglieno. In questo caso le sculture danno al fotografo lo spunto per sviluppare una sua personale ricerca sulla tematica di Eros e Thanatos.
“In quest’ultima parte abbiamo voluto mostrare come il fotografo utilizzi l'oggetto d'arte per raccontare il suo punto di vista, integrandolo nella sua narrazione” conclude Ballista.
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