Dal 16 giugno al 21 ottobre a Palazzo Cucchiari
Da Fattori a Balla, i colori e le forme del lavoro in mostra a Carrara
Giovanni Fattori, Campagna Romana,1879, olio su tela, 80 x 40 cm, Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia “Leonardo Da Vinci”
Samantha De Martin
13/06/2018
Massa-Carrara - Se il lavoro avesse una forma, avrebbe probabilmente i contorni della campagna di Giovanni Fattori, la potenza del patriottismo popolare del Risorgimento, le sembianze dei lavoratori - dal calzolaio all’arrotino - con le loro stentate esistenze. Avrebbe la leggerezza delle lavandaie, con le ceste cariche di panni, la pazienza della filatrice di Gerolamo Induno, il colore acceso dei campi che fanno da sfondo ai contadini di Telemaco Signorini.
C’è tutta la sapienza delle antiche arti, la strategia del commercio delle Cenciaiole livornesi di Eugenio Cecconi e delle venditrici di frutta, ma anche la grazia dell’acquaiolo e la pazienza dei mattonai, nella mostra Colori e forme del lavoro. Da Signorini e Fattori a Pellizza da Volpedo e Balla, ospitata a Palazzo Cucchiari, sede della Fondazione Giorgio Conti di Carrara, dal 16 giugno al 21 ottobre.
I colori e le forme del lavoro vengono ripercorse in sette sezioni attraverso oltre 50 opere provenienti da collezioni pubbliche e private che spaziano dalla pittura macchiaiola al Verismo e alle suggestioni simboliste fino alle prime avvisaglie delle avanguardie. Da Fattori a Morbelli, da Signorini a Pellizza da Volpedo - in mostra con un grande disegno preparatorio del Quarto Stato - da Vincenzo Vela, di cui è esposto il Monumento alle vittime del lavoro, fino a Giacomo Balla pre-futurista, l'esposizione ideata e promossa dalla Fondazione Conti, a cura di Massimo Bertozzi e Ettore Spalletti, è un viaggio attraverso quel movimento realista e verista che ha dato vita a un profondo rinnovamento tematico e formale.
“Il progetto espositivo - spiegano gli organizzatori - intende verificare come nella pratica della pittura, il movimento realista e verista italiano nei decenni successivi all’unità politica della Nazione, abbiano dato campo a un profondo rinnovamento tematico e formale, senza perdere di vista lo sfondo sociale e le profonde trasformazioni culturali in cui si viene definendo l’immagine della nuova Italia”.
In questo appassionato viaggio nell’identità del Paese e nelle ideologie che hanno caratterizzato quegli anni, immagini di poveri, contadini, anziani e lavoratori nelle loro differenti espressioni di umiltà, di bisogno, ma anche di rivendicazione della propria identità, di rabbia, lotta e di protesta, si susseguono nella figurazione artistica dando vita ora a denunce, ora a suggestioni poetiche.
Nella prima sezione, dedicata al lavoro domestico, la “pittura del quotidiano” assume le forme di quelle attività che, dal cucito alla tessitura, abbracciano l’universo femminile. Dalla seconda sezione - dedicata al lavoro nei campi - attività che ha determinato una vera svolta etica per la pittura italiana, dove personaggi della storia e della mitologia cedono il posto ai protagonisti umili della pittura verista ed ai personaggi di Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori - il visitatore scivola nella sezione dedicata al lavoro in mare e lungo i fiumi. Di fronte al mare, e lungo i corsi d’acqua, ha luogo infatti la più evidente trasformazione della pittura naturalistica in Italia. A partire dalla Toscana e dai pittori macchiaioli, il paesaggio abbandona la sua nuance idilliaca e contemplativa per diventare sempre più lo spazio della vita quotidiana e di quelle attività umane che, con i loro drammi e sofferenze, attirano uno sguardo sociale carico di sentimento e di poesia.
Qui le barche dei pescatori di Guglielmo Ciardi cedono il posto alle vecchie acconciatrici di reti, alla Pesca col granchio di Signorini, mentre la sezione dedicata al commercio fa capolino, con le colorate ambientazioni, tra i lavori di Giuseppe Moricci, i bronzi del carrarese Carlo Fontana, le sculture di Libero Andreotti, i coronari di Luigi Serra.
Sempre in questa sezione, il potente Ritratto del mediatore Giani del piemontese Giuseppe Pellizza da Volpedo, “con una pennellata solida e intonata su un diapason cromatico fondato sui marroni e sui bianchi con pochissimi rialzi di colore, raffigura, in una posa disinibita, una persona che svolgeva un mestiere oggi praticamente scomparso ma che in passato aveva assunto un ruolo fondamentale nelle compravendite di bestiame e di terreni”.
Dal lavoro nelle officine e nelle manifatture si passa poi alle attività in miniera, dove la grande fatica, l’attività silenziosa e paziente dei buoi nelle cave di marmo sconvolgono il modo in cui gli artisti avevano fino a quel momento concepito il paesaggio di montagna. L’emozione estetica lascia così posto allo straniamento degli spazi e all’inquietudine degli uomini, formiche o ciclopi a seconda dei punti di vista, accompagnata da una cognizione dolorosa del lavoro e del sacrificio.
Per gli artisti, da Patrizio Fracassi a Francesco Saverio, minatori e cavatori si distinguono per la loro perseveranza, per il coraggio, per la loro sopportazione della fatica.
L’esposizione si conclude con la sezione dedicata ad alcuni dei principali temi affrontati dalla “pittura sociale” degli ultimi due decenni dell’Ottocento. Dovendo fare a meno, per motivi di dimensioni, dei capolavori di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Fiumana e Il Quarto stato, il percorso evoca comunque il messaggio lanciato dalle due celebri opere dell’artista attraverso il disegno preparatorio per la figura centrale di Fiumana, eseguito intorno al 1895. Sempre in questa porzione della mostra, spicca poi uno dei dipinti eseguiti da Angelo Morbelli sul tema della vecchiaia, Mi ricordo quand’ero fanciulla - con la toccante immagine delle donne anziane sedute alla povera mensa dell’ospizio milanese - accanto al modello in gesso di Giuseppe Graziosi, Il Figlio della gleba, del 1898 e all'aspra critica sociale espressa in Così va il mondo del fervente socialista e anticlericale Cirillo Manicardi.
Leggi anche:
• Colori e forme del lavoro. Da Signorini e Fattori a Pellizza da Volpedo e Balla
• Dall'Ermitage a Carrara
C’è tutta la sapienza delle antiche arti, la strategia del commercio delle Cenciaiole livornesi di Eugenio Cecconi e delle venditrici di frutta, ma anche la grazia dell’acquaiolo e la pazienza dei mattonai, nella mostra Colori e forme del lavoro. Da Signorini e Fattori a Pellizza da Volpedo e Balla, ospitata a Palazzo Cucchiari, sede della Fondazione Giorgio Conti di Carrara, dal 16 giugno al 21 ottobre.
I colori e le forme del lavoro vengono ripercorse in sette sezioni attraverso oltre 50 opere provenienti da collezioni pubbliche e private che spaziano dalla pittura macchiaiola al Verismo e alle suggestioni simboliste fino alle prime avvisaglie delle avanguardie. Da Fattori a Morbelli, da Signorini a Pellizza da Volpedo - in mostra con un grande disegno preparatorio del Quarto Stato - da Vincenzo Vela, di cui è esposto il Monumento alle vittime del lavoro, fino a Giacomo Balla pre-futurista, l'esposizione ideata e promossa dalla Fondazione Conti, a cura di Massimo Bertozzi e Ettore Spalletti, è un viaggio attraverso quel movimento realista e verista che ha dato vita a un profondo rinnovamento tematico e formale.
“Il progetto espositivo - spiegano gli organizzatori - intende verificare come nella pratica della pittura, il movimento realista e verista italiano nei decenni successivi all’unità politica della Nazione, abbiano dato campo a un profondo rinnovamento tematico e formale, senza perdere di vista lo sfondo sociale e le profonde trasformazioni culturali in cui si viene definendo l’immagine della nuova Italia”.
In questo appassionato viaggio nell’identità del Paese e nelle ideologie che hanno caratterizzato quegli anni, immagini di poveri, contadini, anziani e lavoratori nelle loro differenti espressioni di umiltà, di bisogno, ma anche di rivendicazione della propria identità, di rabbia, lotta e di protesta, si susseguono nella figurazione artistica dando vita ora a denunce, ora a suggestioni poetiche.
Nella prima sezione, dedicata al lavoro domestico, la “pittura del quotidiano” assume le forme di quelle attività che, dal cucito alla tessitura, abbracciano l’universo femminile. Dalla seconda sezione - dedicata al lavoro nei campi - attività che ha determinato una vera svolta etica per la pittura italiana, dove personaggi della storia e della mitologia cedono il posto ai protagonisti umili della pittura verista ed ai personaggi di Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori - il visitatore scivola nella sezione dedicata al lavoro in mare e lungo i fiumi. Di fronte al mare, e lungo i corsi d’acqua, ha luogo infatti la più evidente trasformazione della pittura naturalistica in Italia. A partire dalla Toscana e dai pittori macchiaioli, il paesaggio abbandona la sua nuance idilliaca e contemplativa per diventare sempre più lo spazio della vita quotidiana e di quelle attività umane che, con i loro drammi e sofferenze, attirano uno sguardo sociale carico di sentimento e di poesia.
Qui le barche dei pescatori di Guglielmo Ciardi cedono il posto alle vecchie acconciatrici di reti, alla Pesca col granchio di Signorini, mentre la sezione dedicata al commercio fa capolino, con le colorate ambientazioni, tra i lavori di Giuseppe Moricci, i bronzi del carrarese Carlo Fontana, le sculture di Libero Andreotti, i coronari di Luigi Serra.
Sempre in questa sezione, il potente Ritratto del mediatore Giani del piemontese Giuseppe Pellizza da Volpedo, “con una pennellata solida e intonata su un diapason cromatico fondato sui marroni e sui bianchi con pochissimi rialzi di colore, raffigura, in una posa disinibita, una persona che svolgeva un mestiere oggi praticamente scomparso ma che in passato aveva assunto un ruolo fondamentale nelle compravendite di bestiame e di terreni”.
Dal lavoro nelle officine e nelle manifatture si passa poi alle attività in miniera, dove la grande fatica, l’attività silenziosa e paziente dei buoi nelle cave di marmo sconvolgono il modo in cui gli artisti avevano fino a quel momento concepito il paesaggio di montagna. L’emozione estetica lascia così posto allo straniamento degli spazi e all’inquietudine degli uomini, formiche o ciclopi a seconda dei punti di vista, accompagnata da una cognizione dolorosa del lavoro e del sacrificio.
Per gli artisti, da Patrizio Fracassi a Francesco Saverio, minatori e cavatori si distinguono per la loro perseveranza, per il coraggio, per la loro sopportazione della fatica.
L’esposizione si conclude con la sezione dedicata ad alcuni dei principali temi affrontati dalla “pittura sociale” degli ultimi due decenni dell’Ottocento. Dovendo fare a meno, per motivi di dimensioni, dei capolavori di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Fiumana e Il Quarto stato, il percorso evoca comunque il messaggio lanciato dalle due celebri opere dell’artista attraverso il disegno preparatorio per la figura centrale di Fiumana, eseguito intorno al 1895. Sempre in questa porzione della mostra, spicca poi uno dei dipinti eseguiti da Angelo Morbelli sul tema della vecchiaia, Mi ricordo quand’ero fanciulla - con la toccante immagine delle donne anziane sedute alla povera mensa dell’ospizio milanese - accanto al modello in gesso di Giuseppe Graziosi, Il Figlio della gleba, del 1898 e all'aspra critica sociale espressa in Così va il mondo del fervente socialista e anticlericale Cirillo Manicardi.
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