PICASSO E I CLASSICI
Picasso
17/10/2001
Pablo Picasso alla fine degli anni ’40 pone una sfida a se stesso ma soprattutto alla storia dell’arte. Costante è il riferimento del grande artista alle opere di chi lo ha preceduto: lo stesso cubismo nasce dalla grande ammirazione per le ultime invenzioni di Cezanne, così come tutto il periodo seguente al soggiorno italiano (1917) si rifà ai grandi volumi della pittura rinascimentale della penisola.
Questa volta, però, la sua idea è diversa: si pone l’obiettivo dichiarato di interpretare grandi capolavori passati per crearne altri. I punti di riferimento sono molti, da El Greco a David, da Delacroix a Manet, da Velazquez a Goya, ma anche Poussin, Courbet, Van Gogh ed altri, tutti artisti che hanno contribuito in maniera determinante a creare per i successori e quindi per Picasso stesso ciò che può essere definita la grande eredità pittorica occidentale.
Il suo non è anticlassicismo, come si è più volte detto, ma una sorta di classicismo frutto di un secolo frenetico e trasgressivo. Ecco perché Picasso spesso gioca con questi capolavori in maniera dissacrante, prova a spostare i vari personaggi all’interno della composizione, fino ad arrivare a non preoccuparsi più dell’originale facendo a modo suo.
Il primo lavoro dell’artista spagnolo va a coinvolgere la pittura di El Greco. Picasso ammira le sue opere sin dall’adolescenza, e con il “Ritratto di pittore da El Greco” inizia questo particolare periodo della produzione picassiana che occuperà Pablo per circa un decennio.
Successivamente prende in esame il celebre “Le déjeuner sur l’herbe” di Manet (1863), quadro simbolo dell’orrore dei benpensanti di fronte alle novità, a sua volta già reinterpretazione di un quadro giorgionesco. Qui Picasso approfondisce il tema al punto di arrivare a dipingere ben 27 dipinti e 140 disegni che ripropongono il tema della conversazione borghese a ridosso di uno specchio d’acqua. Tra le varie tele va citata quella conservata nel Museo Picasso di Parigi (1960), tra le più fedeli all’originale, pur se chiaramente trasformata nella scomposizione voluta dal pittore spagnolo e riassunta in una sintesi fatta di poche pennellate che ne colgono i tratti essenziali.
E’ quindi Eugène Delacroix a ricevere le attenzioni di Picasso che sembra ammirare in particolar modo il suo “Le donne d’Algeri” che riprende nelle vesti sgargianti, nell’ambiente intimo, caratterizzato da un’apertura sullo sfondo da cui proviene la luce che illumina il quadro. L’opera di Delacroix viene dipinta da Picasso in 15 versioni.
Tra i suoi conterranei non può non dare spazio a due grandissimi pittori: Diego Velazquez e Francisco Goya.
Del primo reinterpreta “Las Meninas”, capolavoro di corte secentesco che ridipinge in ben 44 versioni diverse realizzate tra il 1960 ed il 1961. Nella versione di proprietà del Museo Picasso di Barcellona Pablo sembra ancora una volta attirato dall’apertura di una porta sullo sfondo e di finestre sul lato destro della stanza in cui è ambientata la scena. In primo piano torna a giocare nel riprodurre i vari personaggi con estrema sintesi: il cane, ma soprattutto le figure sulla destra sono appena accennate con tratti che ne riportano solo dei semplici elementi, in maniera del tutto schematica; il ritratto di Velazquez nel pittore che dipinge viene scomposto e poi ricostruito affiancando i due profili.
Di Francisco Picasso va a recuperare “La fucilazione” del Prado (1808), allora nata contro le esecuzioni napoleoniche nei confronti dei patrioti spagnoli, ma che torna estremamente di attualità nel 1951, momento dei massacri in Corea da parte dell’esercito statunitense, per un pittore che ha già dimostrato il suo impegno politico con “Guernica”.
Sul finire del 1962 Picasso realizza 14 disegni in cui analizza a suo modo “Il ratto delle Sabine” di J.L. David: da questi disegni nascono varie tele che riproducono il tema.
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