La vita di Giuseppe Arcimboldo
Giuseppe Arcimboldo, L'imperatore Rodolfo II in veste di Vertumno (Particolare), 1590 circa, Olio su tela, 58 x 70 cm, Skoklosters slott, Stoccolma
L.S.R.
13/12/2012
Arcimboldo nasce a Milano nel 1527 dal pittore Biagio Arcimboldo e da Chiara Parisi. Il suo nome è pieno di mistero, dal momento che egli amava firmare le sue opere con diversi nomi: Arcimboldo, Arcimboldi, Arcimboldus, Giuseppe, Josephus, Joseph e Josepho.
Nel 1549, all’età di 22 anni, inizia a lavorare come collaboratore del padre nel Duomo di Milano, dove realizza i disegni per le vetrate (La storia di Santa Caterina). Nel 1562, su richiesta di Ferdinando I, Arcimboldo si trasferisce a Praga come ritrattista di corte per restarvi due anni. Nel 1563 esegue la prima serie delle Quattro Stagioni (L’ Inverno e L’Estate sono custoditi nel Kunsthistorisches Museum di Vienna; La Primavera nella Real Accademia de San Fernando a Madrid; L'Autunno (atribuzione?) al Denver Art Museum).
Alla morte di Ferdinando I Arcimboldo rimane ritrattista di corte al servizio del successore Massimiliano II. La corte imperiale sfrutta appieno la versatilità di Arcimboldo, abile come ritrattista e copista, ma anche come architetto, ingegnere edile e idraulico, scenografo e intenditore d’arte. Nel 1576 Massimiliano II muore. Gli succede Rodolfo II, che prende il pittore al suo servizio. Già per Massimiliano Arcimboldo aveva iniziato a dipingere ritratti allegorici, composti integrando oggetti diversi in sembianze antropomorfe, ma questo genere conosce presso la corte di Rodolfo II il massimo apprezzamento, in quanto la commistione di naturale e artificiale, di licenza e regola accostate in modo bizzarro incarna appieno il clima culturale della capitale boema, frequentata in quel momento anche da astronomi, maghi, filosofi, alchimisti e artigiani impegnati nei mutamenti più straordinari della materia naturale.
Arcimboldo trascorre a corte 11 anni e quel periodo è da considerare l’apice per la sua carriera. Nel 1587 riesce, dopo tante insistenze e richieste, ad ottenere il permesso di tornare a Milano. Egli continua tuttavia a lavorare ancora per Rodolfo II e nel 1590 dipinge per lui il Ritratto di Rodolfo II come Vertumno (1589, Skoklosters Slott, Svezia) che spedisce a Praga. Il Vertumno risulta l’opera più significativa del Maestro. Qui l’Imperatore è raffigurato in veste del dio romano dell’abbondanza: le fattezze di Rodolfo II sono magnificate da splendidi frutti, fiori e verdure (egli era un amante del giardinaggio) armonicamente disposti nel ciclo delle quattro stagioni. Arcimboldo innesta così sul gusto nordico per la raffigurazione naturale degli oggetti lo spirito concettoso e intellettualistico delle corti del tempo.
Nel 1592 l’Imperatore gli conferisce la dignità di conte palatino. Giuseppe Arcimboldo muore a Milano l’11 luglio 1593, all’età di 66 anni. Nonostante la fama che lo ha accompagnato in vita, Arcimboldo fu dimenticato dopo la sua morte. Il suo nome non appare mai nei secoli XVII e XVIII. Viene citato come ritrattista nel 1885 da Carlo Casati nel suo trattato Giuseppe Arcimboldi, pittore milanese. Soltanto più tardi fu riscoperta la sua fama, apprezzato soprattutto dai surrealisti che lo riterranno un loro precursore.
Vedi anche:
• Arcimboldo
• Bizzarre Allegorie: a Roma l’arte di Arcimboldo
• FOTO: Il fascino alchemico di Arcimboldo
Nel 1549, all’età di 22 anni, inizia a lavorare come collaboratore del padre nel Duomo di Milano, dove realizza i disegni per le vetrate (La storia di Santa Caterina). Nel 1562, su richiesta di Ferdinando I, Arcimboldo si trasferisce a Praga come ritrattista di corte per restarvi due anni. Nel 1563 esegue la prima serie delle Quattro Stagioni (L’ Inverno e L’Estate sono custoditi nel Kunsthistorisches Museum di Vienna; La Primavera nella Real Accademia de San Fernando a Madrid; L'Autunno (atribuzione?) al Denver Art Museum).
Alla morte di Ferdinando I Arcimboldo rimane ritrattista di corte al servizio del successore Massimiliano II. La corte imperiale sfrutta appieno la versatilità di Arcimboldo, abile come ritrattista e copista, ma anche come architetto, ingegnere edile e idraulico, scenografo e intenditore d’arte. Nel 1576 Massimiliano II muore. Gli succede Rodolfo II, che prende il pittore al suo servizio. Già per Massimiliano Arcimboldo aveva iniziato a dipingere ritratti allegorici, composti integrando oggetti diversi in sembianze antropomorfe, ma questo genere conosce presso la corte di Rodolfo II il massimo apprezzamento, in quanto la commistione di naturale e artificiale, di licenza e regola accostate in modo bizzarro incarna appieno il clima culturale della capitale boema, frequentata in quel momento anche da astronomi, maghi, filosofi, alchimisti e artigiani impegnati nei mutamenti più straordinari della materia naturale.
Arcimboldo trascorre a corte 11 anni e quel periodo è da considerare l’apice per la sua carriera. Nel 1587 riesce, dopo tante insistenze e richieste, ad ottenere il permesso di tornare a Milano. Egli continua tuttavia a lavorare ancora per Rodolfo II e nel 1590 dipinge per lui il Ritratto di Rodolfo II come Vertumno (1589, Skoklosters Slott, Svezia) che spedisce a Praga. Il Vertumno risulta l’opera più significativa del Maestro. Qui l’Imperatore è raffigurato in veste del dio romano dell’abbondanza: le fattezze di Rodolfo II sono magnificate da splendidi frutti, fiori e verdure (egli era un amante del giardinaggio) armonicamente disposti nel ciclo delle quattro stagioni. Arcimboldo innesta così sul gusto nordico per la raffigurazione naturale degli oggetti lo spirito concettoso e intellettualistico delle corti del tempo.
Nel 1592 l’Imperatore gli conferisce la dignità di conte palatino. Giuseppe Arcimboldo muore a Milano l’11 luglio 1593, all’età di 66 anni. Nonostante la fama che lo ha accompagnato in vita, Arcimboldo fu dimenticato dopo la sua morte. Il suo nome non appare mai nei secoli XVII e XVIII. Viene citato come ritrattista nel 1885 da Carlo Casati nel suo trattato Giuseppe Arcimboldi, pittore milanese. Soltanto più tardi fu riscoperta la sua fama, apprezzato soprattutto dai surrealisti che lo riterranno un loro precursore.
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