L'incontro impossibile tra Van Gogh e Gauguin

Van Gogh
 

28/12/2001

Fra le pagine più intense ed emozionanti della storia dell’arte contemporanea sicuramente un posto di riguardo spetta all’incontro fra Vincent Van Gogh e Paul Gauguin. I due pittori vissero per un breve periodo assieme ad Arles, nella famosa “casa gialla” che Van Gogh affittò nel 1888, proprio per condividere insieme ad altri artisti il tortuoso sentiero della pittura. Vincent arredò la casa pensando all’arrivo dell’amico; sistemò lo studio con l’intenzione di condividerlo in ogni momento con Gauguin, decorò le pareti con dodici grandi tele di girasoli: “Tutto sarà una sinfonia in blu e in giallo”, affermò il pittore con la speranza di creare una collaborazione che non avrebbe più avuto eguali nella storia dell’arte. Ma la convivenza durò lo spazio di due mesi: fra i due pittori ben presto cominciarono a palesarsi divergenze inconciliabili. Le loro concezioni sull’arte apparivano più lontane di quanto loro stessi potessero immaginare ma non meno incisero sul traumatico distacco le loro forti e complesse personalità. Fu proprio Gauguin in un brano pubblicato nel 1903 a mettere per iscritto tutte le perplessità che precedettero il suo arrivo ad Arles nel 1888: ”in quel periodo lavoravo a Pont-Aven in Bretagna e, sia perchè gli studi iniziati mi legavano a quel luogo, sia perchè per una vaga sensazione prevedevo qualcosa di anormale mi rifiutai a lungo, finchè un giorno vinto dagli slanci di Vincent, mi misi in viaggio...”. Dalle parole del pittore parigino si intuisce quanto forte fosse l’emozione che permeava l’aspettativa del suo arrivo ad Arles da parte di Vincent. Gauguin rappresentò nell’immaginario di Van Gogh l’artista per eccellenza: ne ammirò le opere, condivise con lui la forza che l’arte donava alle loro esistenze di “frontiera” e nello stesso tempo gli invidiò la capacità anche di vivere una vita vera, fatta di affetti familiari, di viaggi, di un lavoro normale come agente di cambio. Paul Gauguin fu insomma per Vincent Van Gogh una sorta di musa ispiratrice, un modello di arte e di vita che mai sarebbe dovuto tramontare. E molto presto l’incanto di un incontro duraturo e fecondo finì: dopo appena sessanta giorni di convivenza l’urto tremendo delle due vulcaniche personalità procurò uno scontro che non si sarebbe mai più sanato e fu proprio Gauguin il primo ad accorgersene, lui che forse rimase meno accecato dal talento di Vincent e lucidamente scrisse con il senno di poi: ”tra i due esseri, lui e me, l’uno un vulcano, l’altro anche in ebollizione, c’era in qualche modo, all’interno una lotta in preparazione. Anzitutto trovai in tutto e dovunque un disordine che mi urtava. La scatola dei colori era appena sufficiente a contenere tutti i suoi tubi mai richiusi, e malgrado tutto questo disordine, questo pasticcio, un tutto brillava sulla tela”. Di lì a poco Vincent cercò di scagliare un bicchiere su Gauguin, cercando di colpirlo in pieno viso ma non ci riuscì. Passarono appena poche ore, nel buio di una strada vicino a uno dei bordelli frequentati dai due pittori, sempre Van Gogh inseguì il suo amico pittore con un rasoio. Anche questa volta non riuscirì a ferirlo: sarà lui stesso in preda ad un momento di lucida follia a tagliarsi un pezzo del suo orecchio e a fasciarsi poco dopo quasi orgoglioso del gesto compiuto tanto da realizzarne un autoritratto che ancora conserva viva la memoria dell’insano gesto. Paul Gauguin non aspettò più un momento: partì il giorno di Natale del 1888, lasciando solo e con una irrimediabile sensazione di abbandono quel folle pittore che tanto lo aveva aspettato e molto aveva fatto per lui. Dovette essere molto il risentimento e l’angoscia che attanagliarono l’artista olandese quando una volta per tutte comprese che quello fra lui e Gauguin non era ormai che un incontro “mancato”, un risentimento talmente forte che forse riuscì ad attutire quel lampo di dolore che valse una delle mutilazioni più celebri della storia. Poche le parole e cariche di disprezzo furono il commento di Vincent in una delle sue lettere al fratello Theo: ”Facendo un’ardita disamina, niente impedisce di vedere in lui la piccola tigre Bonaparte dell’impressionismo [...] in quanto il suo eclissamento da Arles si potrebbe paragonare al ritorno dall’Egitto del suddetto piccolo caporale, che come lui ritornando a Parigi lasciava sempre gli eserciti nei guai”. Non furono certo pochi i guai che ancora attendevano Van Gogh ora che il suo compagno di arte e di vita non sarebbe mai più tornato a condividere con lui le stanze colme di luce della “casa gialla” che visse uno fra i più intensi brani della storia dell’arte.

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