GOMBRICH E PICASSO
Picasso
17/10/2001
Nel 1949 Pablo Picasso con alcune veloci pennellate dipinge la famosa “Colomba della pace”, per il congresso mondiale per la pace di Parigi. Utilizza il simbolo probabilmente più convenzionale nella rappresentazione della pace: due elementi da sempre in connessione in virtù della natura mite dell’uccello in questione.
Ernst Gombrich, grande studioso e iconologo, in un importante studio che si sofferma sulla mutua collaborazione tra psicanalisi e storia dell’arte, parte da quest’episodio picassiano per descrivere un certo modo di porsi di fronte ad un’opera d’arte, del tutto nuovo ad inizio Novecento (“Psicanalisi e storia dell’arte”, in “A cavallo di un manico di scopa”, Torino, 1971).
L’obiettivo di Gombrich è quello di dare il giusto peso alla collaborazione di più discipline, elemento fondamentale per i grandi iconologi (Warburg, Panofsky, Wind, ecc.): psicanalisi come fattore necessario per la ricostruzione del “contesto”, parola chiave dell’iconologia stessa. Psicanalisi posta all’interno di un concetto multidisciplinare che porta a fornire più elementi interpretativi: senza la testimonianza di alcuni aneddoti biografici dei singoli artisti non sarebbe possibile tale approccio poiché le opere di per sé non comunicano l’intero orizzonte interpretabile, ma si limitano a rivelarne solo una parte.
Lo psicanalista Ernest Jones, in onore del quale Gombrich preparò tale intevento nel 1953, nel caso della “Colomba” picassiana va oltre il semplice significato manifesto giungendo al riscontro di particolari significati personali che l’animale rappresentato avrebbe per il pittore spagnolo. Tutto nasce da una testimonianza di Sabartés, grande amico e segretario di Picasso, che rivela un episodio dell’infanzia di Pablo: il padre dell’artista, Pepe Ruiz, pittore anch’egli, lasciava spesso il figlio a scuola, e questi nel terrore di separarsi dal genitore si aggrappava ai pennelli, al bastone e soprattutto ad un piccione impagliato utilizzato dal padre come modello per alcuni suoi dipinti. Il piccolo Pablo presto pubblica un’inserzione in un giornale per bambini in cui richiede dei piccioni, inizia a dipingere piccioni: all’età di dodici anni vince un premio per esercitazioni accademiche nel disegno.
Jones nell’interpretazione va un po’ troppo in là arrivando a leggere come simboli fallici il bastone, i pennelli e il piccione, e a ricondurre persino la scelta di Picasso di rinunciare al cognome paterno Ruiz in favore di quello materno a questo ripetuto avvenimento infantile. Evitando queste forzature la psicanalisi può fornire ottime indicazioni: questa è l’idea che emerge dall’illuminante articolo di Gombrich che poi si sofferma sulle “Demoiselles d’Avignon”. Anche nel caso del celebre quadro del 1907 sappiamo da altre fonti e non dal quadro stesso che Picasso vi dipinge un postribolo di Barcellona.
Questo secondo esempio riportato dallo studioso austriaco parte ancora dall’elemento biografico che però non genera la stessa catena di interpretazioni precedente.
Il quadro è diventato per noi l’inizio del processo che porta al cubismo: le “Demoiselles” superano i propri confini, cosicché il significato personale scompare ed i conflitti privati del pittore assumono un’importanza artistica universale.
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