Gli autoritratti
Mengs
12/03/2001
Mengs amò molto ritrarsi. Sono numerosi i dipinti e i disegni che ne documentano l’aspetto e che egli realizzò per sé o per gli amici. Cosciente del proprio primato e del ruolo di arbitro del gusto del tempo, il pittore tedesco disseminò la propria effigie per l’Europa. Egli, non estraneo al desiderio di mostrarsi in mosse ed abiti esuberanti e sontuosi, non ebbe paura di dichiarare, soprattutto in età avanzata, l’inquietudine, la sofferenza, in qualche caso il dolore.
Il primo autoritratto ce lo rende all’età di dodici anni. E’ un disegno a gessetto impostato nella tipologia del busto con profilo a tre quarti. Il punto di vista è ribassato, lo sguardo obliquo e l’espressione seria.
Alla fine del 1744, al ritorno del giovane pittore da Roma, risale il secondo, bellissimo, autoritratto. Stavolta Mengs sceglie la tipologia meno frequente della visione frontale, che meglio mette in risalto il volto, caratterizzato da una fronte ampia e da una bocca ben disegnata e increspata. La prospettiva dal basso e il capo piegato all’indietro gli conferiscono l’atteggiamento di sfida, tipico dell’adolescente orgoglioso; lo sguardo raccolto e serio sembra voler dimostrare un’indifferenza accentuata, profonda. Si tratta di un ritratto ambizioso, realizzato con il pastello su tonalità brunacee.
All’età di quarantacinque anni Mengs dipinge il quadro per la Galleria degli Uffizi. Destinato ad essere affiancato agli autoritratti dei maggiori artisti di ogni tempo, esso presenta l’artista in una posa dinamica, a mezza figura. Sappiamo da una lettera del 1775 che l’aveva posto sotto l’autoritratto di Raffaello, a sottolineare il desiderio non taciuto di essere considerato il Raffaello redivivo. Il pittore appoggia la mano destra, che impugna uno stilo, su una cartella da disegno; con la sinistra indica verso l’esterno. Egli non si rappresenta intento al lavoro, davanti al cavalletto, ma mette in evidenza piuttosto il valore del disegno, come momento fondante l’iter realizzativo del quadro, e dell’elaborazione intellettuale. L’impostazione diagonale, che evita il rapporto diretto con lo spettatore, e lo sguardo rivolto lontano sono da interpretare come segni di lungimiranza, riferiti al rinnovamento dell’arte. E’ un ritratto che esprime consapevolezza di sé, coscienza del proprio ruolo di guida, e così fu recepito dai contemporanei. Lanzi, Fragonard, Bergeret, Reynolds, in visita alla Galleria, si dilungarono in lodi sincere.
A pochi mesi dalla morte risale l’ultimo autoritratto che documenta con chiarezza estrema l’avanzato stato di decadimento fisico del maestro appena cinquantenne. L’esuberanza del giovane e la consapevolezza del proprio ruolo sociale dell’uomo adulto, presenti nei due precedenti ritratti, sono scomparse. I tratti del viso sono scarni e consumati, i capelli radi; gli occhi appaiono spenti e segnati dalla tristezza e dal dolore; la bocca sembra emanare un faticoso alito di vita. La pennellata, di solito controllata e precisa, si muove nervosa e fluida (soprattutto nel fazzoletto legato intorno al collo). Nessun altro degli autoritratti di Mengs raggiunge una tale intensità e profondità psicologica, segnata dal dolore e dalla rassegnazione. Il pittore rinuncia a comunicare informazioni sulla posizione sociale e sui compiti istituzionali e sembra intento piuttosto a studiare il proprio stato d’animo e a fissarlo sulla tela senza alcuna commiserazione.
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