GLI AFFRESCHI DI PARMIGIANINO A FONTANELLATO

Il Conte Gian Galeazzo Sanvitale ritratto dal Parmigianino
 

28/01/2003

All’inizio degli anni venti del XVI secolo il giovane Francesco Mazzola, meglio noto come Parmigianino, riceveva una committenza dai Sanvitale, una famiglia di nobili origini proprietaria di una castello a Fontanellato, nei pressi di Parma. Ulteriore conferma del potere e della fama riconosciuta ai Sanvitale è dimostrato dal matrimonio tra l’allora conte, Galeazzo, e Paola Gonzaga, sorella della più celebre Giulia, vedova di Vespasiano Colonna e contessa di Sabbioneta. I due nel 1523 ebbero un figlio maschio, di cui però i documenti tacciono dopo un anno senza parlarne più. E’ evidente che il piccolo Sanvitale fosse morto prematuramente. Questa appare essere la situazione che Parmigianino trova al suo arrivo a Fontanellato. La commissione prevedeva la realizzazione degli affreschi nella volta e sulle pareti di una piccola saletta di forma rettangolare. La decorazione lascia libera solo la zona inferiore delle pareti, forse in origine ricoperte di arazzi. Parmigianino pensa la volta come una sorta di cripta-gazebo con un pergolato sostenuto da intrecci di canne tra cui spiccano dodici putti che offrono ghirlande di fiori e frutta. Tale tipo di volta non può non ricordare la camera della badessa Giovanna Piacenza affrescata dal Correggio nel 1522. Questo è indubbiamente il referente più diretto per Francesco Mazzola, tra i pochi a poter vedere il capolavoro parmense, dato che dal 1524 il convento diverrà di clausura; gli affreschi di Antonio Allegri torneranno visibili solo a fine ‘700. La piccola sala decorata da Parmigianino è stata più volte studiata: vista come una sala da bagno con cui ben si sposava il tema del “bagno di Diana”, oppure legata agli interessi alchemici di Galeazzo Sanvitale, ma quella che convince di più è quella che la vede come un sacrario, luogo di meditazione e di preghiera per la scomparsa del piccolo figlio di Galeazzo e Paola. Gli affreschi di Fontanellato sono oggi tra le opere più famose del Rinascimento e raccontano la storia di Diana e Atteone, o almeno così riportano tutti i manuali di storia dell’arte. In realtà c’è molto di più sulle pareti dell’ambiente decorato da Mazzola: il mito narrato da Ovidio nelle “Metamorfosi” (Libro III, vv.138-253) viene modificato in alcuni particolari in maniera evidente e, chiaramente, con finalità ben precise.