Cenni biografici
Luchino Visconti
30/11/2001
Il nome di Visconti è imprescindibilmente legato al suo capolavoro, Il Gattopardo. Eppure egli fu autore di altri straordinari film a cavallo tra il 1943 e il 1976.
Luchino, nato a Milano (1906) da un’aristocratica e antica famiglia, da bambino si avvicinò alla musica, al teatro, all’arte, frequentando la Scala e prendendo lezioni di violoncello. In età giovanile, appassionato di cinema, si trovò a vivere a Parigi, in contatto con Coco Chanel e Jean Renoir, noto regista, del quale divenne collaboratore.
L’adesione al Fronte Popolare e al Partito Comunista lo spinse al ritorno in Italia, nel 1939, ad avvicinarsi ai circoli antifascisti. Con un gruppo di giovani critici cinematografici scrisse a Roma la sceneggiatura del suo primo film, Ossessione (1943), una torbida storia di due amanti assassini, molto lontana dai toni concilianti e retorici del cinema fascista.
Cinque anni dopo, ispirato dal capolavoro verghiano I Malavoglia, portò sullo schermo La terra trema dove, con un’ispirazione epica e lirica, offrì uno struggente ritratto sociale dell’Italia contemporanea, raccontando in termini nuovi e coraggiosi i problemi dei pescatori in Sicilia.
Etichettato come regista neorealista, Visconti, infastidito dalle definizioni troppo rigide, girò dapprima Bellissima (1951) con Anna Magnani e poi cambiò direzione con Senso (1954), rivisitazione del passato risorgimentale del nostro paese. E’ qui che rivelò per la prima volta quella che sarebbe diventata una delle sue principali caratteristiche: l’attenta e accurata ricostruzione degli ambienti d’epoca. Nel 1960, con Rocco e i suoi fratelli, innestò sul tema (per l’epoca di grande attualità) dell’immigrazione meridionale nel Nord industriale il suo gusto per una narratività a forti tinte melodrammatiche. Il film si rivelò un capolavoro ricco di richiami letterari, da Mann a Dostoevskij, nel trattare il tema dell’eterna lotta dualistica tra bene e male.
Con il passare del tempo il gusto per il preziosismo e la rifinitura andò aumentando, così come l’attenzione per le tematiche e le atmosfere decadenti e barocche. Dopo Il Gattopardo, eccolo dirigere La caduta degli dèi (1969), l’indimenticabile e tormentato Morte a Venezia (1971) fino al drammatico Ludwig (1973).
In ognuno dei tre film, che fotografano la caduta della società aristocratica a cavallo tra Otto e Novecento, scoprì un tassello del proprio testamento spirituale. L’anziano intellettuale di Gruppo di famiglia in un interno (1974) rappresentò infine un toccante autoritratto dell’autore che, ancora una volta, ma in maniera esplicita, dichiarava il suo legame col passato, con i quadri e i libri che aveva amato, e confessava la propria difficoltà ad accettare la nuova borghesia.
Uno dei meriti principali di Visconti è stato quello di aver sprovincializzato, con la sua cultura cosmopolita, le consuetudini sceniche italiane.
La sua opera rispecchia il convergere di molteplici suggestioni artistiche, morali, ideologiche (si pensi che fu contemporaneamente aristocratico e comunista, neorealista e decadentista, che spaziò da Verga a D’Annunzio, che s’interessò al melodramma e alla storia), filtrate da una sensibilità estetica raffinata e sorrette da una formazione umanistica di altissimo livello.
S’interessò per tutta la vita al teatro. Dal 1940 al 1960 allestì diverse performance tratte dalle opere di Cocteau, Sartre, Cechov, Goldoni tra gli altri. Nel 1954 esordì come regista di teatro lirico con la Vestale di Spontini.
Morì a Roma nel 1976.
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