Al cinema il 19, il 20 e il 21 febbraio
Caravaggio – L’Anima e il Sangue. La nostra recensione
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1598 circa, Olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi
Francesca Grego
12/02/2018
Un uomo avvolge il proprio viso in strati sovrapposti di pellicola per alimenti fino a farsi mancare il respiro, una farfalla cerca invano una via d’uscita oltre le trasparenze di una vecchia lampada, un uccello dall’aspetto sinistro si dibatte tra le sbarre della gabbia.
“Non ho mai pensato alla libertà prima di averla persa. Come si fa a riconoscere la libertà? Non si tocca, non si vede, non si respira”, commenta una voce nota.
Inizia in modo inatteso Caravaggio – L’Anima e il Sangue, l’ultimo progetto cinematografico di Sky dedicato alle meraviglie dell’arte, nelle sale italiane dal 19 al 21 febbraio con la distribuzione di Nexo Digital.
Gli obiettivi sono ambiziosi: “mettere le più evolute tecnologie della visione al servizio dell’arte, in un’esperienza emozionale e innovativa dal messaggio universale”, nelle parole del direttore creativo Cosetta Lagani.
Dopo Firenze e gli Uffizi in 3D, San Pietro e le Basiliche Papali di Roma, Raffaello – Il Principe delle Arti, la posta si alza ancora: raccontare l’uomo Caravaggio “mettendo in scena qualcosa di mai visto prima d’ora”. Un compito arduo, considerata l’ampia filmografia dedicata a un artista amatissimo e controverso.
Il regista Jesus Garcés Lambert e la sceneggiatrice Laura Allievi combinano il richiamo delle passioni e la creatività cinematografica con un rigoroso scavo documentale, condotto in primo luogo sugli scritti dei biografi contemporanei di Caravaggio, ricercando una verità ad ampio spettro.
Immagini ad altissima definizione girate in 8k si muovono avanti e indietro sui dipinti, svelandone ogni possibile scorcio: la materia pittorica si fa viva, presente, quasi da toccare e invita a entrare nella danza di ombra e luce che esprime l’essenza di un uomo e della sua arte.
Si scorgono i segni di un baco sulla mela della Canestra di frutta, l’epidermide indurita sotto i piedi di due pellegrini malandati, il velo di lacrime sugli occhi del Suonatore di liuto, il ventre gonfio della Vergine Maria che giace fredda su un tavolaccio, umana come la prostituta annegata che servì da modella per un’opera tra le più scandalose di sempre.
Da posizioni più che privilegiate osserviamo il teatro di sguardi che condensa in un solo attimo il senso di azioni drammatiche e complesse. Il volto mascolino di Medusa urla in un groviglio di serpi dallo scudo degli Uffizi, emettendo un ultimo fiotto di sangue e terrore; le Sette Opere di Misericordia si dispiegano tutte insieme in un vortice di corpi e umana pietas; Oloferne si sveglia quando Giuditta gli ha già affondato una lama nel collo; San Matteo si converte in un raggio di luce che illumina quello che sembra il fotogramma clou di un film mai girato.
Da Roma a Napoli, da Malta a Milano, tracce mirabili raccontano l’esistenza movimentata di un genio modernissimo, che non ti aspetteresti mai di incontrare nel XVII secolo.
A sottolineare la dimensione attuale di Caravaggio, il contrappunto continuo tra la sua storia, narrata da esperti del calibro di Claudio Strinati, Mina Gregori, Rossella Vodret, e momenti introspettivi affidati all’espressività di attori non professionisti, simili alle persone “vere” che il maestro della realtà portò per la prima volta sulla tela.
Al centro della scena, i moti di un animo inquieto e contraddittorio – angoscia, rabbia, tenerezza, sensualità, l’istinto fatale a gettarsi nella rissa e il desiderio di redenzione – cuciti insieme dalla voce calda di un rocker come Manuel Agnelli.
Tra un ricordo, un anelito e uno scoppio d’ira, varchi di luce si aprono sulla dimensione del fare artistico vero e proprio: su un Caravaggio che prepara speciali fondi scuri, ingrediente imprescindibile di una pittura dai contrasti abbaglianti, o sulla sua abitudine di dipingere guardando i modelli in uno specchio.
Su come, in definitiva, le contraddizioni di una natura indomabile e imperfetta si siano trasformate in arte perfettissima, “capace di fissare i viventi nel tempo eterno della pittura”.
Leggi anche:
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“Non ho mai pensato alla libertà prima di averla persa. Come si fa a riconoscere la libertà? Non si tocca, non si vede, non si respira”, commenta una voce nota.
Inizia in modo inatteso Caravaggio – L’Anima e il Sangue, l’ultimo progetto cinematografico di Sky dedicato alle meraviglie dell’arte, nelle sale italiane dal 19 al 21 febbraio con la distribuzione di Nexo Digital.
Gli obiettivi sono ambiziosi: “mettere le più evolute tecnologie della visione al servizio dell’arte, in un’esperienza emozionale e innovativa dal messaggio universale”, nelle parole del direttore creativo Cosetta Lagani.
Dopo Firenze e gli Uffizi in 3D, San Pietro e le Basiliche Papali di Roma, Raffaello – Il Principe delle Arti, la posta si alza ancora: raccontare l’uomo Caravaggio “mettendo in scena qualcosa di mai visto prima d’ora”. Un compito arduo, considerata l’ampia filmografia dedicata a un artista amatissimo e controverso.
Il regista Jesus Garcés Lambert e la sceneggiatrice Laura Allievi combinano il richiamo delle passioni e la creatività cinematografica con un rigoroso scavo documentale, condotto in primo luogo sugli scritti dei biografi contemporanei di Caravaggio, ricercando una verità ad ampio spettro.
Immagini ad altissima definizione girate in 8k si muovono avanti e indietro sui dipinti, svelandone ogni possibile scorcio: la materia pittorica si fa viva, presente, quasi da toccare e invita a entrare nella danza di ombra e luce che esprime l’essenza di un uomo e della sua arte.
Si scorgono i segni di un baco sulla mela della Canestra di frutta, l’epidermide indurita sotto i piedi di due pellegrini malandati, il velo di lacrime sugli occhi del Suonatore di liuto, il ventre gonfio della Vergine Maria che giace fredda su un tavolaccio, umana come la prostituta annegata che servì da modella per un’opera tra le più scandalose di sempre.
Da posizioni più che privilegiate osserviamo il teatro di sguardi che condensa in un solo attimo il senso di azioni drammatiche e complesse. Il volto mascolino di Medusa urla in un groviglio di serpi dallo scudo degli Uffizi, emettendo un ultimo fiotto di sangue e terrore; le Sette Opere di Misericordia si dispiegano tutte insieme in un vortice di corpi e umana pietas; Oloferne si sveglia quando Giuditta gli ha già affondato una lama nel collo; San Matteo si converte in un raggio di luce che illumina quello che sembra il fotogramma clou di un film mai girato.
Da Roma a Napoli, da Malta a Milano, tracce mirabili raccontano l’esistenza movimentata di un genio modernissimo, che non ti aspetteresti mai di incontrare nel XVII secolo.
A sottolineare la dimensione attuale di Caravaggio, il contrappunto continuo tra la sua storia, narrata da esperti del calibro di Claudio Strinati, Mina Gregori, Rossella Vodret, e momenti introspettivi affidati all’espressività di attori non professionisti, simili alle persone “vere” che il maestro della realtà portò per la prima volta sulla tela.
Al centro della scena, i moti di un animo inquieto e contraddittorio – angoscia, rabbia, tenerezza, sensualità, l’istinto fatale a gettarsi nella rissa e il desiderio di redenzione – cuciti insieme dalla voce calda di un rocker come Manuel Agnelli.
Tra un ricordo, un anelito e uno scoppio d’ira, varchi di luce si aprono sulla dimensione del fare artistico vero e proprio: su un Caravaggio che prepara speciali fondi scuri, ingrediente imprescindibile di una pittura dai contrasti abbaglianti, o sulla sua abitudine di dipingere guardando i modelli in uno specchio.
Su come, in definitiva, le contraddizioni di una natura indomabile e imperfetta si siano trasformate in arte perfettissima, “capace di fissare i viventi nel tempo eterno della pittura”.
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