Al Museo di San Domenico fino al 29 giugno

Dalla maschera al selfie: la storia dell’autoritratto in mostra a Forlì

Installation view, Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie, Museo Civico San Domenico, 2025. ph. Emanuele Rambaldi
 

Francesca Grego

24/02/2025

Forlì-Cesena - Lo specchio, sopra ogni cosa… Lo specchio è il nostro maestro”, sosteneva Leonardo da Vinci, eppure ci ha lasciato il suo volto in un’unica opera, il cosiddetto Ritratto di vecchio dei Musei Reali di Torino. Altri avrebbero tramandato la propria immagine in numerose versioni: è il caso di Rembrandt, autore di oltre 50 autoritratti tra dipinti, disegni e incisioni. Ma c’è stato un tempo la rappresentazione di sé non era nemmeno contemplata nel lavoro di un artista… Curiosa e affascinante, la storia dell’autoritratto è di scena fino al 29 giugno al Museo San Domenico di Forlì in un percorso ricco di sorprese e capolavori. 

Raffaello, Michelangelo, Tiziano, Tintoretto, Giovanni Bellini, Albrecht Dürer, Lorenzo Lotto, Parmigianino, Sofonisba Anguissola, Rubens, Artemisia Gentileschi, Diego Velàsquez, Rembrandt, Gian Lorenzo Bernini, Antonio Canova, Goya, Jean-Auguste Dominique Ingres, Francesco Hayez, Lawrence Alma-Tadema, Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Mario Sironi, Gino Severini, Egon Schiele, Michelangelo Pistoletto, Bill Viola, Marina Abramovic sono solo alcune delle celebrità che i visitatori incontreranno lungo il percorso della mostra Nello specchio di Narciso. Il ritratto dell’artista. Il volto, la maschera, il selfie, diretta da Gianfranco Brunelli. Ma l’esposizione curata da Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice si presenta altrettanto densa di contenuti: ricostruendo passo dopo passo l’evoluzione dell’autoritratto dall’antichità ai nostri giorni, esplora le ragioni del suo intramontabile successo e i motivi che, di volta in volta, hanno spinto gli artisti a catturare la propria immagine: dall’affermazione sociale all’esercizio sul vero, dall’introspezione psicologica al desiderio di farsi opera per dialogare con lo spettatore.  


Installation view, Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie, Museo Civico San Domenico, 2025. ph. Emanuele Rambaldi

“Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto”, ricorda Brunelli: “Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato per ogni artista una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù”. 

L’itinerario della mostra inizia con le potenti maschere teatrali in prestito dal Museo Etrusco di Villa Giulia, per poi addentrarsi in epoche in cui, lungi dal rappresentare un genere definito, il volto dell’artista viene inserito quasi di soppiatto ai margini del suo lavoro, come una firma silenziosa.  “Nel Medioevo non esistono autoritratti. Esistono, però, ritratti che l'artista fa di se stesso all'interno dell'opera”, spiega la curatrice Paola Refice: “Questa apparente contraddizione si basa sul ruolo stesso del fare artistico. Il pittore – o il lapicida, o l'architetto, o il miniatore – è un artigiano. Abile ed esperto quanto si vuole, ma rimane, in sostanza, un esecutore. La sua coscienza di sé è destinata a crescere mano a mano (…). Sin dai primordi di questa lenta ascesa, l'artista reclama un posto, pur minimo, all'interno del processo creativo. Rivolgendosi al Creatore, che nella cultura medievale è la fonte di ogni rappresentazione della realtà, gli dedica la propria opera raffigurandosi al suo interno. Sono le figure che troviamo nelle lastre scolpite degli amboni o nei codici miniati, e, più tardi, nei cicli degli affreschi di età gotica”. 

È solo con il Rinascimento che l’artista inizia “ad acquistar nome”, ormai consapevole della propria ideantità e di un nuovo ruolo sociale: il suo volto appare dapprima in scene collettive come la Presentazione al Tempio di Giovanni Bellini, poi in dipinti a sé stanti, come raccontano in mostra la Testa di giovane con acconciatura del Parmigianino, il Doppio ritratto di Pontormo o l’Autoritratto con spinetta di Sofonisba Anguissola. 


Installation view, Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie, Museo Civico San Domenico, 2025. ph. Emanuele Rambaldi

Se nel Seicento i pittori si rappresentano all’interno del proprio ambiente di lavoro, nel bel mezzo dell’atto di creare, con il Romanticismo si avrà un vero e proprio boom dell’autoritratto, simbolo della potenza creativa, dell’ingegno e talvolta del conflitto che oppone l’artista al mondo borghese. Nei suoi moltissimi autoritratti Francesco Hayez mostrerà di saper gestire come pochi colleghi la propria immagine, anche nei rapporti con i committenti e con il potere. Da Ingres a Fattori, nell’Ottocento gli artisti si servono dell’autoritratto per rivendicare il proprio posto nella società, o come esercizio introspettivo che ne mette a nudo la dimensione più intima. 

È l’alba di un fenomeno destinato a esplodere nel Novecento, il secolo della frantumazione dell’io, che gli artisti indagano ossessivamente come un enigma, producendo, con il moltiplicarsi delle avanguardie, un caleidoscopio di interpretazioni differenti. Fino all’ancor più variegato panorama contemporaneo, dove si spazia dall’Uomo nero di Michelangelo Pistoletto a Ecstasy II dalla serie Eyes Closed di Marina Abramovic, in cui la performer indaga il dolore sotteso alla rappresentazione di sé, artista-martire e simbolo dell’umanità con i suoi travagli. 


Installation view, Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie, Museo Civico San Domenico, 2025. ph. Emanuele Rambaldi