Achille Funi dal 28 ottobre fino al 25 febbraio 2024 a Palazzo dei Diamanti
Anomalo Ferrarese
Achille Funi, Maternità, 1921 Olio su tela, cm 100,5 x 91 Collezione privata, courtesy Galleria Berman, Torino
Piero Muscarà
27/10/2023
Ferrara - Achille, Virgilio, Socrate. Tre nomi che da soli raccontano una storia, tre nomi che in qualche modo ne hanno plasmato il destino. Uomo colto, magico per sensibilità, sicuramente più interessato alla forma e al colore, che ad astratti concetti di movimento e modernità, Achille Funi era - secondo l’amico Umberto Boccioni che gli dedicò una monografia nel 1916 - “il pittore più solido, più sincero, l’unico preoccupato di dare, attraverso pure forme e puri colori, una emozione plastica”.
Achille Funi fu anche futurista - moderato si dice, ma forse sarebbe più giusto definirlo “futurista un po’ a modo suo”. Si interessò sin dal 1911 alle necessità espressive dei tempi moderni - anche se era più incuriosito dalle forme che dal movimento e infatti gli studiosi parlano di suo “cubofuturismo” - e aderì nell’inverno del 1913 al gruppo artistico “Nuove Tendenze” promosso dal critico e artista Ugo Nebbia che ebbe come esito una strampalata, imperfettissima mostra “abbastanza avanguardista” in cui Funi espose nove opere assieme ad altri otto artisti, i pittori Dudreville, Erba, Nizzoli e Bisi-Fabbri, lo scultore Giovanni Possamai, la decoratrice di tessuti Alma Fidora e gli architetti Chiattone e Sant’Elia.
Ed è con alcune di queste opere che si apre, dopo un breve piccolo prologo più accademico, la grande mostra antologica che Palazzo dei Diamanti a Ferrara ha dedicato al suo illustre artista e concittadino “Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito” che debutta il 28 ottobre 2023 e che resterà visitabile dal pubblico fino al 25 febbraio 2024.
I curatori - Nicoletta Colombo, Serena Redaelli e Chiara Vorrasi - nei testi di accompagnamento didascalico in esposizione paiono quasi volerlo “giustificare” e scrivono sui muri “Funi condivide con i giovani colleghi il bisogno di rinnovamento, mantenendosi però distante dagli estremismi (sic !) del Futurismo di Umberto Boccioni e di Filippo Tommaso Marinetti. Dotato di vocazione realistica mediata da un'innata visionarietà, già dal 1911 realizza matite e acquerelli in uno stile cubofuturista caratterizzato da contrasti volumetrici inseriti in un movimento ritmico e deformante .. (dove - ndr) il linguaggio innovativo del ferrarese è lodato nel 1916 dall'amico Boccioni, che ne ammira le fasciature delle forme sull'esempio di Cézanne”.
Achille Funi, Uomo che scende dal tram (dettaglio), 1914 - courtesy © Museo del Novecento, Milano
In questa sezione di apertura della mostra troviamo dunque alcuni di questi suoi “tentativi” futuristi come l’olio su tela del 1914 dove l’Uomo che scende dal tram - che viene dalle collezioni del Museo del Novecento di Milano - mette in scena più che una scomposizione e ricomposizione del movimento, come avrebbe fatto ad esempio Giacomo Balla, un insieme di volumi e forme, frammenti tridimensionali di attimi colti dall’occhio sognante del pittore che colloca il passeggero nel momento in cui sta fuoriuscendo dal veicolo, sullo sfondo di una città che è una proiezione giustapposta che però rende l’idea di una metropoli notturna, presepio moderno illuminato dalle luci elettriche, che fa controcanto al colorato e incurvato protagonista al centro del quadro.
Troviamo in questa sezione anche le sequenze di un altro apprezzabile dipinto, un po’ futurista “un po’ chissà”, Il motociclista, olio su tela datato 1914-1921 di cui possiamo osservare la genesi in quattro altri prototipi provenienti da collezioni private, due tempere su carta, un carboncino e china su cartoncino molto bello e un ultimo piccolino infine in “tecnica mista”. A vederle in una stessa stanza queste opere fanno impressione e non si può che essere d’accordo, eh sì certo Achille Funi, se si pensa a dove era giunta la ricerca del suo amico Boccioni negli stessi anni, era un futurista all’acqua di rose, al confronto. Ma il punto non è quello. Come dimostra anche lo splendido collage Marinetti. Lussuria Velocità (anche questo 1914-21) che integrando grafica e sovrapponendo immagini e titolazioni invece anticipa in qualche modo Fortunato Depero.
Usciti da questa necessaria immersione nel “Futurismo alla Funi”, è un bel intermezzo trovare in mostra gli acquarelli e i disegni a carboncino e a matita che il pittore ferrarese riporta dal fronte della Grande Guerra. Ne aveva fatti più di cinquecento andati perduti in una ritirata, ricordano le autografe parole cubitali sul muro blu su cui sono appoggiati i disegni sopravvissuti.
Achille Funi infatti, pur autonomo artisticamente dal Futurismo duro e puro di Marinetti, nel 1915 non esitò ad aderire al grido “A morte Franz, viva Oberdan” al mitico Battaglione lombardo volontari ciclisti e automobilisti formato da Marinetti, Boccioni, Sironi, Sant’Elia, Erba, Bucci, Piatti e Russolo.
Quegli sketches che sono rimasti sono bellissime scene di quotidianità, appunti di cronaca, spontanei momenti da un fronte dove Funi vedrà il suo patriottismo confrontarsi con la realtà di una guerra che non è solo più idealizzata, ma diviene reale con la sospensione del tempo di Scene di guerra, soldati a riposo del 1915, quel commilitone ricurvo su se stesso intento a leggere Notizie da casa del 1916 o la solitudine di un Soldato su un muretto dello stesso anno.
E’ un passaggio, questo della guerra, in cui moriranno alcuni suoi compagni e amici come Boccioni e Sant’Elia, in cui necessariamente tutto cambia, tutto assume una diversa luce nel mondo e a cui seguirà una trasformazione di Achille Funi che nel 1918 è pronto ad affrontare - a modo suo - il ritorno all’ordine avvicinandosi pian piano al movimento di Margherita Sarfatti che proponeva di riprendere in mano la pittura figurativa e un formalismo rappresentativo che voleva riallacciarsi a quel continuum con la pittura e l’arte del passato che Marinetti e i suoi avevano invece fortissimamente troncato.
Le due successive sezioni della mostra a Palazzo dei Diamanti sono dedicate a questo ritorno, anche se le tre curatrici ricordano che sin dagli esordi Funi è “dotato di vocazione realistica mediata da un'innata visionarietà”. Una vocazione realistica-visionaria che in questa antologica letteralmente prende forma con il tempo attraversando le diverse sezioni dove troviamo le cosiddette opere di transizione come Genealogia o La Mia Famiglia del 1918-19 che proviene dalle collezioni del MART di Rovereto, dove si vedono i richiami a Cézanne e ancor più alla metafisica di Carrà. O il meraviglioso dipinto “al modo di Leonardo da Vinci” intitolato Ritratto di Annita Balconi del 1922 dove la posa e il segno completano il percorso avviato con Il bel cadavere (Le villeggianti) del 1919-20 dal Museo del Novecento.
Achille Funi: La terra (dettaglio), 1921 Olio su tela, cm 99 x 90 Collezione Gaspare Tosi
Un percorso dove Funi sperimenta ancora altro, come il passaggio successivo verso le forme iperuraniche perfette di Coni e sfere del 1920 o quella scena interrotta di Strumenti musicali del 1921 dove riecheggia già un successivo surrealismo “sospeso” di Magritte o in cui si può forse persino intravvedere qualcosa di De Chirico.
Ancor più apprezzabile e forse massima espressione del genio di Funi è la fase che segue, corrispondente a una serie di dipinti dei primi anni venti dove Achille Funi con il suo Realismo magico, come scrive Nicoletta Colombo “sovraespone gli elementi fino a creare un clima di straniamento irrealistico formulato in strutture taglienti e impeccabili”.
Sono i capolavori di Funi: La sorella Margherita con brocca di coccio (1920), Autoritratto con brocca blu (1920), Ragazzo con le mele (1921), La terra (1921, dalla Collezione Gaspare Tosi) e Maternità (1921) entrambi esposti alla XIII Biennale d’arte di Venezia e il pezzo forte di questa mostra a Palazzo dei Diamanti, L’acqua (1922) ritrovata, restaurata e qui esposta per la prima volta.
La mostra è molto vasta, sono presenti oltre 130 opere in esposizione ed è dopo 50 anni la più importante mai realizzata dedicata al pittore ferrarese.
Dopo l’ampio e molto completo excursus nel cuore dell’arte del realismo di Funi, c’è spazio per approfondire altri temi. La successiva e interessante esplorazione del pittore verso temi della mitologia classica e verso un immaginario Grand Tour dove troviamo per esempio una Testa alla Fayum del 1927 che pare quasi un affresco pompeiano che potremmo vedere al Museo Archeologico di Napoli o paesaggi inattesi come la ventosa Spiaggia al Forte dei Marmi del 1929 o il quasi surreale Publio Orazio uccide la sorella (1930-32). Infine gli ultimi anni, dove ci sono due bei dipinti a tema femminile, l’olio su tavola Ragazza alla finestra (1939) e lo splendido nudo Donna coricata con drappeggio (1940).
E ci sarebbe molto altro da aggiungere. Come il dettagliato studio su Funi affrescatore in cui c’è una intera sezione dedicata ai disegni preparatori degli interventi murali che Funi farà alla IV Triennale di Monza, alla Chiesa di San Giorgio al Palazzo a Milano, alla Chiesa di San Francesco a Tripoli, alla Banca Nazionale del Lavoro di Roma e all’ancor più importante ciclo Il Mito di Ferrara che poi realizzò alla Sala dell’Arengo nel Palazzo Municipale di Ferrara.
Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Ferrara Arte che ha organizzato questa mostra assieme al Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, nella sua introduzione pubblicata nel catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale scrive “Achille Funi, nella mia memoria, è l’ultimo pittore ferrarese. Meglio, estense. (...) Potremmo dirlo infine l’ultimo pittore classico, composto, severo, anche per raddrizzare la contorta pittura ferrarese del Quattrocento, cui pur si ispira”. Un giudizio che in qualche modo si riallaccia a quanto diceva Margherita Sarfatti che ricordava come Funi “aspira sì alla bellezza, e così alto è il sospiro, e puro, e sinceramente intero e disinteressato, che la raggiunge per vie imprevedute, non imitabili”.
Ecco questa della non imitabilità di Funi è un'immagine che mi piace molto. E che rimanda alla sensazione che diversamente la visione di questa mostra ha ispirato in me. Anomalo ferrarese, vien da dire. Perché quel che emerge dopo l’immersione nel suo universo in questa mostra a Palazzo dei Diamanti è l’idea che in Funi ci fosse un equilibrio sospeso, magicamente, in diversi idealismi che sono lontani, diversi tra loro ma non meno veri.
Quegli sguardi della sorella Margherita, certi autoritratti, quella immobilità del tempo, quelle attese che si ritrovano anche negli appunti dal fronte col battaglione dei ciclisti di Marinetti e Boccioni e poi quello strano signore un po’ goffo, troppo colorato, che tondeggia scendendo dal tram in una Milano che potrebbe essere anche un altrove immaginato. Oggi, ieri, chissà quando. Ecco Achille, ecco Virgilio, ecco Socrate. Funi: un uomo con tre nomi importanti e che a noi pare essere un po’ un magico funambolo che cammina leggero, sospeso sopra le nostre teste, e che ci guarda, serio e sornione, dall’altra parte della tela. Attende tranquillo. Il suo tempo, verrà.
Achille Funi. Genealogia o La mia famiglia, 1918-19 Olio su tela, cm 103 x 147 Mart, Museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung
Achille Funi fu anche futurista - moderato si dice, ma forse sarebbe più giusto definirlo “futurista un po’ a modo suo”. Si interessò sin dal 1911 alle necessità espressive dei tempi moderni - anche se era più incuriosito dalle forme che dal movimento e infatti gli studiosi parlano di suo “cubofuturismo” - e aderì nell’inverno del 1913 al gruppo artistico “Nuove Tendenze” promosso dal critico e artista Ugo Nebbia che ebbe come esito una strampalata, imperfettissima mostra “abbastanza avanguardista” in cui Funi espose nove opere assieme ad altri otto artisti, i pittori Dudreville, Erba, Nizzoli e Bisi-Fabbri, lo scultore Giovanni Possamai, la decoratrice di tessuti Alma Fidora e gli architetti Chiattone e Sant’Elia.
Ed è con alcune di queste opere che si apre, dopo un breve piccolo prologo più accademico, la grande mostra antologica che Palazzo dei Diamanti a Ferrara ha dedicato al suo illustre artista e concittadino “Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito” che debutta il 28 ottobre 2023 e che resterà visitabile dal pubblico fino al 25 febbraio 2024.
I curatori - Nicoletta Colombo, Serena Redaelli e Chiara Vorrasi - nei testi di accompagnamento didascalico in esposizione paiono quasi volerlo “giustificare” e scrivono sui muri “Funi condivide con i giovani colleghi il bisogno di rinnovamento, mantenendosi però distante dagli estremismi (sic !) del Futurismo di Umberto Boccioni e di Filippo Tommaso Marinetti. Dotato di vocazione realistica mediata da un'innata visionarietà, già dal 1911 realizza matite e acquerelli in uno stile cubofuturista caratterizzato da contrasti volumetrici inseriti in un movimento ritmico e deformante .. (dove - ndr) il linguaggio innovativo del ferrarese è lodato nel 1916 dall'amico Boccioni, che ne ammira le fasciature delle forme sull'esempio di Cézanne”.
Achille Funi, Uomo che scende dal tram (dettaglio), 1914 - courtesy © Museo del Novecento, Milano
In questa sezione di apertura della mostra troviamo dunque alcuni di questi suoi “tentativi” futuristi come l’olio su tela del 1914 dove l’Uomo che scende dal tram - che viene dalle collezioni del Museo del Novecento di Milano - mette in scena più che una scomposizione e ricomposizione del movimento, come avrebbe fatto ad esempio Giacomo Balla, un insieme di volumi e forme, frammenti tridimensionali di attimi colti dall’occhio sognante del pittore che colloca il passeggero nel momento in cui sta fuoriuscendo dal veicolo, sullo sfondo di una città che è una proiezione giustapposta che però rende l’idea di una metropoli notturna, presepio moderno illuminato dalle luci elettriche, che fa controcanto al colorato e incurvato protagonista al centro del quadro.
Troviamo in questa sezione anche le sequenze di un altro apprezzabile dipinto, un po’ futurista “un po’ chissà”, Il motociclista, olio su tela datato 1914-1921 di cui possiamo osservare la genesi in quattro altri prototipi provenienti da collezioni private, due tempere su carta, un carboncino e china su cartoncino molto bello e un ultimo piccolino infine in “tecnica mista”. A vederle in una stessa stanza queste opere fanno impressione e non si può che essere d’accordo, eh sì certo Achille Funi, se si pensa a dove era giunta la ricerca del suo amico Boccioni negli stessi anni, era un futurista all’acqua di rose, al confronto. Ma il punto non è quello. Come dimostra anche lo splendido collage Marinetti. Lussuria Velocità (anche questo 1914-21) che integrando grafica e sovrapponendo immagini e titolazioni invece anticipa in qualche modo Fortunato Depero.
Usciti da questa necessaria immersione nel “Futurismo alla Funi”, è un bel intermezzo trovare in mostra gli acquarelli e i disegni a carboncino e a matita che il pittore ferrarese riporta dal fronte della Grande Guerra. Ne aveva fatti più di cinquecento andati perduti in una ritirata, ricordano le autografe parole cubitali sul muro blu su cui sono appoggiati i disegni sopravvissuti.
Achille Funi infatti, pur autonomo artisticamente dal Futurismo duro e puro di Marinetti, nel 1915 non esitò ad aderire al grido “A morte Franz, viva Oberdan” al mitico Battaglione lombardo volontari ciclisti e automobilisti formato da Marinetti, Boccioni, Sironi, Sant’Elia, Erba, Bucci, Piatti e Russolo.
Quegli sketches che sono rimasti sono bellissime scene di quotidianità, appunti di cronaca, spontanei momenti da un fronte dove Funi vedrà il suo patriottismo confrontarsi con la realtà di una guerra che non è solo più idealizzata, ma diviene reale con la sospensione del tempo di Scene di guerra, soldati a riposo del 1915, quel commilitone ricurvo su se stesso intento a leggere Notizie da casa del 1916 o la solitudine di un Soldato su un muretto dello stesso anno.
E’ un passaggio, questo della guerra, in cui moriranno alcuni suoi compagni e amici come Boccioni e Sant’Elia, in cui necessariamente tutto cambia, tutto assume una diversa luce nel mondo e a cui seguirà una trasformazione di Achille Funi che nel 1918 è pronto ad affrontare - a modo suo - il ritorno all’ordine avvicinandosi pian piano al movimento di Margherita Sarfatti che proponeva di riprendere in mano la pittura figurativa e un formalismo rappresentativo che voleva riallacciarsi a quel continuum con la pittura e l’arte del passato che Marinetti e i suoi avevano invece fortissimamente troncato.
Le due successive sezioni della mostra a Palazzo dei Diamanti sono dedicate a questo ritorno, anche se le tre curatrici ricordano che sin dagli esordi Funi è “dotato di vocazione realistica mediata da un'innata visionarietà”. Una vocazione realistica-visionaria che in questa antologica letteralmente prende forma con il tempo attraversando le diverse sezioni dove troviamo le cosiddette opere di transizione come Genealogia o La Mia Famiglia del 1918-19 che proviene dalle collezioni del MART di Rovereto, dove si vedono i richiami a Cézanne e ancor più alla metafisica di Carrà. O il meraviglioso dipinto “al modo di Leonardo da Vinci” intitolato Ritratto di Annita Balconi del 1922 dove la posa e il segno completano il percorso avviato con Il bel cadavere (Le villeggianti) del 1919-20 dal Museo del Novecento.
Achille Funi: La terra (dettaglio), 1921 Olio su tela, cm 99 x 90 Collezione Gaspare Tosi
Un percorso dove Funi sperimenta ancora altro, come il passaggio successivo verso le forme iperuraniche perfette di Coni e sfere del 1920 o quella scena interrotta di Strumenti musicali del 1921 dove riecheggia già un successivo surrealismo “sospeso” di Magritte o in cui si può forse persino intravvedere qualcosa di De Chirico.
Ancor più apprezzabile e forse massima espressione del genio di Funi è la fase che segue, corrispondente a una serie di dipinti dei primi anni venti dove Achille Funi con il suo Realismo magico, come scrive Nicoletta Colombo “sovraespone gli elementi fino a creare un clima di straniamento irrealistico formulato in strutture taglienti e impeccabili”.
Sono i capolavori di Funi: La sorella Margherita con brocca di coccio (1920), Autoritratto con brocca blu (1920), Ragazzo con le mele (1921), La terra (1921, dalla Collezione Gaspare Tosi) e Maternità (1921) entrambi esposti alla XIII Biennale d’arte di Venezia e il pezzo forte di questa mostra a Palazzo dei Diamanti, L’acqua (1922) ritrovata, restaurata e qui esposta per la prima volta.
La mostra è molto vasta, sono presenti oltre 130 opere in esposizione ed è dopo 50 anni la più importante mai realizzata dedicata al pittore ferrarese.
Dopo l’ampio e molto completo excursus nel cuore dell’arte del realismo di Funi, c’è spazio per approfondire altri temi. La successiva e interessante esplorazione del pittore verso temi della mitologia classica e verso un immaginario Grand Tour dove troviamo per esempio una Testa alla Fayum del 1927 che pare quasi un affresco pompeiano che potremmo vedere al Museo Archeologico di Napoli o paesaggi inattesi come la ventosa Spiaggia al Forte dei Marmi del 1929 o il quasi surreale Publio Orazio uccide la sorella (1930-32). Infine gli ultimi anni, dove ci sono due bei dipinti a tema femminile, l’olio su tavola Ragazza alla finestra (1939) e lo splendido nudo Donna coricata con drappeggio (1940).
E ci sarebbe molto altro da aggiungere. Come il dettagliato studio su Funi affrescatore in cui c’è una intera sezione dedicata ai disegni preparatori degli interventi murali che Funi farà alla IV Triennale di Monza, alla Chiesa di San Giorgio al Palazzo a Milano, alla Chiesa di San Francesco a Tripoli, alla Banca Nazionale del Lavoro di Roma e all’ancor più importante ciclo Il Mito di Ferrara che poi realizzò alla Sala dell’Arengo nel Palazzo Municipale di Ferrara.
Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Ferrara Arte che ha organizzato questa mostra assieme al Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, nella sua introduzione pubblicata nel catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale scrive “Achille Funi, nella mia memoria, è l’ultimo pittore ferrarese. Meglio, estense. (...) Potremmo dirlo infine l’ultimo pittore classico, composto, severo, anche per raddrizzare la contorta pittura ferrarese del Quattrocento, cui pur si ispira”. Un giudizio che in qualche modo si riallaccia a quanto diceva Margherita Sarfatti che ricordava come Funi “aspira sì alla bellezza, e così alto è il sospiro, e puro, e sinceramente intero e disinteressato, che la raggiunge per vie imprevedute, non imitabili”.
Ecco questa della non imitabilità di Funi è un'immagine che mi piace molto. E che rimanda alla sensazione che diversamente la visione di questa mostra ha ispirato in me. Anomalo ferrarese, vien da dire. Perché quel che emerge dopo l’immersione nel suo universo in questa mostra a Palazzo dei Diamanti è l’idea che in Funi ci fosse un equilibrio sospeso, magicamente, in diversi idealismi che sono lontani, diversi tra loro ma non meno veri.
Quegli sguardi della sorella Margherita, certi autoritratti, quella immobilità del tempo, quelle attese che si ritrovano anche negli appunti dal fronte col battaglione dei ciclisti di Marinetti e Boccioni e poi quello strano signore un po’ goffo, troppo colorato, che tondeggia scendendo dal tram in una Milano che potrebbe essere anche un altrove immaginato. Oggi, ieri, chissà quando. Ecco Achille, ecco Virgilio, ecco Socrate. Funi: un uomo con tre nomi importanti e che a noi pare essere un po’ un magico funambolo che cammina leggero, sospeso sopra le nostre teste, e che ci guarda, serio e sornione, dall’altra parte della tela. Attende tranquillo. Il suo tempo, verrà.
Achille Funi. Genealogia o La mia famiglia, 1918-19 Olio su tela, cm 103 x 147 Mart, Museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung
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