Jannis Kounellis
Dal 11 Maggio 2019 al 24 Novembre 2019
Venezia
Luogo: Fondazione Prada
Indirizzo: Santa Croce 2215
Orari: Tutti i giorni 10 - 18 | Mar chiuso
Curatori: Germano Celant
Costo del biglietto: Intero 10 € | Ridotto 8 € | Gratuito Visitatori sotto i 18 e sopra i 65 anni / Visitatori diversamente abili / Giornalisti accreditati o in possesso di tessera stampa in corso di validità
Telefono per informazioni: +39 02 5666 2634
Sito ufficiale: http://fondazioneprada.org
Fondazione Prada presenta Jannis Kounellis, a cura di Germano Celant, la prima vasta retrospettiva dedicata all’artista dopo la sua scomparsa nel 2017. La mostra si svolge nel palazzo di Ca’ Corner della Regina, sede veneziana della fondazione, dall’11 maggio al 24 novembre 2019.
Il progetto, sviluppato con la collaborazione dell’Archivio Kounellis, riunisce più di 60 lavori dal 1959 al 2015, provenienti da istituzioni e musei italiani e internazionali, come Tate Modern (Londra), Centre Pompidou - Musée National d’Art Moderne (Parigi), Museum Boijmans Van Beuningen (Rotterdam), Walker Art Center (Minneapolis) e Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea (Torino), e da importanti collezioni private in Italia e all’estero. La mostra ricostruisce la storia artistica ed espositiva di Kounellis (Pireo 1936 - Roma 2017), evidenziando gli sviluppi fondamentali della sua poetica e cercando di stabilire un dialogo tra le opere e gli spazi settecenteschi di Ca’ Corner della Regina.
I primi lavori dell’artista, esposti originariamente tra il 1960 e il 1966, sono presentati in alcune sale del primo piano nobile del palazzo veneziano e trattano del linguaggio urbano. In una prima fase riprendono scritte, segnali e insegne presenti nelle strade di Roma e, in seguito, contengono lettere, frecce e numeri neri tracciati su tela, carta o altri supporti bianchi. Veicolano una scomposizione del linguaggio in accordo con la frammentazione del reale che, dal 1964, si ricompone in soggetti ripresi dalla natura, dai tramonti alle rose, quest’ultime attaccate sulle tele con bottoni automatici. Dal 1967, con l’intento di superare l’uniformità tradizionalmente pittorica della sua prima produzione, la ricerca di Kounellis si fa più radicale per inglobare elementi concreti e naturali come terra, cactus, lana, carbone, cotone e fuoco.
Si passa dal linguaggio scritto e pittorico a quello fisico e ambientale dove l’operazione concettuale si intreccia alle materie elementari. A un idioma elitario, asettico e ufficiale che domina il mondo dell’arte, Kounellis oppone un linguaggio basato sulla primarietà degli elementi vitali e sulla relazione terrestre con l’arte. Il ricorso a entità organiche e inorganiche trasforma così il suo linguaggio in un’esperienza corporea, intesa come trasmissione e rilevamento sensoriale. L’artista esplora in particolare la dimensione sonora in cui il dipinto si traduce in uno spartito da musicare o da danzare, già dal 1960 con lo stesso Kounellis che salmodia le sue lettere su tela e dal 1970 attraverso la presenza di un musicista o di una ballerina. L’indagine della percezione olfattiva, iniziata nel 1969 con il caffè, prosegue negli anni Ottanta con sostanze come la grappa, per uscire dai limiti illusori del quadro, abbracciare il mondo dei sensi e congiungersi con il caos vitale della realtà.
Nelle installazioni realizzate dalla fine degli anni Sessanta ed esposte in mostra, l’artista innesca uno scontro dialettico tra la leggerezza, l’instabilità, la temporalità connesse alla fragilità dell’elemento naturale e la pesantezza, la permanenza, l’artificialità e la rigidità delle strutture industriali, rappresentate da superfici modulari in metallo dipinto di grigio. Questa opposizione opera come una metafora della condizione degli esseri viventi, stretta tra l’aspirazione alla libertà assoluta e la costrizione fisica e morale indotta dalle costruzioni sociali.
Kounellis partecipa alle mostre e agli eventi artistici che contribuiscono all’elaborazione dell’Arte Povera, la cui adesione si traduce nell’evitare l’esaltazione dei materiali a favore di un’autentica forma di espressione visuale che rimanda alla cultura antica, intepretata secondo uno spirito contemporaneo, in contrasto con la perdita di identità storica e politica del secondo dopoguerra. Con questo fare che oscilla dal classico al radicale, l’artista realizza opere fondamentali che comportano uno scambio energetico e culturale con lo spettatore. Crea un’arte sempre più intensa e fluida che ingloba, per la sua valenza mitica, componenti naturali e storiche, corporali e simboliche.
Dal 1967, data della cosiddetta “margherita di fuoco”, il fenomeno della combustione appare frequentemente nell’opera dell’artista: una “scrittura di fuoco” che ne enfatizza il potenziale trasformativo e rigenerante. Il fuoco assume l’aspetto di una torcia a gas agganciata liberamente e posta a livello dello sguardo dello spettatore così da permettergli l’uso potenziale, o annullarne la vista, a favore di un’attenzione al sentire interiore. Diventa poi un reticolo di fiamme disposte sul pavimento, come nell’installazione del 1971 presente in mostra, per annunciare il desiderio di un cambiamento totale. Nel corso degli anni, con l’avvento di situazioni politiche e artistiche di carattere conservatore, prende la forma riduttiva di una candela e di una lampada a petrolio, infine si trasforma in una cannula, leggera e quasi invisibile, che scorre sulla superficie in lamiera del dipinto.
Al vertice del mutamento e del risultato sublime della combustione, secondo la tradizione alchemica, si colloca l’oro che l’artista utilizza in molteplici situazioni. Nell’installazione Senza titolo (Tragedia civile) del 1975 il contrasto tra la foglia d’oro che ricopre interamente una parete spoglia e il nero degli indumenti, appesi a un attacapanni, testimonia la drammaticità di una scena che allude a una crisi storica e personale. È il ritratto dell’artista, sacrificato e quindi assente, che esprime una sofferta condizione esistenziale e creativa: una scissione tra passato e presente che ha ancora qualche speranza di ricomporsi, come suggerisce la presenza della lampada ad acetilene accesa.
Nel percorso di Kounellis il fumo, legato naturalmente al fuoco, funziona sia come residuo di un processo pittorico di transito energetico, sia come prova della trasformazione delle sostanze e dello scorrere del tempo. Le tracce di fuliggine sulle pietre, le tele e i muri, che caratterizzano alcuni lavori del 1979 e 1980, indicano un personale “ritorno alla pittura”, in opposizione all’approccio a-ideologico ed edonistico di molta produzione pittorica degli anni Ottanta. Negli stessi anni compare il motivo della ciminiera, ovvero l’esatto contrario della forza primigenia della fiamma che è infatti imprigionata nella struttura in mattoni. Se il fuoco simboleggia una possibilità d’intervento rivoluzionario sulla realtà, la fuliggine e il fumo sprigionati dalla ciminiera rappresentano il dissolvimento e la fine di ogni potenziale azione politica e sociale tramite l’arte.
Le due opere del 1980 e 2006, composte da strumenti musicali collegati a bombole a gas e campane in ferro battuto, sono idealmente collegate a due lavori datati 1971. Nel primo caso alcuni flautisti suonano un frammento di una composizione di Mozart, mentre nel secondo un dipinto a olio riporta le note di un’altra composizione sacra di Bach eseguita dal vivo da un violoncellista. Con queste due operazioni Kounellis rinnova la dimensione sacrale della musica legata al mito di Orfeo che attribuisce al canto la capacità di convertire l’inerte in vivente, così da opporsi alla morte. Questi lavori sostituiscono o collegano l’immagine con il suono superando le tradizionali distinzioni tra linguaggi artistici, mentre la ripetizione di frammenti musicali e la presenza fisica dei musicisti permettono all’artista di esplorare ancora una volta la dimensione corporea dell’opera e la condivisione dell’esperienza concettuale e sensoriale tra autore e spettatore.
In tutta la sua ricerca Kounellis sviluppa una relazione tragica e personale con la cultura e la storia, evitando un atteggiamento aulico e reverenziale. Arriva a rappresentare il passato con un insieme incompleto di frammenti, come nell’opera del 1974 composta da porzioni di copie in gesso di statue classiche disposte su un tavolo e accostate a una lampada a petrolio accesa. Mentre in altri lavori l’eredità greco-romana è esplorata attraverso l’elemento della maschera, come nell’installazione del 1973 costituita da una cornice in legno su cui sono disposti a intervalli regolari calchi in gesso di volti. Il supporto ligneo racchiude una tela nera che evoca uno spazio teatrale in cui la maschera, secondo la tradizione greca, stabilisce il ruolo e l’identità del personaggio e ne definisce le origini e il destino.
Un altro emblema dell’insofferenza dell’artista verso le dinamiche del proprio tempo è la porta, presente in mostra in tre diverse declinazioni datate tra il 1972 e il 2004. I varchi tra le stanze sono chiusi con pietre, tondelli di ferro e lastre di piombo mostrando l’interiorità storica dell’edificio e rendendo inaccessibili alcuni ambienti così da esaltarne la dimensione sconosciuta, metafisica e surreale. Nel corso degli anni il motivo della porta è ripresentato da Kounellis in numerose versioni costituite anche da campane e da calchi di statue classiche, memorie stratificate di un’eredità sensoriale e visuale, profonda e impenetrabile.
Il percorso espositivo è completato da alcune installazioni di grandi dimensioni, realizzate da Kounellis a partire dalla fine degli anni Ottanta. Questi insiemi, che moltiplicano le modularità dei lavori storici per appropriarsi dello spazio, inglobano mensole o costruzioni metalliche che contengono oggetti di varia provenienza: da calchi in gesso a pietre, da cappotti a bicchieri e ingranaggi meccanici. In questo contesto si inseriscono i grandi interventi ospitati nelle sale centrali dei due piani nobili di Ca’ Corner della Regina. Al primo piano sono allestite tre imponenti opere del 1994, 2011 e 2013. La più recente è composta da due binari che sorreggono sei strutture di ferro, che richiamano la sua Cotoniera (1967), ognuna delle quali contiene al suo interno 200 kg di materiale di varia natura. Il portego del secondo piano ospita invece l’intervento del 1993-2008, costituito da armadi di diversi colori e forme sospesi a soffitto. Concepita per la prima volta per gli spazi di Palazzo Belmonte Riso a Palermo, l’opera sfida le leggi della gravità e, nella successione di ante casualmente aperte, sembra imitare le impossibili fughe prospettiche della pittura barocca.
Sul piano dell’intervento esterno, Kounellis fin dal 1967 affronta nei suoi lavori i motivi della gravità e dell’equilibrio, sfruttando le possibilità formali e immaginative insite nell’atto di appendere un oggetto, ma è negli anni Ottanta e Novanta che approfondisce il confronto con lo spazio architettonico e urbano. Entrambi gli aspetti trovano una realizzazione monumentale nell’installazione del 1992, riproposta nella corte interna del palazzo veneziano che, concepita per la facciata esterna di un edificio di Barcellona, è composta da sette piatti metallici a sostenere sacchi contenenti chicchi di caffè
La retrospettiva è completata dalla presentazione al piano terra di documenti come film, cataloghi, inviti, manifesti e fotografie d’archivio che testimoniano la storia espositiva di Kounellis e da un focus dedicato ai suoi progetti in campo teatrale. La mostra è accompagnata da un volume che, con un saggio di Germano Celant e un’ampia cronologia illustrata, documenta e approfondisce il percorso biografico e professionale dell’artista. Progettato dallo Studio 2x4 di New York, il libro è pubblicato da Fondazione Prada.
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