Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi
Dal 18 Gennaio 2023 al 04 Giugno 2023
Venezia
Luogo: Museo di Palazzo Grimani
Indirizzo: Ramo Grimani - Castello 4858
Orari: Mar - Dom 10 - 19 | Ultimo ingresso ore 18.30 | Lun chiuso
Curatori: Kurt Kaindle e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi
Enti promotori:
- Direzione regionale Musei Veneto
- Suasez
- Con il patrocinio e il sostegno del Forum Austriaco di Cultura di Milano
Telefono per informazioni: +39 041 241 1507
Sito ufficiale: http://ingemorathexhibition.com
Il Museo di Palazzo Grimani di Venezia celebra la figura della fotografa Inge Morath (Graz 1923 – New York 2002) con una sezione inedita per l’Italia dedicata alla città lagunare dove la sua carriera ebbe avvio.
E’ stato l’amore a condurre nel novembre del 1951 Inge Morath e Lionel Burch, neo sposi, a Venezia. E sono stati il maltempo in Laguna e Robert Capa, a far diventare lei, che con la fotografia non aveva dimestichezza diretta ma che collaborava già con la celebre agenzia fotografica parigina, la prima donna fotografa dell’Agenzia Magnum Photos.
La mostra che dal 18 gennaio al 4 giugno 2023 si ammirerà al Museo di Palazzo Grimani focalizza la Venezia di Inge Morath, attraverso il celebre reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l’Agenzia Magnum la inviò in città per conto de L’Oeil, rivista d’arte che aveva scelto di corredare con scorci veneziani un reportage della mitica Mary McCarthy.
“Inge Morath Fotografare da Venezia in poi” è curata da Kurt Kaidl e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi; promossa dalla Direzione regionale Musei Veneto (direttore Daniele Ferrara) e la società Suazes che, alcuni anni fa, ha fatto conoscere in maniera dettagliata la carriera di questa fotografa in Italia.
All’epoca del primo soggiorno veneziano, la Morath lavorava in Magnum non come fotografa ma come collaboratrice redazionale. In pratica si occupava, anche grazie alla sua conoscenza delle lingue, della realizzazione delle didascalie che accompagnavano le immagini dei suoi colleghi fotografi, del calibro di Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa.
Non fotografava, ma non le mancavano occhio e sensibilità. In quel novembre, la luce di Venezia sotto la pioggia la stregò, tanto da indurla a chiamare Robert Capa, responsabile della Magnum, per suggerirgli di inviare un fotografo in grado di catturare la magia che tanto la stava stupendo. Capa le rispose che un fotografo di Magnum a Venezia c’era già: era lei con la macchina fotografica. Non restava che comprare un rullino, caricarla e iniziare a fotografare.
“Ero tutta eccitata. Sono andata nel luogo in cui volevo scattare le mie fotografie e mi sono fermata: un angolo di strada dove la gente passava in un modo che mi sembrava interessante. Ho regolato la fotocamera e ho premuto il pulsante di scatto non appena ho visto che tutto era esattamente come volevo. È stata come una rivelazione. Realizzare in un istante qualcosa che mi era rimasto dentro per così tanto tempo, catturandolo nel momento in cui aveva assunto la forma che sentivo giusta. Dopo di che, non c’è stato più modo di fermarmi”.
Nel 1955, quattro anni dopo quelle prime fotografie, arriva l’incarico dalla rivista L’Oeil. Una volta a Venezia, avverte l’urgenza di esplorare la città e così “per ore andai in giro senza meta, solo a guardare, ossessionata dalla pura gioia di vedere e scoprire un luogo. Ovviamente avevo divorato libri su Venezia, sulla pittura e su quello che avrei dovuto fare. Il mio cervello ne era pieno… “.
“Il mio divertimento maggiore era quello di sedermi alla Scuola degli Schiavoni ed immergermi nelle opere di Carpaccio, quasi sempre da sola. O passare il tempo in compagnia del Tiepolo, era la fine del mondo. La sera i miei piedi erano stanchi e anche nel sonno mi trovavo ancora a camminare su innumerevoli ponti, le onde dei canali come pietrificate”.
Poi il Cimitero all’Isola di San Michele, Burano, Murano, Torcello, le processioni, il Redentore, i gatti ed i panni stesi, monumento, acqua e la gente comune…
“Come sarei felice di aver catturato con la mia macchina fotografica qualcosa che mi ha commosso, come la donna davanti al cancello del Palazzo Furstenberg con i gomiti piegati dietro la schiena o le scarpe dimenticate davanti a una fontana, la quotidianità in tutto la sua precaria bellezza”.
“Fotografare era diventata per me una necessità e non volevo assolutamente più farne a meno”.
La mostra nel suo complesso raccoglie circa 200 fotografie che avranno un focus specifico e inedito su Venezia anche con il supporto di documentazione inedita. Molte di queste fotografie veneziane, circa un’ottantina, non sono mai state esposte prima in Italia.
A corredo una selezione dei suoi principali reportage fotografici dedicati alla Spagna, Iran, Francia, Inghilterra-Irlanda, Stati Uniti d’America, Cina e Russia, oltre che la sezione dedicata ai ritratti, sezione molto importante nella sua ultima parte di carriera.
Un progetto che cade in concomitanza dei cento anni della nascita di Inge Morath (Graz 1923).
Come dichiara Daniele Ferrara, direttore regionale Musei Veneto: “Prosegue il rapporto del Museo di Palazzo Grimani, Istituto statale della Direzione regionale musei Veneto – Ministero della Cultura, con espressioni alte della creatività contemporanea Il concetto è quello di un museo laboratorio, che eredita quella funzione di crogiuolo di esperienze artistiche svolta dal Palazzo tra il Cinque e il Settecento. Successivamente ad “Archinto”, mostra site specific del maestro tedesco Georg Baselitz con opere dialoganti con lo spazio del Palazzo e la sua collezione, il museo ha accolto l’esposizione di importanti artisti italiani del fumetto, “Dopo la fine. Architetture narrative e nuove umanità”. Ora il Museo volge lo sguardo alla fotografia ed è scelta che scaturisce anche dall’impegno congiunto della Direzione Musei Veneto e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio fotografico”.
Concetti che vengono confermati da Valeria Finocchi, direttrice del Museo di Palazzo Grimani: “Il Museo da alcuni anni è oggetto di un’importante processo di valorizzazione grazie alla fattiva collaborazione pubblico-privato con prestigiose realtà come la Fondazione Venetian Heritage e all’incessante lavoro di costruzione di nuovi contenuti e nuove prospettive di lettura del suo prezioso patrimonio artistico e architettonico, che impegnano lo staff interno e i collaboratori dalla ricerca storico-museologica fino alla progettazione di esperienze di alta divulgazione ed educative. Attraverso il riallestimento di numerosi ambienti del piano nobile, tra cui la celebre Tribuna, nel 2019, e la Sala del Doge, nel 2021, il Palazzo è tornato al centro della scena culturale veneziana e oggi si rivolge a pubblici differenziati, in un rinnovato rapporto con la città stessa grazie a progetti dedicati al recupero del patrimonio immateriale del territorio di riferimento”.
Marco Minuz di Suazes come coorganizzatore del progetto espositivo: “Questa collaborazione con la Direzione museale del Veneto e con il Museo di Palazzo Grimani valorizza un lavoro da noi intrapreso qualche anno fa per far scoprire al nostro paese la figura di questa straordinari fotografa”.
E’ stato l’amore a condurre nel novembre del 1951 Inge Morath e Lionel Burch, neo sposi, a Venezia. E sono stati il maltempo in Laguna e Robert Capa, a far diventare lei, che con la fotografia non aveva dimestichezza diretta ma che collaborava già con la celebre agenzia fotografica parigina, la prima donna fotografa dell’Agenzia Magnum Photos.
La mostra che dal 18 gennaio al 4 giugno 2023 si ammirerà al Museo di Palazzo Grimani focalizza la Venezia di Inge Morath, attraverso il celebre reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l’Agenzia Magnum la inviò in città per conto de L’Oeil, rivista d’arte che aveva scelto di corredare con scorci veneziani un reportage della mitica Mary McCarthy.
“Inge Morath Fotografare da Venezia in poi” è curata da Kurt Kaidl e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi; promossa dalla Direzione regionale Musei Veneto (direttore Daniele Ferrara) e la società Suazes che, alcuni anni fa, ha fatto conoscere in maniera dettagliata la carriera di questa fotografa in Italia.
All’epoca del primo soggiorno veneziano, la Morath lavorava in Magnum non come fotografa ma come collaboratrice redazionale. In pratica si occupava, anche grazie alla sua conoscenza delle lingue, della realizzazione delle didascalie che accompagnavano le immagini dei suoi colleghi fotografi, del calibro di Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa.
Non fotografava, ma non le mancavano occhio e sensibilità. In quel novembre, la luce di Venezia sotto la pioggia la stregò, tanto da indurla a chiamare Robert Capa, responsabile della Magnum, per suggerirgli di inviare un fotografo in grado di catturare la magia che tanto la stava stupendo. Capa le rispose che un fotografo di Magnum a Venezia c’era già: era lei con la macchina fotografica. Non restava che comprare un rullino, caricarla e iniziare a fotografare.
“Ero tutta eccitata. Sono andata nel luogo in cui volevo scattare le mie fotografie e mi sono fermata: un angolo di strada dove la gente passava in un modo che mi sembrava interessante. Ho regolato la fotocamera e ho premuto il pulsante di scatto non appena ho visto che tutto era esattamente come volevo. È stata come una rivelazione. Realizzare in un istante qualcosa che mi era rimasto dentro per così tanto tempo, catturandolo nel momento in cui aveva assunto la forma che sentivo giusta. Dopo di che, non c’è stato più modo di fermarmi”.
Nel 1955, quattro anni dopo quelle prime fotografie, arriva l’incarico dalla rivista L’Oeil. Una volta a Venezia, avverte l’urgenza di esplorare la città e così “per ore andai in giro senza meta, solo a guardare, ossessionata dalla pura gioia di vedere e scoprire un luogo. Ovviamente avevo divorato libri su Venezia, sulla pittura e su quello che avrei dovuto fare. Il mio cervello ne era pieno… “.
“Il mio divertimento maggiore era quello di sedermi alla Scuola degli Schiavoni ed immergermi nelle opere di Carpaccio, quasi sempre da sola. O passare il tempo in compagnia del Tiepolo, era la fine del mondo. La sera i miei piedi erano stanchi e anche nel sonno mi trovavo ancora a camminare su innumerevoli ponti, le onde dei canali come pietrificate”.
Poi il Cimitero all’Isola di San Michele, Burano, Murano, Torcello, le processioni, il Redentore, i gatti ed i panni stesi, monumento, acqua e la gente comune…
“Come sarei felice di aver catturato con la mia macchina fotografica qualcosa che mi ha commosso, come la donna davanti al cancello del Palazzo Furstenberg con i gomiti piegati dietro la schiena o le scarpe dimenticate davanti a una fontana, la quotidianità in tutto la sua precaria bellezza”.
“Fotografare era diventata per me una necessità e non volevo assolutamente più farne a meno”.
La mostra nel suo complesso raccoglie circa 200 fotografie che avranno un focus specifico e inedito su Venezia anche con il supporto di documentazione inedita. Molte di queste fotografie veneziane, circa un’ottantina, non sono mai state esposte prima in Italia.
A corredo una selezione dei suoi principali reportage fotografici dedicati alla Spagna, Iran, Francia, Inghilterra-Irlanda, Stati Uniti d’America, Cina e Russia, oltre che la sezione dedicata ai ritratti, sezione molto importante nella sua ultima parte di carriera.
Un progetto che cade in concomitanza dei cento anni della nascita di Inge Morath (Graz 1923).
Come dichiara Daniele Ferrara, direttore regionale Musei Veneto: “Prosegue il rapporto del Museo di Palazzo Grimani, Istituto statale della Direzione regionale musei Veneto – Ministero della Cultura, con espressioni alte della creatività contemporanea Il concetto è quello di un museo laboratorio, che eredita quella funzione di crogiuolo di esperienze artistiche svolta dal Palazzo tra il Cinque e il Settecento. Successivamente ad “Archinto”, mostra site specific del maestro tedesco Georg Baselitz con opere dialoganti con lo spazio del Palazzo e la sua collezione, il museo ha accolto l’esposizione di importanti artisti italiani del fumetto, “Dopo la fine. Architetture narrative e nuove umanità”. Ora il Museo volge lo sguardo alla fotografia ed è scelta che scaturisce anche dall’impegno congiunto della Direzione Musei Veneto e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio fotografico”.
Concetti che vengono confermati da Valeria Finocchi, direttrice del Museo di Palazzo Grimani: “Il Museo da alcuni anni è oggetto di un’importante processo di valorizzazione grazie alla fattiva collaborazione pubblico-privato con prestigiose realtà come la Fondazione Venetian Heritage e all’incessante lavoro di costruzione di nuovi contenuti e nuove prospettive di lettura del suo prezioso patrimonio artistico e architettonico, che impegnano lo staff interno e i collaboratori dalla ricerca storico-museologica fino alla progettazione di esperienze di alta divulgazione ed educative. Attraverso il riallestimento di numerosi ambienti del piano nobile, tra cui la celebre Tribuna, nel 2019, e la Sala del Doge, nel 2021, il Palazzo è tornato al centro della scena culturale veneziana e oggi si rivolge a pubblici differenziati, in un rinnovato rapporto con la città stessa grazie a progetti dedicati al recupero del patrimonio immateriale del territorio di riferimento”.
Marco Minuz di Suazes come coorganizzatore del progetto espositivo: “Questa collaborazione con la Direzione museale del Veneto e con il Museo di Palazzo Grimani valorizza un lavoro da noi intrapreso qualche anno fa per far scoprire al nostro paese la figura di questa straordinari fotografa”.
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