Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo
Dal 27 Maggio 2022 al 02 Ottobre 2022
Udine
Luogo: Villa Manin
Indirizzo: Piazza Manin 10, Passariano
Curatori: Silvia Martín Gutiérrez
Enti promotori:
- ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia
Sito ufficiale: http://www.villamanin.it
Dal 27 maggio al 2 ottobre 2022 Villa Manin di Passariano di Codroipo (Udine), Cinemazero (Pordenone) e il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia (Pordenone) presentano la mostra Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo, a cura di Silvia Martín Gutiérrez, promossa da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, in occasione del centenario dalla nascita del grande artista, poeta, scrittore, intellettuale e regista italiano.
Con oltre 170 ritratti inediti, rari, non visti di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975), l’esposizione riporta alla luce interi servizi fotografici – fino ad oggi misconosciuti – puntando soprattutto sui grandi fotografi stranieri (alcuni di eccezionale fama, come Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson, Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Rabau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir e tanti altri) e sui luoghi, i momenti e gli incontri che hanno contraddistinto la vita di Pasolini, restituendone l’immagine di uomo e artista nel mondo, fissata per sempre in decine e decine di pose diverse.
La mostra, che nasce con l'importante contributo di Cinemazero, scaturisce da un progetto di ricerca condotto per molti anni negli archivi di tutto il mondo dalla curatrice, e sviluppato per l’occasione insieme a Marco Bazzocchi e Riccardo Costantini, con un comitato scientifico d’eccezione. Proprio grazie a questa attività di ricerca, il pubblico potrà vedere per la prima volta alcuni servizi fotografici del tutto inediti: l’incontro di Pasolini con Man Ray, per proporgli di disegnare il manifesto di Salò; Pasolini a Stoccolma (pochi giorni prima di essere ucciso), per farsi conoscere nell’ambiente del Premio Nobel; Pasolini nei Sud del mondo, con Alberto Moravia, Dacia Maraini, Maria Callas. Quando Pasolini va a cercare l’alterità, l’anomalia, che poi ricostruisce sui set dei suoi film. O ancora nei Festival cinematografici e altre occasioni, dove – come non viene mai ricordato – incontra e si confronta con intellettuali e cineasti della sua stessa caratura (Orson Welles, Agnès Varda, Jonas Mekas, Jean-Luc Godard...).
Pier Paolo Pasolini è stato probabilmente l’artista più fotografato del Novecento. Dai primi anni Cinquanta, quando arriva a Roma, fino ai giorni che precedono la sua morte, è stato colto in centinaia di situazioni, sia pubbliche che private, come se l’obiettivo fotografico lo avesse inseguito in ogni momento della sua vita. La curiosità intorno al Pasolini uomo e artista ha scatenato le macchine fotografiche di tutto il mondo.
Ogni servizio fotografico dedicatogli implica un aspetto particolare del luogo e del momento in cui lo scrittore si trova. Ogni fotografia che lo ritrae costituisce “un mondo”.
Pier Paolo Pasolini ha messo al centro della sua opera i luoghi dove non dominano le regole del mondo borghese occidentale: il Friuli, le periferie di Roma e del Sud, i continenti inesplorati, le grandi città moderne, da Parigi a New York. E i fotografi lo hanno ritratto proprio in questi luoghi, “dove la gioia è gioia e il dolore dolore”, come scrive lui ne Le ceneri di Gramsci (1957).
Così è nata una lotta segreta tra lo scrittore e la macchina fotografica: quando si trova in spazi domestici, Pasolini assume il ruolo dell’intellettuale che sta alla scrivania o del figlio adulto che non si vergogna di presentarsi sempre affiancato dalla madre; quando invece si trova in mondi lontani concentra su di sé la forza degli obiettivi riempiendo ogni scatto con la sua fisicità. In un certo senso li rende ancora più estranei attraverso se stesso. Ogni fotografo ha sottolineato in modi diversi questo rapporto: uno scrittore che si mostra con eleganti vestiti borghesi ma anche in canottiera e costume da bagno, un volto che sembra – talvolta – sorridere ma anche guardare ferocemente verso il mondo, come per sfidarlo, occhi che catturano l’obiettivo ma anche che si sottomettono dolcemente allo scatto del diaframma.
L’esposizione ci racconta con fotografie e numerosi materiali multimediali che gli scatti di Pasolini non possono costruire mai un insieme logico, coerente: egli è pronto a mettere in crisi l’idea della fotografia come immagine ricordo, come attimo di tempo fissato una volta per sempre. Questo “sempre” non vale per Pasolini. La mostra di Villa Manin, con le sezioni complementari del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, vuole proporre nuclei diversi costituiti da servizi fotografici che solo in apparenza sembrano seguire uno sviluppo ma che in realtà ci mostrano come ogni definizione cronologica di “quel” momento o di “quel” periodo risulti impossibile. Nuclei che espongono “mondi “micro” (una casa, un viaggio, un festival, un’occasione mondana…) che diventano “macro” nel testimoniare il suo – sempre personalissimo e originale – attraversare la storia e la società in cui vive. Mondi densi, pieni, vivi, a cui lo spettatore è chiamato a partecipare, dialogando – se possibile – con lo sguardo di Pasolini. A Trastevere nel 1953, a Parigi nel 1961, a New York nel 1966 e di nuovo nel 1969, a Berlino durante il festival, a Stoccolma pochi giorni prima di essere ucciso… Pasolini è sempre “diverso”: differente da come ci aspetteremmo di vederlo, “altro” da come anche grandi autori come Avedon o Cartier-Bresson pensavano di fissarlo con l’obiettivo.
Dunque Pasolini si è sottoposto, si è esposto, ma anche si è nascosto attraverso la fotografia, l’unica tecnica espressiva di cui non ha mai parlato se non con rapidissimi cenni.
Anche per questo il percorso espositivo di Villa Manin presenta, oltre alle fotografie, altri documenti – giornali, dichiarazioni, interviste, video – per contestualizzare le occasioni in cui sono nati i servizi fotografici. E poi fa sentire, con inedite sequenze audio, la voce di Pasolini come ulteriore strumento per rendere presente, o tentare di rendere presente, un autore che è sempre “in fuga”: in fuga da se stesso, in fuga dal mondo, in fuga attraverso le parole e le immagini dei suoi scritti e dei suoi film.
La mostra Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo vuole portare nel luogo dove Pasolini si è formato come poeta, il Friuli, tutti i luoghi dove è avvenuta la sua inarrestabile evoluzione: dal Friuli al Mondo, Pasolini ci guarda ancora e ci sfida dalle pareti di queste sale, sempre “in fuga dalla fotografia”.
Con oltre 170 ritratti inediti, rari, non visti di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975), l’esposizione riporta alla luce interi servizi fotografici – fino ad oggi misconosciuti – puntando soprattutto sui grandi fotografi stranieri (alcuni di eccezionale fama, come Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson, Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Rabau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir e tanti altri) e sui luoghi, i momenti e gli incontri che hanno contraddistinto la vita di Pasolini, restituendone l’immagine di uomo e artista nel mondo, fissata per sempre in decine e decine di pose diverse.
La mostra, che nasce con l'importante contributo di Cinemazero, scaturisce da un progetto di ricerca condotto per molti anni negli archivi di tutto il mondo dalla curatrice, e sviluppato per l’occasione insieme a Marco Bazzocchi e Riccardo Costantini, con un comitato scientifico d’eccezione. Proprio grazie a questa attività di ricerca, il pubblico potrà vedere per la prima volta alcuni servizi fotografici del tutto inediti: l’incontro di Pasolini con Man Ray, per proporgli di disegnare il manifesto di Salò; Pasolini a Stoccolma (pochi giorni prima di essere ucciso), per farsi conoscere nell’ambiente del Premio Nobel; Pasolini nei Sud del mondo, con Alberto Moravia, Dacia Maraini, Maria Callas. Quando Pasolini va a cercare l’alterità, l’anomalia, che poi ricostruisce sui set dei suoi film. O ancora nei Festival cinematografici e altre occasioni, dove – come non viene mai ricordato – incontra e si confronta con intellettuali e cineasti della sua stessa caratura (Orson Welles, Agnès Varda, Jonas Mekas, Jean-Luc Godard...).
Pier Paolo Pasolini è stato probabilmente l’artista più fotografato del Novecento. Dai primi anni Cinquanta, quando arriva a Roma, fino ai giorni che precedono la sua morte, è stato colto in centinaia di situazioni, sia pubbliche che private, come se l’obiettivo fotografico lo avesse inseguito in ogni momento della sua vita. La curiosità intorno al Pasolini uomo e artista ha scatenato le macchine fotografiche di tutto il mondo.
Ogni servizio fotografico dedicatogli implica un aspetto particolare del luogo e del momento in cui lo scrittore si trova. Ogni fotografia che lo ritrae costituisce “un mondo”.
Pier Paolo Pasolini ha messo al centro della sua opera i luoghi dove non dominano le regole del mondo borghese occidentale: il Friuli, le periferie di Roma e del Sud, i continenti inesplorati, le grandi città moderne, da Parigi a New York. E i fotografi lo hanno ritratto proprio in questi luoghi, “dove la gioia è gioia e il dolore dolore”, come scrive lui ne Le ceneri di Gramsci (1957).
Così è nata una lotta segreta tra lo scrittore e la macchina fotografica: quando si trova in spazi domestici, Pasolini assume il ruolo dell’intellettuale che sta alla scrivania o del figlio adulto che non si vergogna di presentarsi sempre affiancato dalla madre; quando invece si trova in mondi lontani concentra su di sé la forza degli obiettivi riempiendo ogni scatto con la sua fisicità. In un certo senso li rende ancora più estranei attraverso se stesso. Ogni fotografo ha sottolineato in modi diversi questo rapporto: uno scrittore che si mostra con eleganti vestiti borghesi ma anche in canottiera e costume da bagno, un volto che sembra – talvolta – sorridere ma anche guardare ferocemente verso il mondo, come per sfidarlo, occhi che catturano l’obiettivo ma anche che si sottomettono dolcemente allo scatto del diaframma.
L’esposizione ci racconta con fotografie e numerosi materiali multimediali che gli scatti di Pasolini non possono costruire mai un insieme logico, coerente: egli è pronto a mettere in crisi l’idea della fotografia come immagine ricordo, come attimo di tempo fissato una volta per sempre. Questo “sempre” non vale per Pasolini. La mostra di Villa Manin, con le sezioni complementari del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, vuole proporre nuclei diversi costituiti da servizi fotografici che solo in apparenza sembrano seguire uno sviluppo ma che in realtà ci mostrano come ogni definizione cronologica di “quel” momento o di “quel” periodo risulti impossibile. Nuclei che espongono “mondi “micro” (una casa, un viaggio, un festival, un’occasione mondana…) che diventano “macro” nel testimoniare il suo – sempre personalissimo e originale – attraversare la storia e la società in cui vive. Mondi densi, pieni, vivi, a cui lo spettatore è chiamato a partecipare, dialogando – se possibile – con lo sguardo di Pasolini. A Trastevere nel 1953, a Parigi nel 1961, a New York nel 1966 e di nuovo nel 1969, a Berlino durante il festival, a Stoccolma pochi giorni prima di essere ucciso… Pasolini è sempre “diverso”: differente da come ci aspetteremmo di vederlo, “altro” da come anche grandi autori come Avedon o Cartier-Bresson pensavano di fissarlo con l’obiettivo.
Dunque Pasolini si è sottoposto, si è esposto, ma anche si è nascosto attraverso la fotografia, l’unica tecnica espressiva di cui non ha mai parlato se non con rapidissimi cenni.
Anche per questo il percorso espositivo di Villa Manin presenta, oltre alle fotografie, altri documenti – giornali, dichiarazioni, interviste, video – per contestualizzare le occasioni in cui sono nati i servizi fotografici. E poi fa sentire, con inedite sequenze audio, la voce di Pasolini come ulteriore strumento per rendere presente, o tentare di rendere presente, un autore che è sempre “in fuga”: in fuga da se stesso, in fuga dal mondo, in fuga attraverso le parole e le immagini dei suoi scritti e dei suoi film.
La mostra Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo vuole portare nel luogo dove Pasolini si è formato come poeta, il Friuli, tutti i luoghi dove è avvenuta la sua inarrestabile evoluzione: dal Friuli al Mondo, Pasolini ci guarda ancora e ci sfida dalle pareti di queste sale, sempre “in fuga dalla fotografia”.
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Giudizio della redazione:
Dal 27 maggio al 2 ottobre 2022 Villa Manin di Passariano di Codroipo (Udine), Cinemazero (Pordenone) e il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia (Pordenone) presentano la mostra Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo, a cura di Silvia Martín Gutiérrez, promossa da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, in occasione del centenario dalla nascita del grande artista, poeta, scrittore, intellettuale e regista italiano.
Con oltre 170 ritratti inediti, rari, non visti di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975), l’esposizione riporta alla luce interi servizi fotografici – fino ad oggi misconosciuti – puntando soprattutto sui grandi fotografi stranieri (alcuni di eccezionale fama, come Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson, Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Rabau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir e tanti altri) e sui luoghi, i momenti e gli incontri che hanno contraddistinto la vita di Pasolini, restituendone l’immagine di uomo e artista nel mondo, fissata per sempre in decine e decine di pose diverse.
La mostra, che nasce con l'importante contributo di Cinemazero, scaturisce da un progetto di ricerca condotto per molti anni negli archivi di tutto il mondo dalla curatrice, e sviluppato per l’occasione insieme a Marco Bazzocchi e Riccardo Costantini, con un comitato scientifico d’eccezione. Proprio grazie a questa attività di ricerca, il pubblico potrà vedere per la prima volta alcuni servizi fotografici del tutto inediti: l’incontro di Pasolini con Man Ray, per proporgli di disegnare il manifesto di Salò; Pasolini a Stoccolma (pochi giorni prima di essere ucciso), per farsi conoscere nell’ambiente del Premio Nobel; Pasolini nei Sud del mondo, con Alberto Moravia, Dacia Maraini, Maria Callas. Quando Pasolini va a cercare l’alterità, l’anomalia, che poi ricostruisce sui set dei suoi film. O ancora nei Festival cinematografici e altre occasioni, dove – come non viene mai ricordato – incontra e si confronta con intellettuali e cineasti della sua stessa caratura (Orson Welles, Agnès Varda, Jonas Mekas, Jean-Luc Godard...).
Pier Paolo Pasolini è stato probabilmente l’artista più fotografato del Novecento. Dai primi anni Cinquanta, quando arriva a Roma, fino ai giorni che precedono la sua morte, è stato colto in centinaia di situazioni, sia pubbliche che private, come se l’obiettivo fotografico lo avesse inseguito in ogni momento della sua vita. La curiosità intorno al Pasolini uomo e artista ha scatenato le macchine fotografiche di tutto il mondo.
Ogni servizio fotografico dedicatogli implica un aspetto particolare del luogo e del momento in cui lo scrittore si trova. Ogni fotografia che lo ritrae costituisce “un mondo”.
Pier Paolo Pasolini ha messo al centro della sua opera i luoghi dove non dominano le regole del mondo borghese occidentale: il Friuli, le periferie di Roma e del Sud, i continenti inesplorati, le grandi città moderne, da Parigi a New York. E i fotografi lo hanno ritratto proprio in questi luoghi, “dove la gioia è gioia e il dolore dolore”, come scrive lui ne Le ceneri di Gramsci (1957).
Così è nata una lotta segreta tra lo scrittore e la macchina fotografica: quando si trova in spazi domestici, Pasolini assume il ruolo dell’intellettuale che sta alla scrivania o del figlio adulto che non si vergogna di presentarsi sempre affiancato dalla madre; quando invece si trova in mondi lontani concentra su di sé la forza degli obiettivi riempiendo ogni scatto con la sua fisicità. In un certo senso li rende ancora più estranei attraverso se stesso. Ogni fotografo ha sottolineato in modi diversi questo rapporto: uno scrittore che si mostra con eleganti vestiti borghesi ma anche in canottiera e costume da bagno, un volto che sembra – talvolta – sorridere ma anche guardare ferocemente verso il mondo, come per sfidarlo, occhi che catturano l’obiettivo ma anche che si sottomettono dolcemente allo scatto del diaframma.
L’esposizione ci racconta con fotografie e numerosi materiali multimediali che gli scatti di Pasolini non possono costruire mai un insieme logico, coerente: egli è pronto a mettere in crisi l’idea della fotografia come immagine ricordo, come attimo di tempo fissato una volta per sempre. Questo “sempre” non vale per Pasolini. La mostra di Villa Manin, con le sezioni complementari del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, vuole proporre nuclei diversi costituiti da servizi fotografici che solo in apparenza sembrano seguire uno sviluppo ma che in realtà ci mostrano come ogni definizione cronologica di “quel” momento o di “quel” periodo risulti impossibile. Nuclei che espongono “mondi “micro” (una casa, un viaggio, un festival, un’occasione mondana…) che diventano “macro” nel testimoniare il suo – sempre personalissimo e originale – attraversare la storia e la società in cui vive. Mondi densi, pieni, vivi, a cui lo spettatore è chiamato a partecipare, dialogando – se possibile – con lo sguardo di Pasolini. A Trastevere nel 1953, a Parigi nel 1961, a New York nel 1966 e di nuovo nel 1969, a Berlino durante il festival, a Stoccolma pochi giorni prima di essere ucciso… Pasolini è sempre “diverso”: differente da come ci aspetteremmo di vederlo, “altro” da come anche grandi autori come Avedon o Cartier-Bresson pensavano di fissarlo con l’obiettivo.
Dunque Pasolini si è sottoposto, si è esposto, ma anche si è nascosto attraverso la fotografia, l’unica tecnica espressiva di cui non ha mai parlato se non con rapidissimi cenni.
Anche per questo il percorso espositivo di Villa Manin presenta, oltre alle fotografie, altri documenti – giornali, dichiarazioni, interviste, video – per contestualizzare le occasioni in cui sono nati i servizi fotografici. E poi fa sentire, con inedite sequenze audio, la voce di Pasolini come ulteriore strumento per rendere presente, o tentare di rendere presente, un autore che è sempre “in fuga”: in fuga da se stesso, in fuga dal mondo, in fuga attraverso le parole e le immagini dei suoi scritti e dei suoi film.
La mostra Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo vuole portare nel luogo dove Pasolini si è formato come poeta, il Friuli, tutti i luoghi dove è avvenuta la sua inarrestabile evoluzione: dal Friuli al Mondo, Pasolini ci guarda ancora e ci sfida dalle pareti di queste sale, sempre “in fuga dalla fotografia”.
Con oltre 170 ritratti inediti, rari, non visti di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975), l’esposizione riporta alla luce interi servizi fotografici – fino ad oggi misconosciuti – puntando soprattutto sui grandi fotografi stranieri (alcuni di eccezionale fama, come Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson, Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Rabau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir e tanti altri) e sui luoghi, i momenti e gli incontri che hanno contraddistinto la vita di Pasolini, restituendone l’immagine di uomo e artista nel mondo, fissata per sempre in decine e decine di pose diverse.
La mostra, che nasce con l'importante contributo di Cinemazero, scaturisce da un progetto di ricerca condotto per molti anni negli archivi di tutto il mondo dalla curatrice, e sviluppato per l’occasione insieme a Marco Bazzocchi e Riccardo Costantini, con un comitato scientifico d’eccezione. Proprio grazie a questa attività di ricerca, il pubblico potrà vedere per la prima volta alcuni servizi fotografici del tutto inediti: l’incontro di Pasolini con Man Ray, per proporgli di disegnare il manifesto di Salò; Pasolini a Stoccolma (pochi giorni prima di essere ucciso), per farsi conoscere nell’ambiente del Premio Nobel; Pasolini nei Sud del mondo, con Alberto Moravia, Dacia Maraini, Maria Callas. Quando Pasolini va a cercare l’alterità, l’anomalia, che poi ricostruisce sui set dei suoi film. O ancora nei Festival cinematografici e altre occasioni, dove – come non viene mai ricordato – incontra e si confronta con intellettuali e cineasti della sua stessa caratura (Orson Welles, Agnès Varda, Jonas Mekas, Jean-Luc Godard...).
Pier Paolo Pasolini è stato probabilmente l’artista più fotografato del Novecento. Dai primi anni Cinquanta, quando arriva a Roma, fino ai giorni che precedono la sua morte, è stato colto in centinaia di situazioni, sia pubbliche che private, come se l’obiettivo fotografico lo avesse inseguito in ogni momento della sua vita. La curiosità intorno al Pasolini uomo e artista ha scatenato le macchine fotografiche di tutto il mondo.
Ogni servizio fotografico dedicatogli implica un aspetto particolare del luogo e del momento in cui lo scrittore si trova. Ogni fotografia che lo ritrae costituisce “un mondo”.
Pier Paolo Pasolini ha messo al centro della sua opera i luoghi dove non dominano le regole del mondo borghese occidentale: il Friuli, le periferie di Roma e del Sud, i continenti inesplorati, le grandi città moderne, da Parigi a New York. E i fotografi lo hanno ritratto proprio in questi luoghi, “dove la gioia è gioia e il dolore dolore”, come scrive lui ne Le ceneri di Gramsci (1957).
Così è nata una lotta segreta tra lo scrittore e la macchina fotografica: quando si trova in spazi domestici, Pasolini assume il ruolo dell’intellettuale che sta alla scrivania o del figlio adulto che non si vergogna di presentarsi sempre affiancato dalla madre; quando invece si trova in mondi lontani concentra su di sé la forza degli obiettivi riempiendo ogni scatto con la sua fisicità. In un certo senso li rende ancora più estranei attraverso se stesso. Ogni fotografo ha sottolineato in modi diversi questo rapporto: uno scrittore che si mostra con eleganti vestiti borghesi ma anche in canottiera e costume da bagno, un volto che sembra – talvolta – sorridere ma anche guardare ferocemente verso il mondo, come per sfidarlo, occhi che catturano l’obiettivo ma anche che si sottomettono dolcemente allo scatto del diaframma.
L’esposizione ci racconta con fotografie e numerosi materiali multimediali che gli scatti di Pasolini non possono costruire mai un insieme logico, coerente: egli è pronto a mettere in crisi l’idea della fotografia come immagine ricordo, come attimo di tempo fissato una volta per sempre. Questo “sempre” non vale per Pasolini. La mostra di Villa Manin, con le sezioni complementari del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, vuole proporre nuclei diversi costituiti da servizi fotografici che solo in apparenza sembrano seguire uno sviluppo ma che in realtà ci mostrano come ogni definizione cronologica di “quel” momento o di “quel” periodo risulti impossibile. Nuclei che espongono “mondi “micro” (una casa, un viaggio, un festival, un’occasione mondana…) che diventano “macro” nel testimoniare il suo – sempre personalissimo e originale – attraversare la storia e la società in cui vive. Mondi densi, pieni, vivi, a cui lo spettatore è chiamato a partecipare, dialogando – se possibile – con lo sguardo di Pasolini. A Trastevere nel 1953, a Parigi nel 1961, a New York nel 1966 e di nuovo nel 1969, a Berlino durante il festival, a Stoccolma pochi giorni prima di essere ucciso… Pasolini è sempre “diverso”: differente da come ci aspetteremmo di vederlo, “altro” da come anche grandi autori come Avedon o Cartier-Bresson pensavano di fissarlo con l’obiettivo.
Dunque Pasolini si è sottoposto, si è esposto, ma anche si è nascosto attraverso la fotografia, l’unica tecnica espressiva di cui non ha mai parlato se non con rapidissimi cenni.
Anche per questo il percorso espositivo di Villa Manin presenta, oltre alle fotografie, altri documenti – giornali, dichiarazioni, interviste, video – per contestualizzare le occasioni in cui sono nati i servizi fotografici. E poi fa sentire, con inedite sequenze audio, la voce di Pasolini come ulteriore strumento per rendere presente, o tentare di rendere presente, un autore che è sempre “in fuga”: in fuga da se stesso, in fuga dal mondo, in fuga attraverso le parole e le immagini dei suoi scritti e dei suoi film.
La mostra Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo vuole portare nel luogo dove Pasolini si è formato come poeta, il Friuli, tutti i luoghi dove è avvenuta la sua inarrestabile evoluzione: dal Friuli al Mondo, Pasolini ci guarda ancora e ci sfida dalle pareti di queste sale, sempre “in fuga dalla fotografia”.
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