Mara Moschini. Personale
Dal 13 Settembre 2014 al 21 Settembre 2014
Vinovo | Torino
Luogo: Castello della Rovere
Indirizzo: piazza Rey
Enti promotori:
- Comune di Vinovo
- Associazione Amici del Castello
- St. John International University
Telefono per informazioni: +39 338 2313951 / 349 4423299
E-Mail info: maramoschini@virgilio.it
Sito ufficiale: http://www.maramoschini.com/
Nel presentare la mostra che Mara Moschini fece nel maggio del 2003 a Pietrasanta, la culla dei suoi primi tentativi di artista, chiudendo il mio scritto augurai, con una palpabile vena di religiosità, inspiratami dalle sue intriganti sculture, (tra le quali la marmorea “Le tre età dell’uomo”), che l’evoluzione dell’uomo (la genesi) continuasse fino al raggiungimento della perfezione. Ebbene, se di quest’ultimo evento potremo parlare in un tempo remoto, delle sculture che Mara propone al pubblico intenditore in questi giorni a Torino nel Palazzo Della Rovere, può dirsi che un nuovo, grande passo, nella perfezione del suo genere di scultura, sia stato pienamente raggiunto.
Le sue creature spaziano, in quanto a stile, tra il tardo medioevo (vedi le figure in trono nel loro posare sinistro) e l’estrema modernità, ove ella accoglie nuovi aspetti del comportamento umano nei confronti del regno animale, quest’ultimo rappresentato da una testa di cane come propaggine esterna del cuore dell’uomo. L’animale guarda negli occhi colui o colei che ama del quale è affettuoso compagno (quasi come il piccolo boxer scolpito ai piedi della dormiente nella Cattedrale di Lucca). Le torri: di un simbolo di sicurezza quale fu la torre in ogni tempo dell’uomo, dopo che di esse se ne costruì la prima, rotonda, e le altre di poi quadrate, ma tutte ben diritte ed imprendibili, se ne vedono oggi, costruite dalla fantasia di Mara, altre formate da piani deformati e sovrapposti, ma messi in un ordinato “casaccio”, tali che un sentimento te lo provocano, quello dell’angoscia del vivere, a volte temperato dall’inserimento in esse di note gioiose come il cavallino della giostra e, parimente significante, il bambino che da una apertura della terracotta policroma e legno, guarda curioso ma discreto … Mara Moschini se ha voluto rappresentare in queste sue opere parlanti, l’ansia, l’incertezza, la paura dell’essere, ma anche la speranza, e tutto ciò che condiziona la vita dell’uomo (impresa ai limiti dell’impossibile), allora c’è riuscita in pieno. Ancora una volta.
Paolo Pelù
Storico medievalista
2014
L'Opera di Mara Moschini
Il lavoro di Mara Moschini è espresso nella tipicità di “Giostra”, di “Interiorità”, di “Ricordo”, di “Assoluto”, o di “Abbandono dell'infanzia”, titoli cui potrei aggiungerne altri, egualmente significativi per l'unione tra pensiero/studio e azione concreta, ma è comunque opportuno sottolineare la chiarezza con la quale è riuscita (e riesce) a comunicare, cioè a dire di sé e d'altri: talvolta è un grido/seme contro la spersonalizzazione, rivolto, cioè gettato al vento con la speranza che affondi in terra fertile per dare frutti buoni, momenti di riflessione forse per rallentare la fretta invadente di questa società sempre più affossata dalle ombre dell'apparenza, o dell'apparire a tutti i costi e con ogni mezzo.
La sua giostra della vita, toccata dalle cromie del rosso dell'amore e del sacrificio, dal bianco (in antitesi al nero) dell'alba e del passaggio che si sposa all'oro nei drappi del Vaticano per cui si afferma sulla terra il regno di Dio cristiano, dal blu considerato dagli antichi Egizi 'della verità', si allinea al marmo dell'Assoluto, ovviamente statuario, tratto dalle cave storicizzate da Plinio e da Strabone, da Michelangelo Buonarroti e da Antonio Canova, in cui la tensione verso l'alto pare assoluta (un gioco di parole).
La candida materia, plasmata con autorevolezza autonoma a svelarne la positiva ansia espressiva, ha dunque il ruolo/linguaggio non certamente frutto di uno stato emozionale provvisorio, bensì della logicità dell'atto – scaturito dal proprio concepimento – sviluppato con scelte precise e condensato oltre le palizzate della semplice descrizione/illustrazione.
Ma a che punto è arrivata Mara Moschini?
No. Non amo fare classifiche di merito, con primi o secondi o decimi o centotrentesimi...
Usando concetti altrui, stante la sua appartenenza alla cosiddetta Arte figurativa, o figurale, dico subito che la scelta cromatica corrisponde a una sorta di funzione grammaticale, con materie distribuite per testimoniare il respiro creativo privo di orpelli, sposato alla costruzione della forma, cioè della scultura che, modellata come sa, dice di un processo in cui è sottintesa una sorta di esigenza ritmata di traslare il proprio pensiero nel marmo o nel gesso o in altro. Già Michelangelo affermava che non si scolpisce soltanto con le mani, ma anche con le idee, dunque è logico, a questo punto, lodarla per ciò che le appartiene, vale a dire di ragionare sempre nel corso del proprio iter.
Non lavora a caso. Non si lascia avvolgere dalle mode e si presenta com'è, e così che il suo lavoro piaccia o meno, non mi resta che dare evidenza al fatto per cui è degna di stima in quanto “se stessa”.
Le sue sculture non assolvono ad una funzione ornamentale o decorativa, ma nel contrasto tra pieno e vuoto – come nella presentazione di certe finestre che dicono dell'apertura sul mondo o della chiusura nelle stanze dell'inconscio, o di figure entro-reclinate, raggomitolate forse per timore della realtà o dell'ignoto, o di visigiovanili aperti al futuro e speranzosi – noto il termine di soluzione, di legame tra il prima e il dopo (qualcosa di simile l'ho già detto, a suo proposito) in un tutto che accompagna ognuno di noi in un viaggio temporaneo verso l'Oltre.
Ecco che affiorano le parole di Marta Gierut (Mara Moschini l'ha conosciuta e frequentata), là dove, nella lirica “Fantasia” inserita nel libro Il volto e la maschera, poesie e opere (Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 2012) dice testualmente:
“Sono stupendi
i mondi
della
tua fantasia
che palpitanti
tessono tessono
la vita”.
Non reputo necessario scrivere di più giacché il suo lavoro può essere ben capito dato che è valido e onesto.
Marina di Pietrasanta, 7 agosto 2014.
Lodovico Gierut
Critico d'arte
Le sue creature spaziano, in quanto a stile, tra il tardo medioevo (vedi le figure in trono nel loro posare sinistro) e l’estrema modernità, ove ella accoglie nuovi aspetti del comportamento umano nei confronti del regno animale, quest’ultimo rappresentato da una testa di cane come propaggine esterna del cuore dell’uomo. L’animale guarda negli occhi colui o colei che ama del quale è affettuoso compagno (quasi come il piccolo boxer scolpito ai piedi della dormiente nella Cattedrale di Lucca). Le torri: di un simbolo di sicurezza quale fu la torre in ogni tempo dell’uomo, dopo che di esse se ne costruì la prima, rotonda, e le altre di poi quadrate, ma tutte ben diritte ed imprendibili, se ne vedono oggi, costruite dalla fantasia di Mara, altre formate da piani deformati e sovrapposti, ma messi in un ordinato “casaccio”, tali che un sentimento te lo provocano, quello dell’angoscia del vivere, a volte temperato dall’inserimento in esse di note gioiose come il cavallino della giostra e, parimente significante, il bambino che da una apertura della terracotta policroma e legno, guarda curioso ma discreto … Mara Moschini se ha voluto rappresentare in queste sue opere parlanti, l’ansia, l’incertezza, la paura dell’essere, ma anche la speranza, e tutto ciò che condiziona la vita dell’uomo (impresa ai limiti dell’impossibile), allora c’è riuscita in pieno. Ancora una volta.
Paolo Pelù
Storico medievalista
2014
L'Opera di Mara Moschini
Il lavoro di Mara Moschini è espresso nella tipicità di “Giostra”, di “Interiorità”, di “Ricordo”, di “Assoluto”, o di “Abbandono dell'infanzia”, titoli cui potrei aggiungerne altri, egualmente significativi per l'unione tra pensiero/studio e azione concreta, ma è comunque opportuno sottolineare la chiarezza con la quale è riuscita (e riesce) a comunicare, cioè a dire di sé e d'altri: talvolta è un grido/seme contro la spersonalizzazione, rivolto, cioè gettato al vento con la speranza che affondi in terra fertile per dare frutti buoni, momenti di riflessione forse per rallentare la fretta invadente di questa società sempre più affossata dalle ombre dell'apparenza, o dell'apparire a tutti i costi e con ogni mezzo.
La sua giostra della vita, toccata dalle cromie del rosso dell'amore e del sacrificio, dal bianco (in antitesi al nero) dell'alba e del passaggio che si sposa all'oro nei drappi del Vaticano per cui si afferma sulla terra il regno di Dio cristiano, dal blu considerato dagli antichi Egizi 'della verità', si allinea al marmo dell'Assoluto, ovviamente statuario, tratto dalle cave storicizzate da Plinio e da Strabone, da Michelangelo Buonarroti e da Antonio Canova, in cui la tensione verso l'alto pare assoluta (un gioco di parole).
La candida materia, plasmata con autorevolezza autonoma a svelarne la positiva ansia espressiva, ha dunque il ruolo/linguaggio non certamente frutto di uno stato emozionale provvisorio, bensì della logicità dell'atto – scaturito dal proprio concepimento – sviluppato con scelte precise e condensato oltre le palizzate della semplice descrizione/illustrazione.
Ma a che punto è arrivata Mara Moschini?
No. Non amo fare classifiche di merito, con primi o secondi o decimi o centotrentesimi...
Usando concetti altrui, stante la sua appartenenza alla cosiddetta Arte figurativa, o figurale, dico subito che la scelta cromatica corrisponde a una sorta di funzione grammaticale, con materie distribuite per testimoniare il respiro creativo privo di orpelli, sposato alla costruzione della forma, cioè della scultura che, modellata come sa, dice di un processo in cui è sottintesa una sorta di esigenza ritmata di traslare il proprio pensiero nel marmo o nel gesso o in altro. Già Michelangelo affermava che non si scolpisce soltanto con le mani, ma anche con le idee, dunque è logico, a questo punto, lodarla per ciò che le appartiene, vale a dire di ragionare sempre nel corso del proprio iter.
Non lavora a caso. Non si lascia avvolgere dalle mode e si presenta com'è, e così che il suo lavoro piaccia o meno, non mi resta che dare evidenza al fatto per cui è degna di stima in quanto “se stessa”.
Le sue sculture non assolvono ad una funzione ornamentale o decorativa, ma nel contrasto tra pieno e vuoto – come nella presentazione di certe finestre che dicono dell'apertura sul mondo o della chiusura nelle stanze dell'inconscio, o di figure entro-reclinate, raggomitolate forse per timore della realtà o dell'ignoto, o di visigiovanili aperti al futuro e speranzosi – noto il termine di soluzione, di legame tra il prima e il dopo (qualcosa di simile l'ho già detto, a suo proposito) in un tutto che accompagna ognuno di noi in un viaggio temporaneo verso l'Oltre.
Ecco che affiorano le parole di Marta Gierut (Mara Moschini l'ha conosciuta e frequentata), là dove, nella lirica “Fantasia” inserita nel libro Il volto e la maschera, poesie e opere (Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 2012) dice testualmente:
“Sono stupendi
i mondi
della
tua fantasia
che palpitanti
tessono tessono
la vita”.
Non reputo necessario scrivere di più giacché il suo lavoro può essere ben capito dato che è valido e onesto.
Marina di Pietrasanta, 7 agosto 2014.
Lodovico Gierut
Critico d'arte
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