Ai Weiwei / Giovanni Ozzola
Dal 28 Ottobre 2012 al 26 Gennaio 2013
San Gimignano | Siena
Luogo: Galleria Continua
Indirizzo: via del Castello 11
Orari: da martedì a sabato 14-19
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0577 943134
E-Mail info: info@galleriacontinua.com
Sito ufficiale: http://www.galleriacontinua.com
AI WEIWEI
Galleria Continua è lieta di presentare per la prima volta nei suoi spazi espositivi di San Gimignano una mostra personale di Ai Weiwei. Il progetto si sviluppa attraverso un percorso tra sculture, installazioni, video e fotografie. Opere recenti, alcune inedite e altre presentate per la prima volta in Italia, offrono al pubblico la possibilità di approfondire la conoscenza di una tra le figure più importanti della cultura contemporanea, mettendo in luce la versatilità dell'autore e i cardini su cui ruota la sua arte: un rispetto deferente della tradizione cinese abbinato a una grande capacità di proiettarsi nella modernità e a una costante consapevolezza sociale e politica.
Artista poliedrico e uomo dai contenuti spesso contraddittori. Sulla vita di Ai Weiwei è stato scritto molto e in tutte le lingue: dalla sofferenza vissuta dalla famiglia, al contrasto aperto con il governo cinese, al riscatto che è riuscito a regalare al padre attraverso la ricerca e la pratica della libertà intellettuale. Questa mostra vuole soffermarsi su Ai Weiwei nella sua complessità, un uomo per il quale l’arte è un modo di vivere legato inscindibilmente alle circostanze politiche e sociali del proprio tempo, un artista umanista con una grande fiducia intellettuale nelle capacità dell'uomo di contribuire con ogni suo gesto al miglioramento della società. Ai Weiwei esprime questo suo ottimismo impegnandosi su diversi fronti, che vanno dall'arte all'architettura, dalla letteratura al cinema di documentazione, fino all'azione sui social media e alle proteste pubbliche. I diversi ambiti di azione rispondono tuttavia a un unico e comprensivo obiettivo: liberare l'espressione individuale dalle imposizioni di ogni genere per favorire lo scambio reciproco e la condivisione tra gli individui. Ai Weiwei lavora sulla comunicazione e sui significati sociali per far ritrovare la parola a un paese reso muto dall'ideologia delle masse e dall'utopismo sociale che agisce uniformando il pensiero e eliminando la possibilità di un approccio critico alla vita.
Nel 2003 Ai Weiwei disegna e realizza il suo "Fake Design Studio" (in cinese si legge “fu-ke”, “fuck”) dove in seguito progetterà, nel ruolo di architetto, una numerosa serie di spazi per gallerie, studi d’artista e centri d'arte trasformando questo piccolo ignoto villaggio tra il IV° e il V° anello a nord-est della città in uno dei più popolari quartieri artistici di Pechino. Galleria Continua ospita 258 Fake, titanica opera di documentazione costituita da 7677 immagini scattate tra il 2003 e il 2011 che raccontano la vita quotidiana dell’artista: il lavoro, gli incontri, i momenti di svago, l’impegno politico e sociale. La fotografia per Ai Weiwei rappresenta uno strumento avanzato di archiviazione ma anche un media alienante e pericoloso per la sua incapacità di esprimere la realtà in modo incondizionato ed obbiettivo.
Documentazione e archiviazione sono gesti fondamentali che ricorrono come filo conduttore durante tutta la ricerca e la carriera di Ai Weiwei. Attraverso la documentazione l’artista restituisce un nome e una collocazione temporale e storica a cose e persone, affermandone dignità e valore. E’ il caso di Chang’An Boulevard, un’opera che racconta la vita di una città in continua trasformazione e della gente che vi abita. A bordo di un Van, munito di videocamera, per un intero inverno Ai Weiwei percorre ogni strada del IV°, III° e II° anello, incluso Chang’An Boulevard, il lunghissimo “Viale della Pace Eterna” che, partendo dalle zone e dai villaggi rurali, attraversa il centro della capitale, il distretto politico e i quartieri dove hanno sede i palazzi, i musei e gli Hotel più importanti e sfarzosi della capitale, per giungere, infine, alla Fabbrica del ferro (considerata in passato il simbolo dell’industria socialista). Ad ogni tappa, l’autore filma singole inquadrature di un minuto, il montaggio finale è costituito da 608 segmenti da un minuto, per una durata totale di 10 ore e 13 minuti.
Il ruolo di Ai Weiwei come artista dissidente si definisce chiaramente nel 2008 quando un violento terremoto devasta la provincia del Sichuan provocando la morte di 70.000 persone. Ai Weiwei, accompagnato da un gruppo di volontari reclutati in rete attraverso il suo blog, dà inizio a un progetto di investigazione sulle cause di questa catastrofe. Il risultato della ricerca mette in luce la pessima qualità delle costruzioni pubbliche (ospedali, fabbriche, scuole) crollate come fossero di gelatina. Ai Weiwei pubblica online una lista in cui appaiono 5.826 nomi di bambini morti sotto il crollo delle cosiddette "costruzioni di Tofu". La denuncia ha un forte impatto sull'opinione pubblica tanto da scatenare l'immediata risposta della polizia cinese che dispone la chiusura forzata del suo blog. L’artista riesce comunque ad aggirare la censura continuando a sostenere le sue campagne sul web attraverso Twitter. In mostra una serie di opere legate a questo amaro capitolo della storia cinese. Rebar 49, scultura costituita da tre elementi: un tondo in ferro per cemento armato utilizzato per la costruzione di edifici civili, uno dei 150 originali deformati dal terremoto e raccolti da Ai Weiwei in Sichuan, e due copie. L’opera si pone come energico atto d’accusa nei confronti del governo cinese ma anche come monumento alle persone scomparse. Brain Inflation, una risonanza magnetica (MRI) che riporta l’emorragia cerebrale procurata all’artista dall’aggressione della polizia di Chengdu nell’agosto del 2009. Helmet, una scultura in marmo, replica di un elmetto da lavoratore, lo stesso utilizzato dagli operai intenti a salvare vite umane durante il soccorso dei terremotati del Sichuan.
Intorno alla fine degli anni ’90 Ai Weiwei inizia a lavorare alla decontestualizzazione e riconfigurazione di mobili antichi dando vita ad un ciclo di opere che diventeranno cifra distintiva del suo lavoro. Utilizzando tavoli ed elementi architettonici di epoca Ming e Qing, eredità della raffinata tradizione artigiana cinese, l’artista mette in atto un processo di decostruzione e assemblaggio seguendo l’antica e, oramai dimenticata, tecnica di assemblaggio di epoca Tang (600 d.C.). L’oggetto, privato del suo originario utilizzo, acquisisce nuova forma e nuovo significato. Le opere dell’ultimo periodo si sviluppano in forme architetturali più vicine alla geometria solida, dal cubo ai solidi platonici. Ne sono esempio due delle opere in mostra, F Size e Untitled.
La passione di Ai Weiwei per le antiche tradizioni artigianali del suo paese è testimoniata anche dall’interesse verso la porcellana. Esportata in tutto il mondo, è forse la forma d’arte che maggiormente rappresenta la cultura cinese. Dal 2004 a oggi l’artista instaura un rapporto sempre più vicino e approfondito con questo materiale. I temi ai quali s’ispirano le sue ceramiche sono meno austeri rispetto alle opere in legno e si confanno perfettamente al carattere leggero, fragile e raffinato del materiale. All’interno del percorso espositivo opere come Oil Spills, macchie di petrolio ingigantite che alludono al tema del consumismo e Bubble of Twenty Five, 25 bolle ineguali di porcellana collocate nel giardino della galleria - realizzate negli antichi forni di Jingdezhen, capitale storica della ceramica imperiale - che riflettono sfericamente e all’infinto il paesaggio che li circonda.
A completamento della mostra alcune opere installative di grande impatto visivo. La platea accoglie Ordos 100 Models, un modello architettonico grandioso progettato per la Mongolia Interna, che vede nuovamente la collaborazione di Ai Weiwei con gli architetti Herzog & de Meuron, già insieme per la realizzazione dello stadio olimpico di Pechino. Cento architetti da 27 paesi diversi sono stati selezionati per disegnare 100 ville di 1000 mq ciascuna. La maquette e le stampe ai muri documentano la fase di progettazione ed il film, Ordos 100, le tre visite in situ per la finalizzazione dei progetti, ad oggi però, non ancora realizzati. Il palcoscenico e lo spazio della torre della galleria ospitano Forever Bicycles e Very Yao, variazioni di un soggetto estremamente ricco di simboli già esplorato dall’artista in passato. Ai Weiwei utilizza la bicicletta come oggetto iconico: da sempre principale mezzo di trasporto - ricordiamo che “Forever” (Yong Jiu Pai) è il nome del marchio di biciclette più diffuso nel Paese di Mezzo – rappresenta la vita di milioni di cittadini cinesi; inoltre, composta da un ingranaggio a catena, raffigura la matrice stessa della forza lavoro: il popolo. Queste installazioni mettono in luce anche i tratti più concettuali del lavoro di Ai Weiwei, da un lato la messa in atto di un processo di astrazione dove l’oggetto diventa struttura simbolo del niente, dall’altro la realizzazione dell’opera come metafora di fabbricazione del potere.
Ai Weiwei nasce a Pechino nel 1957. Nel 1981 si trasferisce a New York, rientra a Pechino nel 1993, città dove tutt’oggi vive e lavora. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo in mostre monografiche, tra queste: Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington D.C, De Pont Museum of Contemporary Art, Tilburg nel 2012; Victoria and Albert Museum, Londra, Somerset House, Londra, Kunsthaus, Bregenz, Taipei Fine Arts Museum, Taipei, Asia Society, New York, Fotomuseum Winterthur, Winterthur, Pulitzer Fountain, New York nel 2011; Stiftung DKM, Duisburg, Museum of Contemporary Craft, Portland, Arcadia University Gallery, Glenside, Turbine Hall, Tate Modern, Londra nel 2010; Mori Art Museum, Tokyo, Haus der Kunst, Monaco, Three Shadows Photography Art Center, Beijing, nel 2009; Sherman Contemporary Art Foundation, Cambelltown Arts Center, Sydney, Groninger Museum, Groningen nel 2008. Tra le mostre collettive alle quali ha preso parte ricordiamo la Biennale di San Paolo e la Biennale d’Architettura di Venezia nel 2010; Documenta 12 a Kassel e la mostra presso la Tate Liverpool nel 2007.
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GIOVANNI OZZOLA
Routes and Stars
Galleria Continua è lieta di ospitare presso lo spazio espositivo dell'Arco dei Becci di SanGimignano una nuova mostra personale di Giovanni Ozzola.
L’opera di Ozzola si muove sui fronti della fotografia, dell’installazione e della video-installazione, comprese le ibridazioni che possono nascere dagli incroci tra queste espressioni artistiche. La sua ricerca si mostra da un lato costantemente tesa a cogliere l’armonia - intesa come elemento sostanziale della vita - dall’altro a rivelare i molteplici passaggi emotivi che transitano nella nostra percezione e che vanno a definire l’esperienza quotidiana del mondo, come del nostro inconscio che ne traduce la visione. Per tutta una serie di parametri culturali l’occhio umano riprogetta costantemente, in termini di luminosità e colore, ciò che guardiamo. La contrazione temporale nel lavoro di Ozzola non permette al cervello questo processo di riprogettazione: attraverso l’atto creativo e la sua conseguente fruizione, l’autore giunge ad una visione intonsa, ripulita e pura della natura.
Navigare, esplorare, viaggiare sono azioni attraverso le quali l’uomo da sempre ha cercato di affrontare le sue paure ancestrali. “Ognuno di noi”, afferma l’artista, “è chiamato ad affrontare le proprie paure… pietra su pietra, costruiamo le nostre fondamenta e in questo modo costituiamo anche la base di una coscienza collettiva. Ogni esploratore che è andato verso l'ignoto ha vinto la propria paura ed è diventato il veicolo di un'esperienza che ha fatto accrescere la coscienza di ciascun individuo”. Routes, il progetto espositivo che Giovanni Ozzola realizza per questa occasione racconta le rotte tracciate dai grandi viaggiatori, rotte che non si esauriscono nell’individuare un punto di partenza e uno di approdo ma piuttosto si soffermano su quel non detto che manca mentre le cose avvengono. L’indefinito, l’impreciso, l’ignoto danno voce a una poetica visuale che si offre come spazio abitabile, come un accumulo di angoli sconosciuti che diventano ricordo individuale.
Il materiale utilizzato per realizzare la nuova installazione è l’ardesia. L’artista afferma di averla scelta “per il suo colore plumbeo-nerastro che richiama il buio, quella fase del giorno dove è più facile perdersi e quella che al contempo fa più paura, amplifica il rumore dei nostri pensieri, acuisce le nostre ansie di uomini moderni perché mancano i punti di riferimento rappresentati da ciò che è visibile. Inoltre, frutto della sedimentazione progressiva di un limo finissimo dovuto alla frammentazione di antichi rilievi, si costituisce per sedimentazione proprio come la nostra memoria”.
Ozzola lacera l’ardesia con una tecnica preistorica, l’incisione. Questa tecnica è stata utilizzata la prima volta circa 46.000 anni fa dall’uomo di Cro-Magnon ma si è poi diffusa in tutto il mondo senza che questo possa essere attribuito a nient’altro se non a un desiderio ancestrale dell’uomo di comunicare chi era e dov’era. Su l’ardesia Giovanni Ozzola traccia dei segni, o meglio, delle cicatrici. Queste cicatrici indicano una rotta: si riescono a identificare i punti di partenza, di arrivo e di attracco, ma la geografia sembra totalmente assente. Le terre emerse, il punto dove possiamo appoggiare saldo il nostro piede, non si vedono, le percepiamo esclusivamente nel momento in cui ci abbandoniamo ai sensi. Sommando tutte queste rotte, i continenti affiorano come “per sottrazione”. Abbiamo ritrovato dei punti di riferimento e l’iniziale sensazione di ansia e spaesamento scompare.
In questa mostra l’artista ci offre l’occasione di perderci in una notte priva di riferimenti geografici per chiederci chi siamo e dove siamo nel viaggio della nostra vita. Ci invita a riprendere la rotta, abbandonare quelle cicatrici per tracciare la nostra nel mondo.
Giovanni Ozzola nasce a Firenze nel 1982. Vive in Toscana. Nonostante la giovane età, sono numerosi i contesti prestigiosi nei quali l’artista ha avuto modo di presentare il suo lavoro da Amsterdam a Tokyo, da Londra a Pechino. Tra le personali più recenti: Geografie della mente, Società Geografica Italiana, Villa Celimontana, Roma; Naufragio, a cura di Ludovico Pratesi, Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro; Settecento, Galleria Continua, San Gimignano; On the Edge, a cura di Elena Forin, Elgiz Museum, Istanbul, Turchia; Rencontres lors d’une promenade nocturne, a cura di Florian Matzner e Alberto Salvadori, Villa Bardini, Firenze; Omnia Munda Mundis, installazione permanente, Castello di Ama, Gaiole, Siena. Ozzola ha preso parte a importanti rassegne internazionali, fra queste: Disappearance, a cura di Gaia Serena Simionati, Maraya Art Centre, Sharjah, Emirati Arabi Uniti; Sphère, Galleria Continua / Le Moulin, Boissy-le-Châtel, Francia; Linguaggi e sperimentazioni, MART Rovereto, Rovereto; China Purple, No Soul For Sale, ViaFarini – Tate Modern – Turbine Hall Bridge, Londra, Inghilterra; The Difference, a cura di Vincente Verlé, Centre d'Art Bastille, Grenoble, Francia; Il Cielo in una stanza, a cura di Andrea Bruciati, GC.AC, Monfalcone; P.T 01, Chelsea Art Museum, New York City, USA; Rites de Passage, a cura di Pier Luigi Tazzi, Schunck-Glaspaleis, Herleen, Olanda; Guardami, Percezione del video, a cura di Lorenzo Fusi, Palazzo delle Papesse, Siena; in-visibile in-corporeo, a cura di Pier Luigi Tazzi, MAN Museo d’Arte, Nuoro; Museo Pecci Progetto Collezione, a cura di Daniel Soutif e Samuel-Fuyumi Namioka, Project Room, Museo Pecci, Prato; Happiness. A Survival Guide for Art and Life, a cura di David Elliott e Pier Luigi Tazzi, Mori Art Museum, Tokyo, Giappone.
Galleria Continua è lieta di presentare per la prima volta nei suoi spazi espositivi di San Gimignano una mostra personale di Ai Weiwei. Il progetto si sviluppa attraverso un percorso tra sculture, installazioni, video e fotografie. Opere recenti, alcune inedite e altre presentate per la prima volta in Italia, offrono al pubblico la possibilità di approfondire la conoscenza di una tra le figure più importanti della cultura contemporanea, mettendo in luce la versatilità dell'autore e i cardini su cui ruota la sua arte: un rispetto deferente della tradizione cinese abbinato a una grande capacità di proiettarsi nella modernità e a una costante consapevolezza sociale e politica.
Artista poliedrico e uomo dai contenuti spesso contraddittori. Sulla vita di Ai Weiwei è stato scritto molto e in tutte le lingue: dalla sofferenza vissuta dalla famiglia, al contrasto aperto con il governo cinese, al riscatto che è riuscito a regalare al padre attraverso la ricerca e la pratica della libertà intellettuale. Questa mostra vuole soffermarsi su Ai Weiwei nella sua complessità, un uomo per il quale l’arte è un modo di vivere legato inscindibilmente alle circostanze politiche e sociali del proprio tempo, un artista umanista con una grande fiducia intellettuale nelle capacità dell'uomo di contribuire con ogni suo gesto al miglioramento della società. Ai Weiwei esprime questo suo ottimismo impegnandosi su diversi fronti, che vanno dall'arte all'architettura, dalla letteratura al cinema di documentazione, fino all'azione sui social media e alle proteste pubbliche. I diversi ambiti di azione rispondono tuttavia a un unico e comprensivo obiettivo: liberare l'espressione individuale dalle imposizioni di ogni genere per favorire lo scambio reciproco e la condivisione tra gli individui. Ai Weiwei lavora sulla comunicazione e sui significati sociali per far ritrovare la parola a un paese reso muto dall'ideologia delle masse e dall'utopismo sociale che agisce uniformando il pensiero e eliminando la possibilità di un approccio critico alla vita.
Nel 2003 Ai Weiwei disegna e realizza il suo "Fake Design Studio" (in cinese si legge “fu-ke”, “fuck”) dove in seguito progetterà, nel ruolo di architetto, una numerosa serie di spazi per gallerie, studi d’artista e centri d'arte trasformando questo piccolo ignoto villaggio tra il IV° e il V° anello a nord-est della città in uno dei più popolari quartieri artistici di Pechino. Galleria Continua ospita 258 Fake, titanica opera di documentazione costituita da 7677 immagini scattate tra il 2003 e il 2011 che raccontano la vita quotidiana dell’artista: il lavoro, gli incontri, i momenti di svago, l’impegno politico e sociale. La fotografia per Ai Weiwei rappresenta uno strumento avanzato di archiviazione ma anche un media alienante e pericoloso per la sua incapacità di esprimere la realtà in modo incondizionato ed obbiettivo.
Documentazione e archiviazione sono gesti fondamentali che ricorrono come filo conduttore durante tutta la ricerca e la carriera di Ai Weiwei. Attraverso la documentazione l’artista restituisce un nome e una collocazione temporale e storica a cose e persone, affermandone dignità e valore. E’ il caso di Chang’An Boulevard, un’opera che racconta la vita di una città in continua trasformazione e della gente che vi abita. A bordo di un Van, munito di videocamera, per un intero inverno Ai Weiwei percorre ogni strada del IV°, III° e II° anello, incluso Chang’An Boulevard, il lunghissimo “Viale della Pace Eterna” che, partendo dalle zone e dai villaggi rurali, attraversa il centro della capitale, il distretto politico e i quartieri dove hanno sede i palazzi, i musei e gli Hotel più importanti e sfarzosi della capitale, per giungere, infine, alla Fabbrica del ferro (considerata in passato il simbolo dell’industria socialista). Ad ogni tappa, l’autore filma singole inquadrature di un minuto, il montaggio finale è costituito da 608 segmenti da un minuto, per una durata totale di 10 ore e 13 minuti.
Il ruolo di Ai Weiwei come artista dissidente si definisce chiaramente nel 2008 quando un violento terremoto devasta la provincia del Sichuan provocando la morte di 70.000 persone. Ai Weiwei, accompagnato da un gruppo di volontari reclutati in rete attraverso il suo blog, dà inizio a un progetto di investigazione sulle cause di questa catastrofe. Il risultato della ricerca mette in luce la pessima qualità delle costruzioni pubbliche (ospedali, fabbriche, scuole) crollate come fossero di gelatina. Ai Weiwei pubblica online una lista in cui appaiono 5.826 nomi di bambini morti sotto il crollo delle cosiddette "costruzioni di Tofu". La denuncia ha un forte impatto sull'opinione pubblica tanto da scatenare l'immediata risposta della polizia cinese che dispone la chiusura forzata del suo blog. L’artista riesce comunque ad aggirare la censura continuando a sostenere le sue campagne sul web attraverso Twitter. In mostra una serie di opere legate a questo amaro capitolo della storia cinese. Rebar 49, scultura costituita da tre elementi: un tondo in ferro per cemento armato utilizzato per la costruzione di edifici civili, uno dei 150 originali deformati dal terremoto e raccolti da Ai Weiwei in Sichuan, e due copie. L’opera si pone come energico atto d’accusa nei confronti del governo cinese ma anche come monumento alle persone scomparse. Brain Inflation, una risonanza magnetica (MRI) che riporta l’emorragia cerebrale procurata all’artista dall’aggressione della polizia di Chengdu nell’agosto del 2009. Helmet, una scultura in marmo, replica di un elmetto da lavoratore, lo stesso utilizzato dagli operai intenti a salvare vite umane durante il soccorso dei terremotati del Sichuan.
Intorno alla fine degli anni ’90 Ai Weiwei inizia a lavorare alla decontestualizzazione e riconfigurazione di mobili antichi dando vita ad un ciclo di opere che diventeranno cifra distintiva del suo lavoro. Utilizzando tavoli ed elementi architettonici di epoca Ming e Qing, eredità della raffinata tradizione artigiana cinese, l’artista mette in atto un processo di decostruzione e assemblaggio seguendo l’antica e, oramai dimenticata, tecnica di assemblaggio di epoca Tang (600 d.C.). L’oggetto, privato del suo originario utilizzo, acquisisce nuova forma e nuovo significato. Le opere dell’ultimo periodo si sviluppano in forme architetturali più vicine alla geometria solida, dal cubo ai solidi platonici. Ne sono esempio due delle opere in mostra, F Size e Untitled.
La passione di Ai Weiwei per le antiche tradizioni artigianali del suo paese è testimoniata anche dall’interesse verso la porcellana. Esportata in tutto il mondo, è forse la forma d’arte che maggiormente rappresenta la cultura cinese. Dal 2004 a oggi l’artista instaura un rapporto sempre più vicino e approfondito con questo materiale. I temi ai quali s’ispirano le sue ceramiche sono meno austeri rispetto alle opere in legno e si confanno perfettamente al carattere leggero, fragile e raffinato del materiale. All’interno del percorso espositivo opere come Oil Spills, macchie di petrolio ingigantite che alludono al tema del consumismo e Bubble of Twenty Five, 25 bolle ineguali di porcellana collocate nel giardino della galleria - realizzate negli antichi forni di Jingdezhen, capitale storica della ceramica imperiale - che riflettono sfericamente e all’infinto il paesaggio che li circonda.
A completamento della mostra alcune opere installative di grande impatto visivo. La platea accoglie Ordos 100 Models, un modello architettonico grandioso progettato per la Mongolia Interna, che vede nuovamente la collaborazione di Ai Weiwei con gli architetti Herzog & de Meuron, già insieme per la realizzazione dello stadio olimpico di Pechino. Cento architetti da 27 paesi diversi sono stati selezionati per disegnare 100 ville di 1000 mq ciascuna. La maquette e le stampe ai muri documentano la fase di progettazione ed il film, Ordos 100, le tre visite in situ per la finalizzazione dei progetti, ad oggi però, non ancora realizzati. Il palcoscenico e lo spazio della torre della galleria ospitano Forever Bicycles e Very Yao, variazioni di un soggetto estremamente ricco di simboli già esplorato dall’artista in passato. Ai Weiwei utilizza la bicicletta come oggetto iconico: da sempre principale mezzo di trasporto - ricordiamo che “Forever” (Yong Jiu Pai) è il nome del marchio di biciclette più diffuso nel Paese di Mezzo – rappresenta la vita di milioni di cittadini cinesi; inoltre, composta da un ingranaggio a catena, raffigura la matrice stessa della forza lavoro: il popolo. Queste installazioni mettono in luce anche i tratti più concettuali del lavoro di Ai Weiwei, da un lato la messa in atto di un processo di astrazione dove l’oggetto diventa struttura simbolo del niente, dall’altro la realizzazione dell’opera come metafora di fabbricazione del potere.
Ai Weiwei nasce a Pechino nel 1957. Nel 1981 si trasferisce a New York, rientra a Pechino nel 1993, città dove tutt’oggi vive e lavora. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo in mostre monografiche, tra queste: Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington D.C, De Pont Museum of Contemporary Art, Tilburg nel 2012; Victoria and Albert Museum, Londra, Somerset House, Londra, Kunsthaus, Bregenz, Taipei Fine Arts Museum, Taipei, Asia Society, New York, Fotomuseum Winterthur, Winterthur, Pulitzer Fountain, New York nel 2011; Stiftung DKM, Duisburg, Museum of Contemporary Craft, Portland, Arcadia University Gallery, Glenside, Turbine Hall, Tate Modern, Londra nel 2010; Mori Art Museum, Tokyo, Haus der Kunst, Monaco, Three Shadows Photography Art Center, Beijing, nel 2009; Sherman Contemporary Art Foundation, Cambelltown Arts Center, Sydney, Groninger Museum, Groningen nel 2008. Tra le mostre collettive alle quali ha preso parte ricordiamo la Biennale di San Paolo e la Biennale d’Architettura di Venezia nel 2010; Documenta 12 a Kassel e la mostra presso la Tate Liverpool nel 2007.
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GIOVANNI OZZOLA
Routes and Stars
Galleria Continua è lieta di ospitare presso lo spazio espositivo dell'Arco dei Becci di SanGimignano una nuova mostra personale di Giovanni Ozzola.
L’opera di Ozzola si muove sui fronti della fotografia, dell’installazione e della video-installazione, comprese le ibridazioni che possono nascere dagli incroci tra queste espressioni artistiche. La sua ricerca si mostra da un lato costantemente tesa a cogliere l’armonia - intesa come elemento sostanziale della vita - dall’altro a rivelare i molteplici passaggi emotivi che transitano nella nostra percezione e che vanno a definire l’esperienza quotidiana del mondo, come del nostro inconscio che ne traduce la visione. Per tutta una serie di parametri culturali l’occhio umano riprogetta costantemente, in termini di luminosità e colore, ciò che guardiamo. La contrazione temporale nel lavoro di Ozzola non permette al cervello questo processo di riprogettazione: attraverso l’atto creativo e la sua conseguente fruizione, l’autore giunge ad una visione intonsa, ripulita e pura della natura.
Navigare, esplorare, viaggiare sono azioni attraverso le quali l’uomo da sempre ha cercato di affrontare le sue paure ancestrali. “Ognuno di noi”, afferma l’artista, “è chiamato ad affrontare le proprie paure… pietra su pietra, costruiamo le nostre fondamenta e in questo modo costituiamo anche la base di una coscienza collettiva. Ogni esploratore che è andato verso l'ignoto ha vinto la propria paura ed è diventato il veicolo di un'esperienza che ha fatto accrescere la coscienza di ciascun individuo”. Routes, il progetto espositivo che Giovanni Ozzola realizza per questa occasione racconta le rotte tracciate dai grandi viaggiatori, rotte che non si esauriscono nell’individuare un punto di partenza e uno di approdo ma piuttosto si soffermano su quel non detto che manca mentre le cose avvengono. L’indefinito, l’impreciso, l’ignoto danno voce a una poetica visuale che si offre come spazio abitabile, come un accumulo di angoli sconosciuti che diventano ricordo individuale.
Il materiale utilizzato per realizzare la nuova installazione è l’ardesia. L’artista afferma di averla scelta “per il suo colore plumbeo-nerastro che richiama il buio, quella fase del giorno dove è più facile perdersi e quella che al contempo fa più paura, amplifica il rumore dei nostri pensieri, acuisce le nostre ansie di uomini moderni perché mancano i punti di riferimento rappresentati da ciò che è visibile. Inoltre, frutto della sedimentazione progressiva di un limo finissimo dovuto alla frammentazione di antichi rilievi, si costituisce per sedimentazione proprio come la nostra memoria”.
Ozzola lacera l’ardesia con una tecnica preistorica, l’incisione. Questa tecnica è stata utilizzata la prima volta circa 46.000 anni fa dall’uomo di Cro-Magnon ma si è poi diffusa in tutto il mondo senza che questo possa essere attribuito a nient’altro se non a un desiderio ancestrale dell’uomo di comunicare chi era e dov’era. Su l’ardesia Giovanni Ozzola traccia dei segni, o meglio, delle cicatrici. Queste cicatrici indicano una rotta: si riescono a identificare i punti di partenza, di arrivo e di attracco, ma la geografia sembra totalmente assente. Le terre emerse, il punto dove possiamo appoggiare saldo il nostro piede, non si vedono, le percepiamo esclusivamente nel momento in cui ci abbandoniamo ai sensi. Sommando tutte queste rotte, i continenti affiorano come “per sottrazione”. Abbiamo ritrovato dei punti di riferimento e l’iniziale sensazione di ansia e spaesamento scompare.
In questa mostra l’artista ci offre l’occasione di perderci in una notte priva di riferimenti geografici per chiederci chi siamo e dove siamo nel viaggio della nostra vita. Ci invita a riprendere la rotta, abbandonare quelle cicatrici per tracciare la nostra nel mondo.
Giovanni Ozzola nasce a Firenze nel 1982. Vive in Toscana. Nonostante la giovane età, sono numerosi i contesti prestigiosi nei quali l’artista ha avuto modo di presentare il suo lavoro da Amsterdam a Tokyo, da Londra a Pechino. Tra le personali più recenti: Geografie della mente, Società Geografica Italiana, Villa Celimontana, Roma; Naufragio, a cura di Ludovico Pratesi, Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro; Settecento, Galleria Continua, San Gimignano; On the Edge, a cura di Elena Forin, Elgiz Museum, Istanbul, Turchia; Rencontres lors d’une promenade nocturne, a cura di Florian Matzner e Alberto Salvadori, Villa Bardini, Firenze; Omnia Munda Mundis, installazione permanente, Castello di Ama, Gaiole, Siena. Ozzola ha preso parte a importanti rassegne internazionali, fra queste: Disappearance, a cura di Gaia Serena Simionati, Maraya Art Centre, Sharjah, Emirati Arabi Uniti; Sphère, Galleria Continua / Le Moulin, Boissy-le-Châtel, Francia; Linguaggi e sperimentazioni, MART Rovereto, Rovereto; China Purple, No Soul For Sale, ViaFarini – Tate Modern – Turbine Hall Bridge, Londra, Inghilterra; The Difference, a cura di Vincente Verlé, Centre d'Art Bastille, Grenoble, Francia; Il Cielo in una stanza, a cura di Andrea Bruciati, GC.AC, Monfalcone; P.T 01, Chelsea Art Museum, New York City, USA; Rites de Passage, a cura di Pier Luigi Tazzi, Schunck-Glaspaleis, Herleen, Olanda; Guardami, Percezione del video, a cura di Lorenzo Fusi, Palazzo delle Papesse, Siena; in-visibile in-corporeo, a cura di Pier Luigi Tazzi, MAN Museo d’Arte, Nuoro; Museo Pecci Progetto Collezione, a cura di Daniel Soutif e Samuel-Fuyumi Namioka, Project Room, Museo Pecci, Prato; Happiness. A Survival Guide for Art and Life, a cura di David Elliott e Pier Luigi Tazzi, Mori Art Museum, Tokyo, Giappone.
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