Maria Pacheco Cibils. Il tempo sospeso
Dal 26 Ottobre 2020 al 31 Ottobre 2020
Roma
Luogo: Galleria Biblioteca Angelica
Indirizzo: via di Sant’Agostino 11
Orari: dal lunedì al sabato 10.00 – 19.00
Curatori: Roberta Melasecca
Enti promotori:
- MiBACT
Telefono per informazioni: +39 066840801
E-Mail info: b-ange@beniculturali.it
Sito ufficiale: http://www.bibliotecaangelica.beniculturali.it
In occasione di Rome Art Week 2020, lunedì 26 ottobre 2020 alle ore 18.00 inaugura la mostra Il tempo sospeso di Maria Pacheco Cibils, a cura di Roberta Melasecca, presso le sale della Galleria della Biblioteca Angelica (MiBACT), prestigioso spazio espositivo adibito alle mostre di arte contemporanea.
“Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici.” (Italo Calvino, Le città invisibili)
Negli spazi della Galleria Angelica Maria Pacheco Cibils presenta le sue riflessioni durante questo complesso periodo che da otto mesi ha modificato le vite individuali e collettive di ogni paese del mondo. Utilizzando lo strumento dell’arte racconta di un tempo fermo, frammentato, abitato da momenti di isolamento, di meditazione, di ordine e disordine reale e mentale, di tregua e inquietudine, di scoperta di possibilità interiori e capacità di resilienza, come è stata da alcuni definita. Un tempo sospeso, per lei e forse per molti di noi, materializzato in 33 opere di vari formati, dai dipinti 50×50 cm a quelli 180×180 cm ad alcuni di più grandi dimensioni.
Maria narra di un tempo assolutamente reale, talmente reale che può sembrare o perfettamente banale o eccessivamente impossibile trasformarlo in parole, in altre parole che tentano di spiegare, giustificare, esprimere, consolare, obiettare, discutere, analizzare, controbattere, pianificare, esporre. Ognuno di noi scrive e parla parole ogni giorno da otto mesi provando a scovare le città felici nascoste nelle città infelici, nell’estremo e necessario tentativo di dare loro forma e non farle svanire.
Pertanto ho fatto numerose ricerche sulle pandemie nel corso dei secoli, sulle probabili cause e sulle relative conseguenze per tentare un approccio analitico e con le mie parole dare una visione o un pensiero. Ma il risultato mi pare perfettamente banale e estremamente riduttivo. Ho cancellato le parole. Ho tentato allora una lettura di stampo filosofico e psicologico sul concetto di felicità sul quale la letteratura, dai tempi di Epicuro fino ai giorni nostri, si è ampiamente dibattuto. Impresa eccessivamente impossibile da contenere in un testo da leggere in pochi minuti, mentre davanti a me il libro di Marc Augé presenta 114 pagine non esaustive del problema. Ma forse anche una trattazione più estesa potrebbe portare alla stessa conclusione: abbiamo rinunciato a definire la felicità, dando per acquisito e accertato che si tratti di una condizione duratura alla quale è normale aspirare (cit. Marc Augé) e alla quale ciascun cittadino ha diritto. Dopo tutto nel 2013 l’ONU ha istituito la Giornata Mondiale della Felicità, pubblicando poi ogni anno il World Happiness Report, un rapporto sulla felicità mondiale che esamina la qualità della vita in più di 150 paesi e che si basa su diversi parametri: PIL pro capite, sostegno sociale, speranza di vita in buona salute, libertà di fare scelte di vita, generosità e libertà dalla corruzione. L’ONU ha decretato chiuse le dissertazioni sulla felicità riducendole all’applicazione di semplici criteri che dipendono da noi individualmente e dalla struttura delle società e delle comunità. Italo Calvino si rivolterebbe nella tomba (ma anche tutti i pensatori dall’antichità in poi).
Per Umberto Eco ogni proposta del nostro contemporaneo appare come un appello a una vita felice: la crema per rassodare il viso, il detersivo che finalmente toglie tutte le macchie, il divano a metà prezzo, l’amaro da bere dopo la tempesta, la carne in scatola intorno a cui si riunisce la famigliola felice, l’auto bella ed economica e un assorbente che vi permetterà di entrare in ascensore senza preoccuparvi del naso degli altri; e il nostro diritto al perseguimento della felicità si realizza nel soddisfacimento dell’acquisizione di beni ma non di certo quando votiamo o quando mandiamo i nostri figli a scuola. E dal lato etimologico, e sensoriale, non esisterebbe la concezione della felicità se non apparisse, reale e palpabile, quella dell’infelicità: anche i nostri ricordi da bambini, quelli più vividi e intensi, sono gli episodi di dolore, soprattutto fisico. Ricordo perfettamente quando sono caduta nella rampa di un garage, il braccio destro scorticato, le lacrime chiuse nella gola e il sorriso stampato per essere forte. Mentre ricordo vagamente tutti i minuti di bambina felice, e a detta dei miei genitori sono stati tanti. Di fronte al tempo dei nostri ricordi lontani o recenti e al tempo presente vivente, la condizione della felicità dovrebbe apparire una situazione in movimento ed invece persiste nella nostra consapevolezza come immobile e permanente. L’infelicità causata dal rifiuto della persona amata sussiste in noi come condizione ineluttabile e non transitoria, come attualità che definisce la nostra vita e non cede il passo ad una realtà futura. Felicità per tutta la vita, senza dubbi, dolori, crisi. Rimanere e permanere in vista di un solo presente consente di evitare ogni definizione di felicità, trasformandone il desiderio in diritto assoluto e nella negazione e svalutazione di ciò che impedisce il suo raggiungimento. Misurando la felicità attraverso diagrammi e grafici, lavorando, giustamente, per i parametri che definiscono la felicità personale e sociale, noi contemporanei siamo divenuti incapaci di venire a patti con la morte (cit. Umberto Eco). La scomparsa della morte (e dell’infelicità) dal nostro continuo vissuto, quale evento che pur appartiene alla vita stessa, alimenta ed intensifica il proliferare di parole pronunciate e scritte per descrivere e rappresentare le mie condizioni interiori ed esteriori, che si confondono e si fondono con le miriadi di parole pronunciate e scritte per descrivere e rappresentare le condizioni interiori ed esteriori di ognuno di noi 60,36 milioni di italiani, 741,4 milioni di europei, 7,594 miliardi abitanti del mondo.
A questo punto l’arte viene in mio aiuto e mi permette quello che non riesco ad esprimere e definire senza il rischio di generare un’infodemia di informazioni. Le parole di Maria, allora, prendono corpo e si animano in sferzate di colore che nascono da un movimento interiore intimo e personale e si diffondono collettivamente. Sono spazi sui quali posso rimanere solo per tempi limitati e instabili; di certo non sono la risposta ai miei e ai nostri interrogativi e non acquietano il mio e il nostro sentire. Ma per un singolo momento, per un istante immediato posso non pronunciare lettere le une accanto alle altre.
Posso stare in silenzio.
“Scrivere troppo è pericoloso: noi abbiamo così, sempre dinanzi agli occhi, scolpita in parole incancellabili, l’immagine di quello che valiamo, lo specchio sincero che rispecchia il nostro autentico aspetto.” (Andrea Emo, La voce incomparabile del silenzio)
Testo critico di Roberta Melasecca
Maria Pacheco Cibils è una designer e artista argentino-portoghese. Il suo lavoro spazia tra architettura di interni, ristrutturazioni, ambientazioni, scenografie, realizzazione di abiti, costumi di scena, oggetti d’arte e gioielli, pitture e installazioni. Ha realizzato numerose presentazioni e performance per pittori e fotografi; ha collaborato con prestigiose riviste, giornali e canali televisivi per rappresentazioni teatrali e di danza classica e contemporanea. Creatrice di vari marchi, ha sviluppato prodotti e grafica degli stessi in Argentina, Paraguay e Italia. Attualmente lavora tra Italia e Argentina.
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