Il segno è l’esemplare parlato
Dal 03 Marzo 2023 al 21 Aprile 2023
Roma
Luogo: z2o project
Indirizzo: Via Baccio Pontelli 16
Orari: su appuntamento
Curatori: Micol Veller Fornasa
Telefono per informazioni: +39 06 70452261
E-Mail info: info@z2ogalleria.it
z2o Sara Zanin è lieta di presentare la mostra collettiva Il segno è l’esemplare parlato, a cura di Micol Veller Fornasa, con opere di Mariella Bettineschi, Beatrice Pediconi, Maria Angeles Vila Tortosa, Simona Weller presso gli spazi di z2o project in via Baccio Pontelli 16. La mostra apre al pubblico venerdì 3 marzo 2023, a partire dalle ore 18.
Il titolo della mostra Il segno è l’esemplare parlato è ispirato a un testo di Gertrude Stein, scrittrice e collezionista americana, determinante per la valorizzazione delle avanguardie parigine dei primi del Novecento per le quali inventò un modo inedito di leggere le opere d’arte. Il segno, la parola, l’immagine, il gesto, caratterizzano l’esperienza espressiva delle quattro artiste presenti in mostra definendone il percorso. Mariella Bettineschi (1948), Beatrice Pediconi (1972), Maria Angeles Vila Tortosa (1978), Simona Weller (1940), seppur di diverse generazioni, hanno in comune la medesima attitudine ad affrontare un discorso sul metodo che, pur tenendo conto di una storia già scritta e “parlata” riesce ad aggiungere un nuovo traguardo alla ricerca sul segno. Per tale ragione il segno è l’esemplare parlato.
Mariella Bettineschi, si contraddistingue, nel panorama internazionale, per la continua ricerca di linguaggi capaci di raccontare, attraverso pittura, scultura, disegno, collage, fotografia, digital painting, la centralità della donna. Le opere scelte per questa mostra fanno parte del ciclo dei Morbidi realizzate nel 1980. Sono piccoli cuscini, leggeri, composti da organza, lana, piume, filamenti di oro, che accennano piccole immagini o sottili grafie, evocative, forse allusive, ma sempre enigmatiche.
Per Beatrice Pediconi le opere sono frutto di una disciplina che con rigore osserva la trasformazione della materia, di manualità e sperimentazione dove l’imprevisto, nell’atto della realizzazione dell’opera, spesso partecipa al risultato stesso. Le opere in mostra fanno parte del ciclo Segno, iniziato nel 2020 durante il lockdown, sono la prima testimonianza di un linguaggio diverso, un nuovo alfabeto che si imprime sulla preziosa carta cotone, di piccolo formato, utilizzata come supporto dove, improvvise e solitarie, appaiono tracce filiformi, sottili ed eteree. Si percepisce un movimento come un lento fluttuare sul foglio bianco dove il colore si rivela lentamente allo sguardo ma è la casualità del gesto che decide come fissarlo.
Maria Angeles Vila Tortosa, nel suo lavoro rielabora alcuni temi specifici legati al mondo femminile, come la vita domestica, gli affetti familiari, la maternità e l’accudimento. Il mezzo espressivo privilegiato dall’artista è l’incisione, una tecnica antica con cui parlare di memoria, femminismo e stereotipi di genere. Le incisioni su carta, dai tenui colori pastello, raccontano il microcosmo dell’artista e si trasformano in pavimenti, light box, libri d’artista e scatole lignee allo scopo di realizzare piccole scenografie portatili come i quattro Libri della memoria presenti in mostra.
La ricerca di Simona Weller, attiva dagli Sessanta, evolve nei primi anni Settanta, quando passa da un mondo descrittivo surreale-naturalistico, alla riscoperta del mondo segnico infantile sino a passare a quella scrittura che diventerà protagonista della sua opera. Attraversando varie fasi, dalle pagine di quaderno alle finte lavagne, arriva a isolare una parola simbolo che usa come ductus nei suoi quadri (mare, erba, alba), fino a diventare, nella ripetizione e sovrapposizione ossessiva, una morbida tessitura che spesso evoca il lirismo di certi fenomeni naturali come un’alba o un tramonto. Ha scritto Flaminio Gualdoni “Simona Weller nasce dalla costola migliore dell’astrazione lirica, d’una pittura che sia cadenza essenziale e respiro del senso”.
Il titolo della mostra Il segno è l’esemplare parlato è ispirato a un testo di Gertrude Stein, scrittrice e collezionista americana, determinante per la valorizzazione delle avanguardie parigine dei primi del Novecento per le quali inventò un modo inedito di leggere le opere d’arte. Il segno, la parola, l’immagine, il gesto, caratterizzano l’esperienza espressiva delle quattro artiste presenti in mostra definendone il percorso. Mariella Bettineschi (1948), Beatrice Pediconi (1972), Maria Angeles Vila Tortosa (1978), Simona Weller (1940), seppur di diverse generazioni, hanno in comune la medesima attitudine ad affrontare un discorso sul metodo che, pur tenendo conto di una storia già scritta e “parlata” riesce ad aggiungere un nuovo traguardo alla ricerca sul segno. Per tale ragione il segno è l’esemplare parlato.
Mariella Bettineschi, si contraddistingue, nel panorama internazionale, per la continua ricerca di linguaggi capaci di raccontare, attraverso pittura, scultura, disegno, collage, fotografia, digital painting, la centralità della donna. Le opere scelte per questa mostra fanno parte del ciclo dei Morbidi realizzate nel 1980. Sono piccoli cuscini, leggeri, composti da organza, lana, piume, filamenti di oro, che accennano piccole immagini o sottili grafie, evocative, forse allusive, ma sempre enigmatiche.
Per Beatrice Pediconi le opere sono frutto di una disciplina che con rigore osserva la trasformazione della materia, di manualità e sperimentazione dove l’imprevisto, nell’atto della realizzazione dell’opera, spesso partecipa al risultato stesso. Le opere in mostra fanno parte del ciclo Segno, iniziato nel 2020 durante il lockdown, sono la prima testimonianza di un linguaggio diverso, un nuovo alfabeto che si imprime sulla preziosa carta cotone, di piccolo formato, utilizzata come supporto dove, improvvise e solitarie, appaiono tracce filiformi, sottili ed eteree. Si percepisce un movimento come un lento fluttuare sul foglio bianco dove il colore si rivela lentamente allo sguardo ma è la casualità del gesto che decide come fissarlo.
Maria Angeles Vila Tortosa, nel suo lavoro rielabora alcuni temi specifici legati al mondo femminile, come la vita domestica, gli affetti familiari, la maternità e l’accudimento. Il mezzo espressivo privilegiato dall’artista è l’incisione, una tecnica antica con cui parlare di memoria, femminismo e stereotipi di genere. Le incisioni su carta, dai tenui colori pastello, raccontano il microcosmo dell’artista e si trasformano in pavimenti, light box, libri d’artista e scatole lignee allo scopo di realizzare piccole scenografie portatili come i quattro Libri della memoria presenti in mostra.
La ricerca di Simona Weller, attiva dagli Sessanta, evolve nei primi anni Settanta, quando passa da un mondo descrittivo surreale-naturalistico, alla riscoperta del mondo segnico infantile sino a passare a quella scrittura che diventerà protagonista della sua opera. Attraversando varie fasi, dalle pagine di quaderno alle finte lavagne, arriva a isolare una parola simbolo che usa come ductus nei suoi quadri (mare, erba, alba), fino a diventare, nella ripetizione e sovrapposizione ossessiva, una morbida tessitura che spesso evoca il lirismo di certi fenomeni naturali come un’alba o un tramonto. Ha scritto Flaminio Gualdoni “Simona Weller nasce dalla costola migliore dell’astrazione lirica, d’una pittura che sia cadenza essenziale e respiro del senso”.
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