Duale
Dal 27 Aprile 2023 al 27 Maggio 2023
Roma
Luogo: Contemporary Cluster
Indirizzo: Via Merulana 248
Orari: da martedì a sabato 10-13 / 15.30-19
Curatori: Lorenzo Madaro
Telefono per informazioni: +39 06 31709949
E-Mail info: info@contemporarycluster.com
Sito ufficiale: http://www.contemporarycluster.com
Contemporary Cluster presenta giovedì 27 aprile 2023 Duale, una mostra collettiva a cura di Lorenzo Madaro con opere di Canicola, Guido Strazza, Alberto Gianfreda, Giuseppe Spagnulo, Giulia Manfredi, Giulia Napoleone, Andrea Polichetti, Pasquale Santoro.
Duale è un incontro serrato tra artisti di differenti generazioni – quattro maestri della storia dell’arte contemporanea e altrettanti giovani artisti italiani – che si fronteggiano in un dialogo profondo tra linguaggi, attitudini, esperienze e percorsi. Nelle sale del piano terra di Palazzo Brancaccio a Roma si riattivano così specifiche ricerche di quattro maestri che hanno, in particolar modo dai Sessanta, contribuito a un rinnovamento delle indagini della scultura e della pittura. Le trasformazioni della materia di Canicola dialogano lealmente con i segni aperti delle grandi superfici pittoriche di Guido Strazza; Alberto Gianfreda con una scultura in grado di misurare i propri stessi confini volumetrici e le trasformazioni della materia si confronta con un maestro come Spagnulo che a questi temi ha dedicato gran parte del suo impegno pionieristico; Giulia Manfredi riflette sulle metamorfosi organiche e lo fa stringendo uno spazio di riflessione con le tele essenziali e sofisticate dipinte da Giulia Napoleone, mentre Andrea Polichetti investiga lo spazio, i suoi stessi perimetri, e lo fa con un protagonista assoluto di area minimalista quale Pasquale (Ninì) Santoro. Merito della mostra è altresì quello di rivelare la grande attualità delle esperienze dei quattro maestri coinvolti, il loro impegno operativo (e teorico, visto che tutti e quattro hanno avuto anche un’ampia esperienza nella didattica dell’arte) e il valore pionieristico delle rispettive indagini.
La mostra è accompagnata da un libro, edito da Contemporary Cluster, curato da Lorenzo Madaro, docente di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti di Brera a Milano, e autore anche del saggio critico dedicato al progetto Duale. Il volume presenterà inoltre le fotografie delle opere in mostra e gli Apparati biografici, espositivi e bibliografici a firma di Angelica Raho e Giulia Russo.
Nicola Ghirardelli
Nicola Ghirardelli, in arte Canicola (Como, 1994; vive e lavora tra Milano e la Toscana). Nel 2020 si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2022 lavora come assistente dell’artista Giulia Cenci per la realizzazione delle opere per la 59. Biennale di Venezia The Milk of Dreams. L’artista attinge dalla storia dell’arte, dall’iconologia e dalla mitologia, si appropria di elementi della memoria collettiva, di simboli dimenticati, “sterili”, portandoli a riemergere nel presente dando loro un nuovo significato. Nascono forme anacronistiche, risonanza di una cosmogonia lontana nel tempo. L’artista lavora con molte materie come la terracotta, la stoffa, l’acciaio ed elementi naturali in una ibridazione di materiali e forme organiche, artificiali e meccaniche realizzate in collaborazione con le maestranze locali. Per la mostra collettiva E ci fa dispetto il tempo, del 2022 ad Arezzo, espone sculture che testimoniano un uso sapiente di tecniche perdute (il bucchero, di origine etrusca) e tecniche moderne (fusione dell’alluminio). Le opere richiamano il romanico grottesco, la mitologia, l’architettura rinascimentale, le forme ibride e ne esplora la sopravvivenza nel tempo. Nel 2021 espone per Instructions to light keepers, curata da Arnold Braho e Stefano De Gregori, dedicata a questi tempi turbolenti e tempestosi. Presenta un lavoro composto da strutture marmoree che appare come l’erosione della memoria collettiva, rappresentata da fregi architettonici, frammenti scultorei di corpi e animali depredati, spazzati via dalla violenza del tempo e riformati da una nuova memoria che si riappropria dello scarto. Nello stesso anno partecipa alla mostra collettiva Ardere ardere ardere ardere, a Verona dove, a partire da una visita al Cimitero Monumentale di Milano, lavora il marmo e frammenti di tessuto compostabile. Nel 2022 partecipa a Poggio Tempesta, una mostra collettiva curata da Caterina Fondelli, a Firenze. L’esposizione si estende nello spazio di un grande parco proponendo un locus amoenus, un'isola ideale per riconnettersi con una parte ancestrale del sé e del mondo, un’occasione, per l’artista, di fondersi con il paesaggio. Nicola Ghirardelli sperimenta e crea secondo un metodo warburghiano, ponendo l’attenzione sulle pathosformel e la sopravvivenza delle immagini. Le sue opere riportano alle parole di Marc Augè, citate nell’ambito della mostra E ci fa dispetto il tempo: «l'arte come le rovine è un invito a sentire il tempo». [A.R.]
Alberto Gianfreda
Alberto Gianfreda (Desio, 1981; vive e lavora a Milano). Nel 2003 si diploma in scultura presso L’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2005 si specializza in Arti e Antropologia del Sacro e completa la sua formazione presso il TAM, sotto la direzione di Nunzio di Stefano. Nello stesso anno ottiene la cattedra di Tecniche per la scultura nel polo accademico milanese. Dopo molti anni dedicati all’insegnamento nelle stesse aule che hanno visto la sua formazione, attualmente insegna ai giovani scultori dell’Accademia di Carrara.
Al centro delle sue riflessioni sin dagli esordi, ci sono l’identità e l’adattamento attivo della materia, che si manifesta attraverso il dialogo tra le caratteristiche intrinseche degli elementi scelti (ceramiche, marmo, legno, ferro, argilla) e le forze esterne volutamente imposte, per mettere alla prova i limiti costitutivi dei materiali, e modificarne la forma originaria. La sua indagine privilegia la dimensione aniconica, ed è dedicata piuttosto alla conoscenza profonda di ciascun supporto e all’equilibrio delle forze tra loro. Nei suoi ultimi lavori, per esempio nella serie dei vasi cinesi dal titolo Nothing as it seems, il contrasto agìto tra il prima e il dopo la metamorfosi dell’oggetto, decostruito e poi riassemblato secondo un nuovo ordine, ruota tutt’intorno alla capacità di adattamento e all’energia sprigionata.
«Quello che mi interessa di questi continui processi di distruzione e ricostruzione – sostiene Gianfreda - è la possibilità di trasformare un evento drammatico in un potenziale positivo che ribalta i valori dell’elemento iniziale».
Nel 2008 partecipa alla collettiva Real Presence a cura di Biljana Tomic e Dobrila De Negri presso la Manica del Castello di Rivoli; nel 2014 prepara Earthquake un’importante personale ospitata all’interno del Museo Canova di Possagno. Tra il 2018 e il 2021 partecipa alle Biennali di Shenzhen e di Jingdezhen, in Cina. Per il 2023 in programma al Museo Nazionale della Slovenia (15 maggio-30 settembre 2023) un’altra grande mostra di respiro internazionale. Sue opere pubbliche permanenti sono esposte a Milano, come Tavola di condivisione presso il Palazzo Lombardia, a Lecco, a Venezia, nella chiesa di San Nicola da Tolentino e al MIC di Faenza.
Nel 2018 si occupa anche dell’ideazione e del coordinamento del progetto di ricerca sperimentale Leggere il territorio con l’arte, in collaborazione con il MAC di Lissone, per definire una metodologia utile a inserire l’arte nei processi di pianificazione urbana. Di recente pubblica: Sculpture Architecture, metodologie incrociate per il territorio e Open Source, mobilita, moltiplicazioni, inserimenti, ricerche volte a individuare strumenti che permettano dialoghi disciplinari per l’impiego della scultura nei processi di pianificazione urbanistica, e gettino un focus inedito sulla funzione pubblica dell’arte. [G.R.]
Giulia Napoleone
Giulia Napoleone (Pescara, 1936; vive e lavora tra la Tuscia e il Ticino). Nel 1957 si trasferisce a Roma dove frequenta i corsi della Scuola libera del Nudo all’Accademia di Belle Arti, imparando le tecniche dell’incisione da Mino Maccari e Lino Bianchi Barriviera, a cui si avvicina anche grazie ai consigli di Giorgio Morandi. Coltiva la passione per il violino, per la fotografia e per i viaggi in tutto il mondo, che hanno contribuito in maniera significativa alla sua ricerca. Ha insegnato al I Liceo Artistico di Roma, all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, alla Calcografia Nazionale di Roma e nelle Università di Tenerife e Aleppo, in Siria. Da giovane inizia dipingendo a olio, utilizza l’acquerello e la china, ma soprattutto l’incisione grafica e impara da Renato Bruscaglia la maniera nera. Inaugura la sua prima mostra personale nel 1963 alla Galleria Numero di Firenze e nel 1965 partecipa al laboratorio sperimentale e internazionale di stampa e grafica ideato da Maurizio Calvesi, direttore della Calcografia Nazionale, a fianco di Luca Patella, Antonino Virduzzo e Guido Strazza. Nel 1967 vince una borsa di studio per specializzarsi nell’incisione presso il Rijksmuseum di Amsterdam. Parlando della sua tecnica l’artista dichiara: «Voglio fare quello che aveva fatto Seurat ma con l’impressione di Burri». Le sue opere disegnano forme molecolari nate dall'osservazione della natura, dell’entomologia, dei muschi e dei licheni. L’influenza del laboratorio di Calvesi e la scoperta del punzone, come strumento per incidere, la porta verso una grammatica dei segni con metodo e precisione, esasperata fino all’astrazione. La carta è da sempre il suo supporto preferito, lavora intorno a porzioni di foglio bianco, “al risparmio”, facendoli diventare momenti di luce pura. Nel 1983 si svolge un’importante rassegna antologica alla Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano, accompagnata da un volume con un testo di Carlo Bertelli, pubblicato da Vanni Scheiwiller. Con l’editore Scheiwiller realizza il libro Non vedo quasi nulla (1978) con due poesie di André du Bouchet, esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi, il primo di un’intensa collaborazione. Dal 2001 si costituisce il primo Fondo Giulia Napoleone al Museo Villa del Cedri di Bellinzona. Collabora con Josef Weiss, tipografo editore e grafico svizzero, dal 2011 dopo una mostra alla Galleria Stellanove di Mendrisio. Nel 2018 la Galleria Nazionale di Roma ripercorre il percorso artistico dell’artista dedicandole un’importante mostra antologica a cura di Giuseppe Appella, suo assiduo compagno di strada. Bruno Corà si occupa di Nero di china, esposizione alla galleria Il Ponte di Firenze nel 2020, che raccoglie tra le opere più rappresentative della produzione dell’artista. Napoleone partecipa a numerose rassegne internazionali tra cui la XI e XII edizione della Quadriennale di Roma, la Triennale di Milano e Il Cairo, Biennali a Cracovia, Lubiana, Seoul, Osaka e Praga. [A.R.]
Andrea Polichetti
Andrea Polichetti (Roma, 1989 dove vive e lavora). Si forma come allestitore per Monitor e altre gallerie, sin quando nel 2013 rifiuta un’importante commissione da parte di un’agenzia di art handling e sceglie di dedicarsi alla produzione negli studi d’artista. Nei magazzini della Fondazione Meo riceve la folgorazione con il lavoro di Salvatore Meo: ne riconosce subito la forza e qualche anno dopo ne porta in scena il lavoro. Nello stesso anno si dedica alla gestione del temporary space Da Franco senza appuntamento, dove organizza una serie di incontri insieme a Niccolò De Napoli, Vasco Forconi e Silvio Saccà. L’iniziativa prende una piega inaspettata e nel 2020 il progetto si amplia con la fondazione di SPAZIOMENSA, un vasto perimetro espositivo di 600 mq all’interno di capannoni abbandonati, fuori dal G.R.A. insieme ad Alessandro Gianni, Marco Eusepi, Dario Carratta, Gaia Bobò e Giuseppe Armogida, Polichetti ha pensato e assemblato una mostra collettiva che potesse essere percepita come uno statement. La sua ricerca attinge all’immaginario archeologico e a quello naturale, passando per le sperimentazioni sui materiali del contemporaneo e articolandosi attraverso diversi linguaggi, tra cui il disegno, la stampa, la cianotipia e la scultura. L’artista si sofferma sul potenziale estetico della rovina, e il suo lavoro riflette sulla caducità del tempo, ponendosi in relazione con l’elemento naturale. Tra le mostre personali si segnala Environments (2021, SPAZIOMENSA) che porta in scena le prime suggestioni ricevute da Meo. Di qualche anno prima Gloria y Amigos (2018, The National Exemplar Gallery, Roma-New York) e A guy and a lady pumped up, Transformer (2018, Washington DC). Tra le mostre collettive del 2022 invece: Roma Pittura Emergente Oggi. A New Generation (21 Gallery, Treviso); Spazio, forma, ritmo. e a Capo, curata da Davide Silvioli (Museo di Anticoli Corrado, Roma); Transformer 20 (Corcoran Museum, Washington DC) e BAGNI MISTERIOSI cabine d’artista 2, a cura di Giacomo Guidi (Sporting Beach Club, Roma) [G.R.]
Guido Strazza
Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922; vive e lavora a Roma). Si laurea nel 1946 in Ingegneria civile a Roma. Appassionato di disegno sin dall’infanzia inizia a dipingere negli anni universitari. Appena ventenne, conosce a Roma Filippo Tommaso Marinetti che lo incoraggia ad approfondire il suo rapporto con la pittura, dal maestro impara la storia dell’arte moderna e viene invitato alla Biennale di Venezia del 1942 dove espone un quadro di aeropittura, perduto durante la guerra. Lavora come ingegnere e agrimensore per un lungo periodo tra il Cile, il Brasile e il Perù, negli anni Cinquanta torna in Italia e vive a Venezia e Milano dove conosce Lucio Fontana e partecipa alle tendenze informali. Negli anni Sessanta a Roma si dedica alle tecniche dell’incisione che diventano tecnica e linguaggio essenziale del suo lavoro, partecipando al laboratorio sperimentale e internazionale di stampa e grafica ideato da Maurizio Calvesi insieme a Luca Patella, Antonino Virduzzo e Giulia Napoleone. Insegna nelle Accademie di Belle Arti di L’Aquila e Roma in cui assume il ruolo di direttore dal 1985 al 1988. Strazza dichiara: «Io vedo il mondo come profili di segni, il mio lavoro è il diario di ciò che vedo», afferma così la volontà di catalogazione e invenzione di segni grafici che forniscono una personale visione del mondo. Dal Sud America trae visioni topografiche, dall’Olanda assorbe il paesaggio attraversando una rielaborazione continua di segni alimentata dai suoi viaggi e dalle conoscenze nel mondo dell’arte contemporanea. Dai futuristi impara infatti il dinamismo del segno che si crea mentre lo si realizza, un’idea di realtà in divenire che rimane presente per tutta la sua opera. Per Guido Strazza: «Il segno è un gesto con cui percorro lo spazio in un istante». Le rovine romane di Giovanni Battista Piranesi, studiate attraverso le matrici originali, i pavimenti cosmateschi insieme alla natura con i suoi insetti, gli alberi e la vegetazione costituiscono importanti fonti da cui trarre i segni grafici. Nel 2022 le istituzioni romane, per il centenario della sua nascita, hanno reso omaggio al maestro con una serie di mostre: La Galleria Nazionale e l'Accademia di Belle Arti di Roma realizzano l’antologica Il gesto e il segno; l’Istituto Centrale per la Grafica ospita Strazza/Centro con 40 incisioni e matrici originali degli anni Settanta e Ottanta, il Ministero della Cultura ha presentato il catalogo generale della sua opera grafica. Strazza è anche autore dei saggi Il gesto e il segno, tecnica dell’incisione, pubblicato nel 1979 da Vanni Scheiwiller e Vedere del 1993. [A.R.]
Giulia Manfredi
Giulia Manfredi (Castelfranco Emilia, 1984; vive e lavora a Roma). Nel 2008 consegue il diploma di laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dal 2006 al 2014 vive a Berlino frequentando i corsi presso l’UDK in Comunicazione Visiva e Belle Arti, seguita dall’artista Hito Steyerl, mentre collabora con un collettivo internazionale di artisti. Partecipa a Mediterranea 16, la Biennale ad Ancona del 2013, dal titolo Errors Allowed | Gli errori sono ammessi per la sezione Visioni future. Nel 2022 presenta nello spazio del Gaggenau DesignElementi di Roma la mostra Il giardino dei fuggitivi. Il curatore Sabino Maria Frassà descrive il lavoro dell’artista: «Le sue opere presentano una bellezza ipnotica che si scontra con la materia di cui sono fatte: non solo marmo, ma anche fumo, funghi, bonsai e farfalle. Il suo lavoro risulta così dominato dall’intima complementarità tra caos e ordine, tra la vita e la morte.» Come per l’opera di Giacomo Leopardi, il lavoro di Manfredi è una meditazione sulla fugacità della vita umana e sull’arte come forma e razionalizzazione di un universo intimo. La creazione, per l’artista, ha una valenza catartica, terapeutica e viscerale in cui la bellezza sublima i dubbi e le paure profonde. Uno dei tratti distintivi delle sue opere è la sofisticata sperimentazione materica: una sinergia di motivi e tecniche classiche, unite al design e all’innovazione tecnologica, oltre agli studi botanici che giustificano la presenza di elementi organici integrati nelle opere. La compatibilità con il mondo del design la porta infatti ad esporre al Fuorisalone di Milano del 2018 per Ventura Centrale. Insieme a Pilar Soberon dialoga nella mostra Geometrie organiche, del 2022, creando una conversazione tra la natura, l’architettura di Zaha Hadid e lo spazio espositivo della stazione ferroviaria AV di Afragola, in provincia di Napoli, manifestando una fusione tra architettura, tecnologia e natura in un universale cosmico. L’urgenza della mostra è quella di sensibilizzare sulle tematiche ambientali e sulla responsabilità dell’azione dell’uomo nell’ambiente. Sempre Frassà scrive: «Il lavoro di Giulia Manfredi è un inno alla grandezza della natura e all'ingegno umano, interpretati come manifestazione dell'immensità. L'essere umano con le proprie capacità si può spingere in alto a fare cose mirabili, ma deve accettare che la propria mente non può arrivare a includere l'infinito a cui aspira e di cui fa parte». [A.R.]
Giuseppe Spagnulo
Giuseppe Spagnulo (Grottaglie, 1936 - Milano, 2016) si dedica a una primissima formazione artistica nello studio del padre e poi alla Scuola d’Arte della sua città. Presto si trasferisce a Faenza dove tra il 1952 e il 1958 approfondisce gli studi presso Angelo Biancini all’Istituto della Ceramica, ed entra in contatto con la ricerca di Picasso, che aveva donato le sue opere al Museo delle Ceramiche pochi anni prima. Ha contatti anche con il ceramista francese Albert Diato, e diventa amico di Carlo Zauli e Nanni Valentini, con il quale condivide soprattutto l’interesse materico per la terra.
«È stato Valentini – ricorda Spagnulo- a farmi capire che l’arte è un’avventura stupenda che va vissuta sino in fondo, a darmi il senso profondo dell’uso delle terre».
Tuttavia è l’esperienza milanese che forgia profondamente lo spirito dell’artista: nel 1959 si trasferisce nel capoluogo lombardo per frequentare l’Accademia di Brera, e dedica i primi anni alla ricognizione artistica del territorio, indagando la scia culturale lasciata da Spazialismo, dai Nucleari e dall’“informale caldo”.
A Milano incontra Piero Manzoni e diventa assistente di studio di Lucio Fontana e Arnaldo Pomodoro.
Nel 1965 la prima personale al Salone Annunciata, con le piccole sculture in grès. Qualche anno dopo, si interessa al metallo, e realizza le prime opere pensate per lo spazio urbano, che testimoniano la felice adesione alla protesta del 1968. Gli anni Settanta sono segnati dall’approfondimento dell’aspetto concettuale e performativo dell’arte. A questi anni risalgono i cicli Archeologia e Paesaggi, per la mostra del 1977 al Newport Harbor Art Museum.
Negli anni Ottanta, dopo un viaggio nel Mediterraneo, l’artista torna a occuparsi della terra e delle ceramiche, per poi ripiegare sul tema dei Ferri Spezzati e concentrarsi sulla sfida alla forza di gravità, con i grandi blocchi sospesi.
Grazie ai riconoscimenti ottenuti a livello internazionale, e soprattutto in ambito teutonico, all’inizio degli anni Novanta ottiene la cattedra di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Stoccarda. Nel decennio successivo la sua fama viene riconfermata da numerosi premi e commissioni pubbliche come La Foresta d’Acciaio, collocata nel 2008 all’interno del Parco Schuster di Roma, per il concorso dedicato al Memoriale per i Caduti di Nassiriya. Sempre nei primi anni 2000 Spagnulo espone inoltre alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia con la mostra E Se Venisse un colpo di vento? E l’anno successivo, la XXIV Biennale di Gubbio gli dedica il grande Omaggio a Giuseppe Spagnulo. L’artista si spegne a Milano nel giugno del 2016, all’età di ottanta anni. [G.R.]
Pasquale Santoro
Pasquale “Ninì” Santoro (Ferrandina, Matera 1933- Roma 2022) grande protagonista dell’astrattismo italiano, è stato scultore, pittore incisore e ceramista. Dopo la formazione romana in studi classici e medicina, portata avanti secondo la tradizione di famiglia, appena venticinquenne decide di abbandonare la Capitale per dedicarsi all’arte, e nel 1957 si trasferisce prima a Lione e poi a Parigi, dove frequenta il celebre laboratorio di incisione di Stanley William Hayter,l’Atelier 17, grazie alla borsa di studio al Musées des Tissus. Qui, oltre allo studio delle tecniche incisorie tradizionali, e in particolare alla xilografia, apprende l’originale procedimento di stampa a colori da un’unica matrice. Rientrato in Italia nel 1962, fonda a Roma, insieme a Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Uncini, il Gruppo Uno, impegnato nello studio del superamento del linguaggio informale, attraverso nuove riflessioni sui mezzi tradizionali dell’arte. Sodalizio che tuttavia durerà solo un anno. La prima mostra del Gruppo è presentata alla Galleria Quadrante di Firenze, ed è accompagnata dalla stima e dagli scritti di Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan, già legati all’artista da profonda amicizia. Nel 1962, Santoro è invitato da quest’ultimo alla Biennale di Venezia e nel 1967 realizza per la Galleria Nazionale di Arte Moderna la Foresta pietrificata in acciaio. Negli stessi anni insegna presso l’Istituto Statale d’Arte di Pomezia e di Roma. Sin dagli anni parigini intreccia un rapporto fecondo con la poesia, alla quale si dedica con passione attraverso la pubblicazione di Impressions, un volume con illustrazioni che accompagnano i componimenti di Apollinaire, Baudelaire, Garcia Lorca, Quasimodo e dell’amico Ungaretti, di cui in seguito ha illustrato Il dolore.
Nel 1977-1978 viene chiamato dal direttore Carlo Bertelli a preparare un ciclo di acqueforti per illustrare i Four Quartets di Eliot, e tenere un corso di grafica e incisione presso la Calcografia Nazionale di Roma. Mentre negli anni ’80 ottiene significativi riconoscimenti internazionali. Santoro partecipa a numerose rassegne, tra cui ricordiamo: International Biennial Exhibition of Prints in Tokyo (1964); V Biennale di Parigi (1967); Anni ‘60: al di là della pittura, a cura di Maurizio Calvesi, presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma (1990); Quadriennale Roma (2005); Gli anni ‘60 e ‘70 alla Calcografia, presso l’Istituto nazionale per la grafica (2007); ‘50 -‘60. La Scultura in Italia, mostra a cura della Galleria Nazionale d’arte moderna, presso Villa d’Este a Tivoli (2007).
Nel 2011 riceve il Premio Presidente della Repubblica per la scultura conferitogli da Giorgio Napolitano e nel 2013 riceve la nomina di Accademico di San Luca. L’artista si spegne a Roma nel febbraio del 2022, all’età di 89 anni. [G.R.]
Duale è un incontro serrato tra artisti di differenti generazioni – quattro maestri della storia dell’arte contemporanea e altrettanti giovani artisti italiani – che si fronteggiano in un dialogo profondo tra linguaggi, attitudini, esperienze e percorsi. Nelle sale del piano terra di Palazzo Brancaccio a Roma si riattivano così specifiche ricerche di quattro maestri che hanno, in particolar modo dai Sessanta, contribuito a un rinnovamento delle indagini della scultura e della pittura. Le trasformazioni della materia di Canicola dialogano lealmente con i segni aperti delle grandi superfici pittoriche di Guido Strazza; Alberto Gianfreda con una scultura in grado di misurare i propri stessi confini volumetrici e le trasformazioni della materia si confronta con un maestro come Spagnulo che a questi temi ha dedicato gran parte del suo impegno pionieristico; Giulia Manfredi riflette sulle metamorfosi organiche e lo fa stringendo uno spazio di riflessione con le tele essenziali e sofisticate dipinte da Giulia Napoleone, mentre Andrea Polichetti investiga lo spazio, i suoi stessi perimetri, e lo fa con un protagonista assoluto di area minimalista quale Pasquale (Ninì) Santoro. Merito della mostra è altresì quello di rivelare la grande attualità delle esperienze dei quattro maestri coinvolti, il loro impegno operativo (e teorico, visto che tutti e quattro hanno avuto anche un’ampia esperienza nella didattica dell’arte) e il valore pionieristico delle rispettive indagini.
La mostra è accompagnata da un libro, edito da Contemporary Cluster, curato da Lorenzo Madaro, docente di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti di Brera a Milano, e autore anche del saggio critico dedicato al progetto Duale. Il volume presenterà inoltre le fotografie delle opere in mostra e gli Apparati biografici, espositivi e bibliografici a firma di Angelica Raho e Giulia Russo.
Nicola Ghirardelli
Nicola Ghirardelli, in arte Canicola (Como, 1994; vive e lavora tra Milano e la Toscana). Nel 2020 si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2022 lavora come assistente dell’artista Giulia Cenci per la realizzazione delle opere per la 59. Biennale di Venezia The Milk of Dreams. L’artista attinge dalla storia dell’arte, dall’iconologia e dalla mitologia, si appropria di elementi della memoria collettiva, di simboli dimenticati, “sterili”, portandoli a riemergere nel presente dando loro un nuovo significato. Nascono forme anacronistiche, risonanza di una cosmogonia lontana nel tempo. L’artista lavora con molte materie come la terracotta, la stoffa, l’acciaio ed elementi naturali in una ibridazione di materiali e forme organiche, artificiali e meccaniche realizzate in collaborazione con le maestranze locali. Per la mostra collettiva E ci fa dispetto il tempo, del 2022 ad Arezzo, espone sculture che testimoniano un uso sapiente di tecniche perdute (il bucchero, di origine etrusca) e tecniche moderne (fusione dell’alluminio). Le opere richiamano il romanico grottesco, la mitologia, l’architettura rinascimentale, le forme ibride e ne esplora la sopravvivenza nel tempo. Nel 2021 espone per Instructions to light keepers, curata da Arnold Braho e Stefano De Gregori, dedicata a questi tempi turbolenti e tempestosi. Presenta un lavoro composto da strutture marmoree che appare come l’erosione della memoria collettiva, rappresentata da fregi architettonici, frammenti scultorei di corpi e animali depredati, spazzati via dalla violenza del tempo e riformati da una nuova memoria che si riappropria dello scarto. Nello stesso anno partecipa alla mostra collettiva Ardere ardere ardere ardere, a Verona dove, a partire da una visita al Cimitero Monumentale di Milano, lavora il marmo e frammenti di tessuto compostabile. Nel 2022 partecipa a Poggio Tempesta, una mostra collettiva curata da Caterina Fondelli, a Firenze. L’esposizione si estende nello spazio di un grande parco proponendo un locus amoenus, un'isola ideale per riconnettersi con una parte ancestrale del sé e del mondo, un’occasione, per l’artista, di fondersi con il paesaggio. Nicola Ghirardelli sperimenta e crea secondo un metodo warburghiano, ponendo l’attenzione sulle pathosformel e la sopravvivenza delle immagini. Le sue opere riportano alle parole di Marc Augè, citate nell’ambito della mostra E ci fa dispetto il tempo: «l'arte come le rovine è un invito a sentire il tempo». [A.R.]
Alberto Gianfreda
Alberto Gianfreda (Desio, 1981; vive e lavora a Milano). Nel 2003 si diploma in scultura presso L’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2005 si specializza in Arti e Antropologia del Sacro e completa la sua formazione presso il TAM, sotto la direzione di Nunzio di Stefano. Nello stesso anno ottiene la cattedra di Tecniche per la scultura nel polo accademico milanese. Dopo molti anni dedicati all’insegnamento nelle stesse aule che hanno visto la sua formazione, attualmente insegna ai giovani scultori dell’Accademia di Carrara.
Al centro delle sue riflessioni sin dagli esordi, ci sono l’identità e l’adattamento attivo della materia, che si manifesta attraverso il dialogo tra le caratteristiche intrinseche degli elementi scelti (ceramiche, marmo, legno, ferro, argilla) e le forze esterne volutamente imposte, per mettere alla prova i limiti costitutivi dei materiali, e modificarne la forma originaria. La sua indagine privilegia la dimensione aniconica, ed è dedicata piuttosto alla conoscenza profonda di ciascun supporto e all’equilibrio delle forze tra loro. Nei suoi ultimi lavori, per esempio nella serie dei vasi cinesi dal titolo Nothing as it seems, il contrasto agìto tra il prima e il dopo la metamorfosi dell’oggetto, decostruito e poi riassemblato secondo un nuovo ordine, ruota tutt’intorno alla capacità di adattamento e all’energia sprigionata.
«Quello che mi interessa di questi continui processi di distruzione e ricostruzione – sostiene Gianfreda - è la possibilità di trasformare un evento drammatico in un potenziale positivo che ribalta i valori dell’elemento iniziale».
Nel 2008 partecipa alla collettiva Real Presence a cura di Biljana Tomic e Dobrila De Negri presso la Manica del Castello di Rivoli; nel 2014 prepara Earthquake un’importante personale ospitata all’interno del Museo Canova di Possagno. Tra il 2018 e il 2021 partecipa alle Biennali di Shenzhen e di Jingdezhen, in Cina. Per il 2023 in programma al Museo Nazionale della Slovenia (15 maggio-30 settembre 2023) un’altra grande mostra di respiro internazionale. Sue opere pubbliche permanenti sono esposte a Milano, come Tavola di condivisione presso il Palazzo Lombardia, a Lecco, a Venezia, nella chiesa di San Nicola da Tolentino e al MIC di Faenza.
Nel 2018 si occupa anche dell’ideazione e del coordinamento del progetto di ricerca sperimentale Leggere il territorio con l’arte, in collaborazione con il MAC di Lissone, per definire una metodologia utile a inserire l’arte nei processi di pianificazione urbana. Di recente pubblica: Sculpture Architecture, metodologie incrociate per il territorio e Open Source, mobilita, moltiplicazioni, inserimenti, ricerche volte a individuare strumenti che permettano dialoghi disciplinari per l’impiego della scultura nei processi di pianificazione urbanistica, e gettino un focus inedito sulla funzione pubblica dell’arte. [G.R.]
Giulia Napoleone
Giulia Napoleone (Pescara, 1936; vive e lavora tra la Tuscia e il Ticino). Nel 1957 si trasferisce a Roma dove frequenta i corsi della Scuola libera del Nudo all’Accademia di Belle Arti, imparando le tecniche dell’incisione da Mino Maccari e Lino Bianchi Barriviera, a cui si avvicina anche grazie ai consigli di Giorgio Morandi. Coltiva la passione per il violino, per la fotografia e per i viaggi in tutto il mondo, che hanno contribuito in maniera significativa alla sua ricerca. Ha insegnato al I Liceo Artistico di Roma, all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, alla Calcografia Nazionale di Roma e nelle Università di Tenerife e Aleppo, in Siria. Da giovane inizia dipingendo a olio, utilizza l’acquerello e la china, ma soprattutto l’incisione grafica e impara da Renato Bruscaglia la maniera nera. Inaugura la sua prima mostra personale nel 1963 alla Galleria Numero di Firenze e nel 1965 partecipa al laboratorio sperimentale e internazionale di stampa e grafica ideato da Maurizio Calvesi, direttore della Calcografia Nazionale, a fianco di Luca Patella, Antonino Virduzzo e Guido Strazza. Nel 1967 vince una borsa di studio per specializzarsi nell’incisione presso il Rijksmuseum di Amsterdam. Parlando della sua tecnica l’artista dichiara: «Voglio fare quello che aveva fatto Seurat ma con l’impressione di Burri». Le sue opere disegnano forme molecolari nate dall'osservazione della natura, dell’entomologia, dei muschi e dei licheni. L’influenza del laboratorio di Calvesi e la scoperta del punzone, come strumento per incidere, la porta verso una grammatica dei segni con metodo e precisione, esasperata fino all’astrazione. La carta è da sempre il suo supporto preferito, lavora intorno a porzioni di foglio bianco, “al risparmio”, facendoli diventare momenti di luce pura. Nel 1983 si svolge un’importante rassegna antologica alla Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano, accompagnata da un volume con un testo di Carlo Bertelli, pubblicato da Vanni Scheiwiller. Con l’editore Scheiwiller realizza il libro Non vedo quasi nulla (1978) con due poesie di André du Bouchet, esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi, il primo di un’intensa collaborazione. Dal 2001 si costituisce il primo Fondo Giulia Napoleone al Museo Villa del Cedri di Bellinzona. Collabora con Josef Weiss, tipografo editore e grafico svizzero, dal 2011 dopo una mostra alla Galleria Stellanove di Mendrisio. Nel 2018 la Galleria Nazionale di Roma ripercorre il percorso artistico dell’artista dedicandole un’importante mostra antologica a cura di Giuseppe Appella, suo assiduo compagno di strada. Bruno Corà si occupa di Nero di china, esposizione alla galleria Il Ponte di Firenze nel 2020, che raccoglie tra le opere più rappresentative della produzione dell’artista. Napoleone partecipa a numerose rassegne internazionali tra cui la XI e XII edizione della Quadriennale di Roma, la Triennale di Milano e Il Cairo, Biennali a Cracovia, Lubiana, Seoul, Osaka e Praga. [A.R.]
Andrea Polichetti
Andrea Polichetti (Roma, 1989 dove vive e lavora). Si forma come allestitore per Monitor e altre gallerie, sin quando nel 2013 rifiuta un’importante commissione da parte di un’agenzia di art handling e sceglie di dedicarsi alla produzione negli studi d’artista. Nei magazzini della Fondazione Meo riceve la folgorazione con il lavoro di Salvatore Meo: ne riconosce subito la forza e qualche anno dopo ne porta in scena il lavoro. Nello stesso anno si dedica alla gestione del temporary space Da Franco senza appuntamento, dove organizza una serie di incontri insieme a Niccolò De Napoli, Vasco Forconi e Silvio Saccà. L’iniziativa prende una piega inaspettata e nel 2020 il progetto si amplia con la fondazione di SPAZIOMENSA, un vasto perimetro espositivo di 600 mq all’interno di capannoni abbandonati, fuori dal G.R.A. insieme ad Alessandro Gianni, Marco Eusepi, Dario Carratta, Gaia Bobò e Giuseppe Armogida, Polichetti ha pensato e assemblato una mostra collettiva che potesse essere percepita come uno statement. La sua ricerca attinge all’immaginario archeologico e a quello naturale, passando per le sperimentazioni sui materiali del contemporaneo e articolandosi attraverso diversi linguaggi, tra cui il disegno, la stampa, la cianotipia e la scultura. L’artista si sofferma sul potenziale estetico della rovina, e il suo lavoro riflette sulla caducità del tempo, ponendosi in relazione con l’elemento naturale. Tra le mostre personali si segnala Environments (2021, SPAZIOMENSA) che porta in scena le prime suggestioni ricevute da Meo. Di qualche anno prima Gloria y Amigos (2018, The National Exemplar Gallery, Roma-New York) e A guy and a lady pumped up, Transformer (2018, Washington DC). Tra le mostre collettive del 2022 invece: Roma Pittura Emergente Oggi. A New Generation (21 Gallery, Treviso); Spazio, forma, ritmo. e a Capo, curata da Davide Silvioli (Museo di Anticoli Corrado, Roma); Transformer 20 (Corcoran Museum, Washington DC) e BAGNI MISTERIOSI cabine d’artista 2, a cura di Giacomo Guidi (Sporting Beach Club, Roma) [G.R.]
Guido Strazza
Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922; vive e lavora a Roma). Si laurea nel 1946 in Ingegneria civile a Roma. Appassionato di disegno sin dall’infanzia inizia a dipingere negli anni universitari. Appena ventenne, conosce a Roma Filippo Tommaso Marinetti che lo incoraggia ad approfondire il suo rapporto con la pittura, dal maestro impara la storia dell’arte moderna e viene invitato alla Biennale di Venezia del 1942 dove espone un quadro di aeropittura, perduto durante la guerra. Lavora come ingegnere e agrimensore per un lungo periodo tra il Cile, il Brasile e il Perù, negli anni Cinquanta torna in Italia e vive a Venezia e Milano dove conosce Lucio Fontana e partecipa alle tendenze informali. Negli anni Sessanta a Roma si dedica alle tecniche dell’incisione che diventano tecnica e linguaggio essenziale del suo lavoro, partecipando al laboratorio sperimentale e internazionale di stampa e grafica ideato da Maurizio Calvesi insieme a Luca Patella, Antonino Virduzzo e Giulia Napoleone. Insegna nelle Accademie di Belle Arti di L’Aquila e Roma in cui assume il ruolo di direttore dal 1985 al 1988. Strazza dichiara: «Io vedo il mondo come profili di segni, il mio lavoro è il diario di ciò che vedo», afferma così la volontà di catalogazione e invenzione di segni grafici che forniscono una personale visione del mondo. Dal Sud America trae visioni topografiche, dall’Olanda assorbe il paesaggio attraversando una rielaborazione continua di segni alimentata dai suoi viaggi e dalle conoscenze nel mondo dell’arte contemporanea. Dai futuristi impara infatti il dinamismo del segno che si crea mentre lo si realizza, un’idea di realtà in divenire che rimane presente per tutta la sua opera. Per Guido Strazza: «Il segno è un gesto con cui percorro lo spazio in un istante». Le rovine romane di Giovanni Battista Piranesi, studiate attraverso le matrici originali, i pavimenti cosmateschi insieme alla natura con i suoi insetti, gli alberi e la vegetazione costituiscono importanti fonti da cui trarre i segni grafici. Nel 2022 le istituzioni romane, per il centenario della sua nascita, hanno reso omaggio al maestro con una serie di mostre: La Galleria Nazionale e l'Accademia di Belle Arti di Roma realizzano l’antologica Il gesto e il segno; l’Istituto Centrale per la Grafica ospita Strazza/Centro con 40 incisioni e matrici originali degli anni Settanta e Ottanta, il Ministero della Cultura ha presentato il catalogo generale della sua opera grafica. Strazza è anche autore dei saggi Il gesto e il segno, tecnica dell’incisione, pubblicato nel 1979 da Vanni Scheiwiller e Vedere del 1993. [A.R.]
Giulia Manfredi
Giulia Manfredi (Castelfranco Emilia, 1984; vive e lavora a Roma). Nel 2008 consegue il diploma di laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dal 2006 al 2014 vive a Berlino frequentando i corsi presso l’UDK in Comunicazione Visiva e Belle Arti, seguita dall’artista Hito Steyerl, mentre collabora con un collettivo internazionale di artisti. Partecipa a Mediterranea 16, la Biennale ad Ancona del 2013, dal titolo Errors Allowed | Gli errori sono ammessi per la sezione Visioni future. Nel 2022 presenta nello spazio del Gaggenau DesignElementi di Roma la mostra Il giardino dei fuggitivi. Il curatore Sabino Maria Frassà descrive il lavoro dell’artista: «Le sue opere presentano una bellezza ipnotica che si scontra con la materia di cui sono fatte: non solo marmo, ma anche fumo, funghi, bonsai e farfalle. Il suo lavoro risulta così dominato dall’intima complementarità tra caos e ordine, tra la vita e la morte.» Come per l’opera di Giacomo Leopardi, il lavoro di Manfredi è una meditazione sulla fugacità della vita umana e sull’arte come forma e razionalizzazione di un universo intimo. La creazione, per l’artista, ha una valenza catartica, terapeutica e viscerale in cui la bellezza sublima i dubbi e le paure profonde. Uno dei tratti distintivi delle sue opere è la sofisticata sperimentazione materica: una sinergia di motivi e tecniche classiche, unite al design e all’innovazione tecnologica, oltre agli studi botanici che giustificano la presenza di elementi organici integrati nelle opere. La compatibilità con il mondo del design la porta infatti ad esporre al Fuorisalone di Milano del 2018 per Ventura Centrale. Insieme a Pilar Soberon dialoga nella mostra Geometrie organiche, del 2022, creando una conversazione tra la natura, l’architettura di Zaha Hadid e lo spazio espositivo della stazione ferroviaria AV di Afragola, in provincia di Napoli, manifestando una fusione tra architettura, tecnologia e natura in un universale cosmico. L’urgenza della mostra è quella di sensibilizzare sulle tematiche ambientali e sulla responsabilità dell’azione dell’uomo nell’ambiente. Sempre Frassà scrive: «Il lavoro di Giulia Manfredi è un inno alla grandezza della natura e all'ingegno umano, interpretati come manifestazione dell'immensità. L'essere umano con le proprie capacità si può spingere in alto a fare cose mirabili, ma deve accettare che la propria mente non può arrivare a includere l'infinito a cui aspira e di cui fa parte». [A.R.]
Giuseppe Spagnulo
Giuseppe Spagnulo (Grottaglie, 1936 - Milano, 2016) si dedica a una primissima formazione artistica nello studio del padre e poi alla Scuola d’Arte della sua città. Presto si trasferisce a Faenza dove tra il 1952 e il 1958 approfondisce gli studi presso Angelo Biancini all’Istituto della Ceramica, ed entra in contatto con la ricerca di Picasso, che aveva donato le sue opere al Museo delle Ceramiche pochi anni prima. Ha contatti anche con il ceramista francese Albert Diato, e diventa amico di Carlo Zauli e Nanni Valentini, con il quale condivide soprattutto l’interesse materico per la terra.
«È stato Valentini – ricorda Spagnulo- a farmi capire che l’arte è un’avventura stupenda che va vissuta sino in fondo, a darmi il senso profondo dell’uso delle terre».
Tuttavia è l’esperienza milanese che forgia profondamente lo spirito dell’artista: nel 1959 si trasferisce nel capoluogo lombardo per frequentare l’Accademia di Brera, e dedica i primi anni alla ricognizione artistica del territorio, indagando la scia culturale lasciata da Spazialismo, dai Nucleari e dall’“informale caldo”.
A Milano incontra Piero Manzoni e diventa assistente di studio di Lucio Fontana e Arnaldo Pomodoro.
Nel 1965 la prima personale al Salone Annunciata, con le piccole sculture in grès. Qualche anno dopo, si interessa al metallo, e realizza le prime opere pensate per lo spazio urbano, che testimoniano la felice adesione alla protesta del 1968. Gli anni Settanta sono segnati dall’approfondimento dell’aspetto concettuale e performativo dell’arte. A questi anni risalgono i cicli Archeologia e Paesaggi, per la mostra del 1977 al Newport Harbor Art Museum.
Negli anni Ottanta, dopo un viaggio nel Mediterraneo, l’artista torna a occuparsi della terra e delle ceramiche, per poi ripiegare sul tema dei Ferri Spezzati e concentrarsi sulla sfida alla forza di gravità, con i grandi blocchi sospesi.
Grazie ai riconoscimenti ottenuti a livello internazionale, e soprattutto in ambito teutonico, all’inizio degli anni Novanta ottiene la cattedra di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Stoccarda. Nel decennio successivo la sua fama viene riconfermata da numerosi premi e commissioni pubbliche come La Foresta d’Acciaio, collocata nel 2008 all’interno del Parco Schuster di Roma, per il concorso dedicato al Memoriale per i Caduti di Nassiriya. Sempre nei primi anni 2000 Spagnulo espone inoltre alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia con la mostra E Se Venisse un colpo di vento? E l’anno successivo, la XXIV Biennale di Gubbio gli dedica il grande Omaggio a Giuseppe Spagnulo. L’artista si spegne a Milano nel giugno del 2016, all’età di ottanta anni. [G.R.]
Pasquale Santoro
Pasquale “Ninì” Santoro (Ferrandina, Matera 1933- Roma 2022) grande protagonista dell’astrattismo italiano, è stato scultore, pittore incisore e ceramista. Dopo la formazione romana in studi classici e medicina, portata avanti secondo la tradizione di famiglia, appena venticinquenne decide di abbandonare la Capitale per dedicarsi all’arte, e nel 1957 si trasferisce prima a Lione e poi a Parigi, dove frequenta il celebre laboratorio di incisione di Stanley William Hayter,l’Atelier 17, grazie alla borsa di studio al Musées des Tissus. Qui, oltre allo studio delle tecniche incisorie tradizionali, e in particolare alla xilografia, apprende l’originale procedimento di stampa a colori da un’unica matrice. Rientrato in Italia nel 1962, fonda a Roma, insieme a Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Uncini, il Gruppo Uno, impegnato nello studio del superamento del linguaggio informale, attraverso nuove riflessioni sui mezzi tradizionali dell’arte. Sodalizio che tuttavia durerà solo un anno. La prima mostra del Gruppo è presentata alla Galleria Quadrante di Firenze, ed è accompagnata dalla stima e dagli scritti di Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan, già legati all’artista da profonda amicizia. Nel 1962, Santoro è invitato da quest’ultimo alla Biennale di Venezia e nel 1967 realizza per la Galleria Nazionale di Arte Moderna la Foresta pietrificata in acciaio. Negli stessi anni insegna presso l’Istituto Statale d’Arte di Pomezia e di Roma. Sin dagli anni parigini intreccia un rapporto fecondo con la poesia, alla quale si dedica con passione attraverso la pubblicazione di Impressions, un volume con illustrazioni che accompagnano i componimenti di Apollinaire, Baudelaire, Garcia Lorca, Quasimodo e dell’amico Ungaretti, di cui in seguito ha illustrato Il dolore.
Nel 1977-1978 viene chiamato dal direttore Carlo Bertelli a preparare un ciclo di acqueforti per illustrare i Four Quartets di Eliot, e tenere un corso di grafica e incisione presso la Calcografia Nazionale di Roma. Mentre negli anni ’80 ottiene significativi riconoscimenti internazionali. Santoro partecipa a numerose rassegne, tra cui ricordiamo: International Biennial Exhibition of Prints in Tokyo (1964); V Biennale di Parigi (1967); Anni ‘60: al di là della pittura, a cura di Maurizio Calvesi, presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma (1990); Quadriennale Roma (2005); Gli anni ‘60 e ‘70 alla Calcografia, presso l’Istituto nazionale per la grafica (2007); ‘50 -‘60. La Scultura in Italia, mostra a cura della Galleria Nazionale d’arte moderna, presso Villa d’Este a Tivoli (2007).
Nel 2011 riceve il Premio Presidente della Repubblica per la scultura conferitogli da Giorgio Napolitano e nel 2013 riceve la nomina di Accademico di San Luca. L’artista si spegne a Roma nel febbraio del 2022, all’età di 89 anni. [G.R.]
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