DON MCCULLIN. Fotografie della guerra e della pace, 1958/2011
Don McCullin, Un marine americano traumatizzato dai bombardamenti, Hue 1968
Dal 12 Maggio 2012 al 15 Luglio 2012
Reggio nell'Emilia | Reggio Emilia
Luogo: Palazzo Magnani
Indirizzo: corso Garibaldi 29
Orari: 10- 23; dal 22 maggio al 24 giugno 10- 13/ 15.30-19; dal 26 giugno al 15 luglio 16- 23; lunedì chiuso
Curatori: Sandro Parmiggiani, Robert Pledge
Enti promotori:
- Fondazione Palazzo Magnani
- Contact Press Images
Costo del biglietto: intero € 7; ridotto € 5; studenti € 4
Telefono per informazioni: +39 0522 454437
E-Mail info: info@palazzomagnani.it
Sito ufficiale: http://www.palazzomagnani.it
A Palazzo Magnani, dall’11 maggio al 15 luglio, la mostra Don McCullin. La pace impossibile. Dalle fotografie di guerra ai paesaggi 1958-2011 racconta il Novecento del nostro pianeta visto con gli occhi di questo straordinario testimone del tempo.
Quello proposto da Sandro Parmiggiani e Robert Pledge, curatori dell’esposizione, è un percorso di enorme potenza espressiva, lungo 160 immagini - fotografie rigorosamente in bianco e nero, tutte stampate personalmente da McCullin - scattate in alcuni dei teatri in cui McCullin ha volontariamente scelto di essere presente.
Nella mostra di Palazzo Magnani scorrono sotto i nostri occhi conflitti aspri e sanguinosi e apocalissi umanitarie: la costruzione del muro di Berlino (1961); il conflitto tra Greci e Turco-Ciprioti a Cipro (1964); la guerra in Congo, nello stesso anno; la lunga guerra del Vietnam, culminata nella terribile offensiva del Têt (1965-68); la guerra civile e la carestia in Biafra (1968-69); la guerra nella Cambogia dei Khmer Rossi (1970-75); la guerra civile in Irlanda del Nord (1971); il colera nel Bangladesh (1971); la feroce guerra tra milizie cristiane e palestinesi in Libano, fino ai massacri di Sabra e Shatila (1982); i lebbrosi e i poveri dell’India (1995-97); le vittime dell’Aids e della tubercolosi nell’Africa meridionale (2000). In mostra sono presenti inoltre le fotografie che scavano nel volto e nelle contraddizioni della società inglese – le gang e i teddy-boys; i senza-tetto e i disoccupati; i nobili alle corse dei cavalli di Ascot – e varie immagini degli ultimi due decenni, alcune delle quali inedite, presentate per la prima volta: le nature morte, altari votivi che lui stesso mette in scena nella sua casa; i paesaggi nelle campagne che la circondano, fotografati sempre e solo di notte e d’inverno; le rovine della gloria di Roma, cui s’è appassionato grazie alla frequentazione di Bruce Chatwin; i popoli primitivi che tuttora abitano il pianeta e che, pur brandendo un fucile mitragliatore, restano ancora dentro l’abisso del tempo.
Le immagini di McCullin sfidano la nostra indifferenza e passività, sia per la loro drammaticità e forza di impatto – in ogni fotografia il nero e l’ombra sono sempre in agguato, cingendo d’assedio la luce –, sia per la perenne capacità di compassione, anche nelle vicende più estreme, per le persone e per la dignità propria di ogni essere umano.
Nato a Londra nel 1935, McCullin ha avuto un’infanzia e un’adolescenza durissime, presto sradicato dalla famiglia, a causa della guerra, dal 1939 al 1945 – “come tutta la mia generazione a Londra”, scrive nella sua autobiografia, Unreasonable Behaviour, “sono un prodotto di Hitler. Sono nato negli anni Trenta e sono stato bombardato negli anni Quaranta”. Nel 1950, alla morte del padre, abbandona la scuola e svolge diversi lavori, fino al servizio militare nella RAF (Royal Air Force) nel 1955 – opera nelle sezioni fotografiche e acquista la sua prima macchina fotografica, una Rolleicord 4, che un paio d’anni dopo viene da lui data in pegno, e poi riscattata dalla madre; con questo apparecchio svolge, nel 1958, il primo servizio fotografico su una gang londinese, pubblicato da The Observer, e inizia a lavorare come fotogiornalista freelance. Quando, nel 1961, inizia la costruzione del muro a Berlino, McCullin immediatamente vi si reca, nonostante non abbia ricevuto alcun incarico da nessun giornale. Al ritorno, quelle immagini vengono immediatamente pubblicate dall’“Observer” e McCullin vince il British Press Photography Award. Inizia la sua carriera di fotoreporter, vende la Rolleicord e compra un Pentax SLR 35 mm, e inizia a documentare le vicende sociali e civili nel suo Paese e le crisi internazionali che si susseguiranno – dai massacri nel Congo nel 1964, fino all’invasione dell’Iraq nel 2003 e al dramma dei rifugiati nel Darfur nel 2007. Tra il ’66 e il 1984 è inviato de The Sunday Times nelle zone calde del pianeta e i suoi reportages ottengono importanti riconoscimenti (il World Press Photo nel 1964 per il lavoro sulla guerra a Cipro, la Warsaw Gold Medal e molti altri sino al Cornel Capa Award del 2006).
A partire dagli anni Novanta, tuttavia, McCullin, abbandona progressivamente il mestiere di fotoreporter, segnato dalla terribile esperienza della guerra e degli orrori cui ha assistito, e si dedica a fotografie di natura morta e di paesaggio, pur continuando a tracciare un impietoso ritratto dell’Inghilterra sino ai nostri giorni.
McCullin deve la sua vita ad una Nikon che, in zona calda fermò il proiettile che gli era stato indirizzato.
La mostra, a cura di Sandro Parmiggiani e Robert Pledge, è promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia in collaborazione con Contact Press Images, con la partecipazione della Provincia di Reggio Emilia e della Fondazione Pietro e con il contributo di CCPL, Landi Renzo spa, Check-up Service, Neacar Mercedes-Benz, Unicredit Banca e Italcuscinetti spa, nell’ambito di Fotografia Europea 2012.
L'esposizione di Don McCullin a Palazzo Magnani, che s’inaugura venerdì 11 maggio alle ore 19, alla presenza del fotografo, resterà aperta fino a domenica 15 luglio. Sabato 12 maggio, alle ore 19, avrà luogo, nell’Aula Magna dell’Università di Reggio Emilia (via Allegri 9, Reggio Emilia) una conversazione tra McCullin, Sandro Parmiggiani e Robert Pledge.
Nel catalogo della mostra, oltre a 180 immagini del fotografo, ai testi dei curatori e a un’intervista di Parmiggiani a McCullin, vengono pubblicati i saggi più significativi che nel tempo alcuni grandi autori (John Le Carré, Susan Sontag, John Berger, Guido Ceronetti, Ferdinando Scianna, Mark Holborn, Jean-Francis Held, Harold Evans, Jean Hatzfeld, Giorgia Fiorio, Francis Hodgson, Philip Caputo) gli hanno dedicato.
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