Vita Activa
Dal 11 Luglio 2014 al 12 Settembre 2014
Pescara
Luogo: Palazzetto Albanese
Indirizzo: via Nicola Fabrizi 186
Orari: da martedì a domenica 17-22
Costo del biglietto: ingresso gratuito
E-Mail info: info@vitaactiva.it
Sito ufficiale: http://www.vitaactiva.it
La mostra si propone di affrontare una delle questioni più urgenti della contemporaneità, che tocca in maniera drammatica soprattutto il nostro paese: quella del lavoro . Di questo tema, che ha avuto a lungo ci ttadinanza nella storia dell’arte, sarà offerta una visione che emerge dalla produzione artistica più recente, con un panorama ad ampio ventaglio che abbraccia l’intero arco delle arti visive, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video, dall’in stallazione al design . Benché si tratti di uno dei problemi più presenti all’interno del dibattito pubblico e tra le priorità dell’agenda politica, l’argomento del lavoro è rimasto piuttosto ai margini del campo espositivo, almeno recentemente in Italia. Q uesta mostra si propone di riportarlo al centro dell’attenzione. Allo scopo saranno convocate alcune tra le voci principali della scena internazionale e nazionale, senza dimenticare una speciale attenzione nei confronti del territorio.
Quella del lavoro è una tematica complessa che può essere avvicinata a partire da molteplici prospettive. La mostra opta per un’angolatura filosofica, proponendosi d’indagare l’essenza del tema in esame. A guidare questa interrogazione è soprattutto il pensiero di Hannah Are ndt. La questione del lavoro è affrontata dalla filosofa tedesca in particolare in The Human Condition (1958), dov’è collocata nella più ampia sfera della vita a ctiva . L’autrice distingue due accezioni del lavoro: quella legata allo sviluppo biologico dell ’essere umano – icasticamente riassunta nell’espressione animal laborans – e quella propria dell’ homo faber , creatore del mondo artificiale dei manufatti . A più di cinquant’anni di distanza queste riflessioni non hanno perso di attualità, e si dimostrano u no strumento ancora utile per leggere il nostro presente. Senza assumerle in maniera dicotomica, le categorie arendtiane sono impiegate in questa occasione come cornice teorica nella quale s’inquadra la mostra, e fanno da guida ideale per le opere presenta te.
Una prima dichiarazione d’intenti è ravvisabile nella sede espositiva prescelta: un negozio dismesso al centro della città di Pescara. La decisione è caduta su questo luogo in prima istanza per il suo legame con il mondo del lavoro, e poi per il suo va lore simbolico: un’epitome della crisi economica che da anni attanaglia il nostro paese, e produce i suoi riflessi cupi nel campo dell’occupazione. Lungi da qualsiasi intento di completezza, la mostra vuole presentare al pubblico la varietà di approcci att raverso i quali l’arte contemporanea ha guardato al tema del lavoro. I cambiamenti che tanto la prima quanto il secondo hanno subito nel corso del XX secolo hanno prodotto un panorama assai variegato. Per un verso sembra proseguire quella linea di stampo r ealista che ha segnato l’ingresso della questione del lavoro nella modernità, alla metà del XIX secolo. A richiamare idealmente questa origine, la mostra ha il suo incipit con un’opera di Teofilo Patini, campione di questa tendenza. La sua presenza serve a nche a stabilire una connessione diretta con il territorio nel quale l’esposizione ha luogo. Questo indirizzo realista continua ininterrotto anche nel corso del secondo Novecento, quando la pittura e soprattutto la fotografia rivolgono la loro attenzione a lla rappresentazione dell’attività lavorativa, della figura del lavoratore e del luogo di lavoro, in particolare relativamente al mondo industriale. Un tale orientamento guida ad esempio l’opera fotografica di Armin Linke, che dalla sua incessante pratica di viaggiatore ha costruito un vero e proprio archivio dell’essere umano, che tra i vari aspetti include anche il lavoro.
Un’altra modalità, forse prevalente, attraverso cui si dipana la relazione tra lavoro e arte contemporanea interessa il piano della strumentalità. In questo caso il lavoro diventa un complesso di strutture e di rapporti da impiegare nell’opera d’arte. Nella seconda metà del XX secolo numerosi autori hanno optato per la partecipazione diretta all’interno dei processi produttivi, assecon dando quel processo di allargamento delle frontiere dell’arte che arriva a includere virtualmente qualsiasi oggetto o ambito dell’esperienza umana. Artisti come Joseph Beuys e Gianfranco Baruchello hanno ad esempio condotto nel dominio dell’estetica pratic he fino ad allora rimaste escluse come l’agricoltura o la produzione aziendale. Anche una figura poliedrica come quella di Bruno Munari testimonia di un impegno che dall’arte passa senza soluzione di continuità al design, alla grafica, all’editoria. Posiz ioni come queste appaiono storicamente determinanti per gli sviluppi delle pratiche artistiche nel corso dell’ultimo ventennio. Il fiorire di nuovi linguaggi come l’Estetica relazionale, teorizzata da Nicolas Bourriaud, ha prodotto una nuova attenzione n ei confronti del lavoro: n umerosi autori sono intervenuti in varie forme all’interno dei contesti lavorativi più diversi. Una delle riflessioni più acute sul tema in esame si deve a Liam Gillick, la cui opera si muove nel campo della produzione artistica cos ì come della riflessione teorica. L’autore è tornato più volte sull’argomento, riferendolo in particolare alla professione dell’artista nel contesto dell’economia neoliberista. Una ricognizione in materia di lavoro non può prescindere dal contributo di Sa ntiago Sierra, l’artista che negli ultimi anni forse più di tutti si è interrogato sul problema. Nella visione spietata dell’autore spagnolo «il lavoro è la vendita del tempo, dell’intelligenza e della forza del lavoratore a favore della parte contrattante in cambio di una remunerazione». Con la sua opera egli cerca quindi di mettere a nudo i meccanismi di sfruttamento nell’economia capitalistica: «Le persone sono gli oggetti dello Stato del Capitale, e per questo sono pagate. Questo è ciò che voglio mostra re».
Il video ha rappresentato uno dei media preferiti da parte degli autori contemporanei per affrontare la questione del lavoro. Adottando la logica dell’archivio, il filmaker Harun Farocki indaga la rappresentazione di questo soggetto in campo cinemato grafico. Nell’ambito di un programma promosso dalla Siemens, l’a rtista cinese Cao Fei ha sviluppato un progetto nella fabbrica di lampadine Osram ( nel distretto ind ustriale del Pearl Delta River ) , coinvolgendo gli operai in un esercizio d’immaginazione di possibilità alternative. La mostra dedica la propria attenzione anche al territorio nel quale si svolge: due fra le voci più significative provenienti dall’Abruzzo – Matteo Fato e Paride Petrei – sono state scelte per svolgere un periodo di residenza pres so un’azienda; a conclusione di questa esperienza a contatto diretto con il mondo del lavoro, gli artisti hanno realizzato un’opera che sarà presentata in mostra. Quale accompagnamento all’esposizione è previsto un calendario di attività collaterali che interessa no i campi più diversi: filosofia, letteratura, musica, teatro, cinema . L’intento è quello di coinvolgere un pubblico più ampio, cui offrire una visione quanto più vasta e sfaccettata del tema in esame.
Artisti:
Gianfranco Baruchello, Joseph Beu ys, Cao Fei, Harun Farocki, Matteo Fato, Liam Gillick, Armin Linke, Bruno Munari, Teofilo Patini, Paride Petrei, Santiago Sierra.
Quella del lavoro è una tematica complessa che può essere avvicinata a partire da molteplici prospettive. La mostra opta per un’angolatura filosofica, proponendosi d’indagare l’essenza del tema in esame. A guidare questa interrogazione è soprattutto il pensiero di Hannah Are ndt. La questione del lavoro è affrontata dalla filosofa tedesca in particolare in The Human Condition (1958), dov’è collocata nella più ampia sfera della vita a ctiva . L’autrice distingue due accezioni del lavoro: quella legata allo sviluppo biologico dell ’essere umano – icasticamente riassunta nell’espressione animal laborans – e quella propria dell’ homo faber , creatore del mondo artificiale dei manufatti . A più di cinquant’anni di distanza queste riflessioni non hanno perso di attualità, e si dimostrano u no strumento ancora utile per leggere il nostro presente. Senza assumerle in maniera dicotomica, le categorie arendtiane sono impiegate in questa occasione come cornice teorica nella quale s’inquadra la mostra, e fanno da guida ideale per le opere presenta te.
Una prima dichiarazione d’intenti è ravvisabile nella sede espositiva prescelta: un negozio dismesso al centro della città di Pescara. La decisione è caduta su questo luogo in prima istanza per il suo legame con il mondo del lavoro, e poi per il suo va lore simbolico: un’epitome della crisi economica che da anni attanaglia il nostro paese, e produce i suoi riflessi cupi nel campo dell’occupazione. Lungi da qualsiasi intento di completezza, la mostra vuole presentare al pubblico la varietà di approcci att raverso i quali l’arte contemporanea ha guardato al tema del lavoro. I cambiamenti che tanto la prima quanto il secondo hanno subito nel corso del XX secolo hanno prodotto un panorama assai variegato. Per un verso sembra proseguire quella linea di stampo r ealista che ha segnato l’ingresso della questione del lavoro nella modernità, alla metà del XIX secolo. A richiamare idealmente questa origine, la mostra ha il suo incipit con un’opera di Teofilo Patini, campione di questa tendenza. La sua presenza serve a nche a stabilire una connessione diretta con il territorio nel quale l’esposizione ha luogo. Questo indirizzo realista continua ininterrotto anche nel corso del secondo Novecento, quando la pittura e soprattutto la fotografia rivolgono la loro attenzione a lla rappresentazione dell’attività lavorativa, della figura del lavoratore e del luogo di lavoro, in particolare relativamente al mondo industriale. Un tale orientamento guida ad esempio l’opera fotografica di Armin Linke, che dalla sua incessante pratica di viaggiatore ha costruito un vero e proprio archivio dell’essere umano, che tra i vari aspetti include anche il lavoro.
Un’altra modalità, forse prevalente, attraverso cui si dipana la relazione tra lavoro e arte contemporanea interessa il piano della strumentalità. In questo caso il lavoro diventa un complesso di strutture e di rapporti da impiegare nell’opera d’arte. Nella seconda metà del XX secolo numerosi autori hanno optato per la partecipazione diretta all’interno dei processi produttivi, assecon dando quel processo di allargamento delle frontiere dell’arte che arriva a includere virtualmente qualsiasi oggetto o ambito dell’esperienza umana. Artisti come Joseph Beuys e Gianfranco Baruchello hanno ad esempio condotto nel dominio dell’estetica pratic he fino ad allora rimaste escluse come l’agricoltura o la produzione aziendale. Anche una figura poliedrica come quella di Bruno Munari testimonia di un impegno che dall’arte passa senza soluzione di continuità al design, alla grafica, all’editoria. Posiz ioni come queste appaiono storicamente determinanti per gli sviluppi delle pratiche artistiche nel corso dell’ultimo ventennio. Il fiorire di nuovi linguaggi come l’Estetica relazionale, teorizzata da Nicolas Bourriaud, ha prodotto una nuova attenzione n ei confronti del lavoro: n umerosi autori sono intervenuti in varie forme all’interno dei contesti lavorativi più diversi. Una delle riflessioni più acute sul tema in esame si deve a Liam Gillick, la cui opera si muove nel campo della produzione artistica cos ì come della riflessione teorica. L’autore è tornato più volte sull’argomento, riferendolo in particolare alla professione dell’artista nel contesto dell’economia neoliberista. Una ricognizione in materia di lavoro non può prescindere dal contributo di Sa ntiago Sierra, l’artista che negli ultimi anni forse più di tutti si è interrogato sul problema. Nella visione spietata dell’autore spagnolo «il lavoro è la vendita del tempo, dell’intelligenza e della forza del lavoratore a favore della parte contrattante in cambio di una remunerazione». Con la sua opera egli cerca quindi di mettere a nudo i meccanismi di sfruttamento nell’economia capitalistica: «Le persone sono gli oggetti dello Stato del Capitale, e per questo sono pagate. Questo è ciò che voglio mostra re».
Il video ha rappresentato uno dei media preferiti da parte degli autori contemporanei per affrontare la questione del lavoro. Adottando la logica dell’archivio, il filmaker Harun Farocki indaga la rappresentazione di questo soggetto in campo cinemato grafico. Nell’ambito di un programma promosso dalla Siemens, l’a rtista cinese Cao Fei ha sviluppato un progetto nella fabbrica di lampadine Osram ( nel distretto ind ustriale del Pearl Delta River ) , coinvolgendo gli operai in un esercizio d’immaginazione di possibilità alternative. La mostra dedica la propria attenzione anche al territorio nel quale si svolge: due fra le voci più significative provenienti dall’Abruzzo – Matteo Fato e Paride Petrei – sono state scelte per svolgere un periodo di residenza pres so un’azienda; a conclusione di questa esperienza a contatto diretto con il mondo del lavoro, gli artisti hanno realizzato un’opera che sarà presentata in mostra. Quale accompagnamento all’esposizione è previsto un calendario di attività collaterali che interessa no i campi più diversi: filosofia, letteratura, musica, teatro, cinema . L’intento è quello di coinvolgere un pubblico più ampio, cui offrire una visione quanto più vasta e sfaccettata del tema in esame.
Artisti:
Gianfranco Baruchello, Joseph Beu ys, Cao Fei, Harun Farocki, Matteo Fato, Liam Gillick, Armin Linke, Bruno Munari, Teofilo Patini, Paride Petrei, Santiago Sierra.
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