Dorothea Lange
Dal 14 Dicembre 2024 al 23 Marzo 2025
Perugia
Luogo: Palazzo della Penna – Centro per le arti contemporanee
Indirizzo: Via Prospero Podiani 11
Sito ufficiale: http://www.camera.to
Dal 14 dicembre 2024 al 23 marzo 2025 la città di Perugia ospiterà presso Palazzo della Penna - Centro per le arti contemporanee la mostra “Dorothea Lange” organizzata dal Comune di Perugia in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino e con il gestore dei servizi per il pubblico e le attività di valorizzazione del circuito museale comunale, Le Macchine Celibi soc. Coop.
Fortemente voluta dalla Sindaca, Vittoria Ferdinandi, e dall’Assessore alla Cultura, Marco Pierini, la mostra è un primo tassello nel processo di evoluzione del profilo di Palazzo della Penna da Museo civico a “Centro per le Arti Contemporanee”, in linea con la politica culturale della nuova Giunta per la quale Palazzo della Penna, pur mantenendo la configurazione ormai consolidata di un contenitore con plurime funzionalità ha ora la necessità di qualificarsi con più ferma convinzione come luogo della “contemporaneità”, come ritrovata fucina in cui poter incoraggiare lo sviluppo di una riflessione e di una ricerca transdisciplinari, che spazino tra le varie forme dell’espressione artistica contemporanea: dalle Arti visive alla Letteratura, dalla Musica al Teatro, dalla Fotografia alle Nuove Tecnologie.
Si parte dunque con un focus su Dorothea Lange, autrice di Migrant Mother (1936) - una delle fotografie più celebri del secolo scorso - e protagonista indiscussa della fotografia documentaria del Novecento.
Curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, la mostra si compone di oltre 130 scatti che raccontano dieci anni di lavoro fondamentali nel percorso di questa straordinaria autrice. Il percorso espositivo si concentra sugli anni Trenta e Quaranta, periodo nel quale documenta gli eventi epocali che hanno modificato l’assetto economico e sociale degli Stati Uniti.
All’inizio degli anni Trenta, la visione di una folla che aspetta per ottenere un po’ di cibo e del lavoro, convince Dorothea Lange a uscire dal suo studio per dedicarsi interamente alla documentazione dell’attualità: così la fotografa abbandona il mestiere di ritrattista per diventare la narratrice delle conseguenze della crisi economica successiva al crollo di Wall Street.
Nel 1935 parte per un lungo viaggio con l’economista Paul S. Taylor, che sposerà alcuni anni dopo, per raccontare le drammatiche condizioni di vita in cui versano i lavoratori del settore agricolo delle aree centrali del Paese, colpito dal 1931 al 1939 circa da una dura siccità. Il fenomeno delle Dust Bowl, ripetute tempeste di sabbia, rende impossibile la vita di migliaia di famiglie costringendole a migrare, come racconta anche John Steinbeck nel romanzo Furore del 1939, seguito nel 1940 dal film di John Ford ispirato anche dalle fotografie di Lange.
Il lavoro documentario della fotografa fa parte del programma governativo di documentazione Farm Security Administration, nato con lo scopo di promuovere le politiche del New Deal, e permette a Lange di sperimentare e di raccontare al suo Paese e al mondo i luoghi e i volti di una tragedia della povertà. Dalle piantagioni di piselli della California a quelle di cotone degli Stati del Sud, dove la segregazione razziale porta a forme di sfruttamento ancor più degradanti, Lange realizza migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti riportati nelle dettagliate didascalie che le accompagnano. È in questo contesto che realizza Migrant Mother, il ritratto iconico di una giovane madre disperata che vive con i sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.
Questo lavoro termina con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che per gli Stati Uniti comincia nel 1941, con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor; proprio alla popolazione americana di origine giapponese è dedicato il secondo grande ciclo di immagini esposto in mostra: dopo la dichiarazione di guerra, infatti, il governo americano decide di internare in campi di prigionia la comunità nativa giapponese negli Stati Uniti, assumendo vari fotografi per documentare l’accaduto.
Anche in questo caso Lange lavora su incarico del governo, nonostante lei e il marito abbiano espresso pubblicamente il proprio dissenso. I suoi scatti documentano l’assurdità di una legge razziale e discriminatoria e di come questa abbia stravolto la vita di migliaia di persone ben inserite nella società, costringendole ad abbandonare le proprie case e le proprie attività. Lange, eccelsa ritrattista, riesce ancora una volta a raccontare il vissuto emotivo delle persone che incontra, sottolineando come le scelte politiche e le condizioni ambientali si ripercuotano sulla vita dei singoli.
Crisi climatica, migrazioni, discriminazioni: a quasi un secolo dalla realizzazione di queste immagini, i temi trattati da Dorothea Lange sono di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento.
“È con grande emozione che inauguriamo oggi quella che rappresenta la prima mostra promossa dalla nostra amministrazione – ha detto la sindaca Vittoria Ferdinandi alla presentazione -. Ringrazio l’assessore Pierini per averci regalato l’opera straordinaria di Dorothea Lange, un’icona della fotografia che ha saputo catturare e raccontare la realtà di un’epoca difficile attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica. Le immagini esposte non sono semplicemente istantanee di vita quotidiana, ma veri e propri racconti umani che parlano di speranza, dignità e resilienza. Il lavoro di Lange trascende il mero reportage; riesce a cogliere l’umanità dei suoi soggetti, a trasmettere emozioni che vanno oltre le parole. Le sue fotografie diventano un potente veicolo di comunicazione, capaci di farci riflettere sulle sfide e sulle speranze di chi vive situazioni di vulnerabilità. La nobiltà che traspare dai volti degli adulti e la profondità degli sguardi dei bambini ci parlano di un’umanità autentica, di un desiderio di riscatto che è universale e senza tempo. In un periodo in cui ci troviamo a fronteggiare sfide globali e locali, la mostra di oggi ci ricorda l'importanza di ascoltare le storie degli altri, di comprendere le esperienze di chi ci circonda e di non dimenticare mai il valore della solidarietà e dell’inclusione”.
“Palazzo della Penna – ha detto il vicesindaco con delega alla cultura Marco Pierini - riafferma con forza la sua vocazione di polo dell’arte contemporanea aprendo le porte alla produzione di una figura di assoluto spicco nella storia della fotografia a livello mondiale. Colei che è considerata la madre della fotografia sociale americana, con stile unico ed emozionante, ci porta nel cuore dei risvolti socio-economici della Grande Depressione, a contatto con drammi e miserie umane trattati sempre con empatia e sincerità attraverso immagini diventate simbolo di un’epoca. La serie realizzata a metà degli anni Trenta sull’emigrazione dei lavoratori dell’agricoltura californiani, in particolare, rappresenta un corpus straordinario in grado di documentare con efficacia fatti e condizioni e di fissare, allo stesso tempo, moti dell’animo che parlano ancora oggi alla nostra coscienza. Crediamo che questa iniziativa possa contribuire a posizionare al meglio il capoluogo umbro nel panorama italiano delle grandi mostre.
“Siamo onorati di contribuire alla ripartenza di uno spazio con potenzialità enormi come Palazzo della Penna attraverso la collaborazione con l’amministrazione perugina – ha commentato il segretario generale di Camera, Carlo Spinelli -. La nostra Fondazione è nata dieci anni fa con una precisa missione: la divulgazione e la promozione dell’arte fotografica, anche nella particolare accezione della educazione all’immagine. Un’attività che siamo felici di proporre anche in questo territorio. A tal fine, prossimamente sarà pubblicizzato un programma di incontri finalizzati ad approfondire i contenuti di attualità che la mostra porta con sé”.
“La sfida è stata uscire dal tracciato più classico andando anche oltre immagini iconiche come Migrant Mother - ha ricordato la curatrice Monica Poggi -. Ci siamo concentrati su dieci anni particolarmente intensi in cui Lange ha lavorato per il governo Usa allo scopo di documentare le condizioni dei migranti della grande crisi economica e ambientale. Il messaggio che l’autrice ci consegna, ad ogni modo, non è solo drammatico, ma testimonia come la fotografia possa innescare cambiamenti sociali concreti. Un aspetto di cui rimanere consapevoli”.
Fortemente voluta dalla Sindaca, Vittoria Ferdinandi, e dall’Assessore alla Cultura, Marco Pierini, la mostra è un primo tassello nel processo di evoluzione del profilo di Palazzo della Penna da Museo civico a “Centro per le Arti Contemporanee”, in linea con la politica culturale della nuova Giunta per la quale Palazzo della Penna, pur mantenendo la configurazione ormai consolidata di un contenitore con plurime funzionalità ha ora la necessità di qualificarsi con più ferma convinzione come luogo della “contemporaneità”, come ritrovata fucina in cui poter incoraggiare lo sviluppo di una riflessione e di una ricerca transdisciplinari, che spazino tra le varie forme dell’espressione artistica contemporanea: dalle Arti visive alla Letteratura, dalla Musica al Teatro, dalla Fotografia alle Nuove Tecnologie.
Si parte dunque con un focus su Dorothea Lange, autrice di Migrant Mother (1936) - una delle fotografie più celebri del secolo scorso - e protagonista indiscussa della fotografia documentaria del Novecento.
Curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, la mostra si compone di oltre 130 scatti che raccontano dieci anni di lavoro fondamentali nel percorso di questa straordinaria autrice. Il percorso espositivo si concentra sugli anni Trenta e Quaranta, periodo nel quale documenta gli eventi epocali che hanno modificato l’assetto economico e sociale degli Stati Uniti.
All’inizio degli anni Trenta, la visione di una folla che aspetta per ottenere un po’ di cibo e del lavoro, convince Dorothea Lange a uscire dal suo studio per dedicarsi interamente alla documentazione dell’attualità: così la fotografa abbandona il mestiere di ritrattista per diventare la narratrice delle conseguenze della crisi economica successiva al crollo di Wall Street.
Nel 1935 parte per un lungo viaggio con l’economista Paul S. Taylor, che sposerà alcuni anni dopo, per raccontare le drammatiche condizioni di vita in cui versano i lavoratori del settore agricolo delle aree centrali del Paese, colpito dal 1931 al 1939 circa da una dura siccità. Il fenomeno delle Dust Bowl, ripetute tempeste di sabbia, rende impossibile la vita di migliaia di famiglie costringendole a migrare, come racconta anche John Steinbeck nel romanzo Furore del 1939, seguito nel 1940 dal film di John Ford ispirato anche dalle fotografie di Lange.
Il lavoro documentario della fotografa fa parte del programma governativo di documentazione Farm Security Administration, nato con lo scopo di promuovere le politiche del New Deal, e permette a Lange di sperimentare e di raccontare al suo Paese e al mondo i luoghi e i volti di una tragedia della povertà. Dalle piantagioni di piselli della California a quelle di cotone degli Stati del Sud, dove la segregazione razziale porta a forme di sfruttamento ancor più degradanti, Lange realizza migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti riportati nelle dettagliate didascalie che le accompagnano. È in questo contesto che realizza Migrant Mother, il ritratto iconico di una giovane madre disperata che vive con i sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.
Questo lavoro termina con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che per gli Stati Uniti comincia nel 1941, con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor; proprio alla popolazione americana di origine giapponese è dedicato il secondo grande ciclo di immagini esposto in mostra: dopo la dichiarazione di guerra, infatti, il governo americano decide di internare in campi di prigionia la comunità nativa giapponese negli Stati Uniti, assumendo vari fotografi per documentare l’accaduto.
Anche in questo caso Lange lavora su incarico del governo, nonostante lei e il marito abbiano espresso pubblicamente il proprio dissenso. I suoi scatti documentano l’assurdità di una legge razziale e discriminatoria e di come questa abbia stravolto la vita di migliaia di persone ben inserite nella società, costringendole ad abbandonare le proprie case e le proprie attività. Lange, eccelsa ritrattista, riesce ancora una volta a raccontare il vissuto emotivo delle persone che incontra, sottolineando come le scelte politiche e le condizioni ambientali si ripercuotano sulla vita dei singoli.
Crisi climatica, migrazioni, discriminazioni: a quasi un secolo dalla realizzazione di queste immagini, i temi trattati da Dorothea Lange sono di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento.
“È con grande emozione che inauguriamo oggi quella che rappresenta la prima mostra promossa dalla nostra amministrazione – ha detto la sindaca Vittoria Ferdinandi alla presentazione -. Ringrazio l’assessore Pierini per averci regalato l’opera straordinaria di Dorothea Lange, un’icona della fotografia che ha saputo catturare e raccontare la realtà di un’epoca difficile attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica. Le immagini esposte non sono semplicemente istantanee di vita quotidiana, ma veri e propri racconti umani che parlano di speranza, dignità e resilienza. Il lavoro di Lange trascende il mero reportage; riesce a cogliere l’umanità dei suoi soggetti, a trasmettere emozioni che vanno oltre le parole. Le sue fotografie diventano un potente veicolo di comunicazione, capaci di farci riflettere sulle sfide e sulle speranze di chi vive situazioni di vulnerabilità. La nobiltà che traspare dai volti degli adulti e la profondità degli sguardi dei bambini ci parlano di un’umanità autentica, di un desiderio di riscatto che è universale e senza tempo. In un periodo in cui ci troviamo a fronteggiare sfide globali e locali, la mostra di oggi ci ricorda l'importanza di ascoltare le storie degli altri, di comprendere le esperienze di chi ci circonda e di non dimenticare mai il valore della solidarietà e dell’inclusione”.
“Palazzo della Penna – ha detto il vicesindaco con delega alla cultura Marco Pierini - riafferma con forza la sua vocazione di polo dell’arte contemporanea aprendo le porte alla produzione di una figura di assoluto spicco nella storia della fotografia a livello mondiale. Colei che è considerata la madre della fotografia sociale americana, con stile unico ed emozionante, ci porta nel cuore dei risvolti socio-economici della Grande Depressione, a contatto con drammi e miserie umane trattati sempre con empatia e sincerità attraverso immagini diventate simbolo di un’epoca. La serie realizzata a metà degli anni Trenta sull’emigrazione dei lavoratori dell’agricoltura californiani, in particolare, rappresenta un corpus straordinario in grado di documentare con efficacia fatti e condizioni e di fissare, allo stesso tempo, moti dell’animo che parlano ancora oggi alla nostra coscienza. Crediamo che questa iniziativa possa contribuire a posizionare al meglio il capoluogo umbro nel panorama italiano delle grandi mostre.
“Siamo onorati di contribuire alla ripartenza di uno spazio con potenzialità enormi come Palazzo della Penna attraverso la collaborazione con l’amministrazione perugina – ha commentato il segretario generale di Camera, Carlo Spinelli -. La nostra Fondazione è nata dieci anni fa con una precisa missione: la divulgazione e la promozione dell’arte fotografica, anche nella particolare accezione della educazione all’immagine. Un’attività che siamo felici di proporre anche in questo territorio. A tal fine, prossimamente sarà pubblicizzato un programma di incontri finalizzati ad approfondire i contenuti di attualità che la mostra porta con sé”.
“La sfida è stata uscire dal tracciato più classico andando anche oltre immagini iconiche come Migrant Mother - ha ricordato la curatrice Monica Poggi -. Ci siamo concentrati su dieci anni particolarmente intensi in cui Lange ha lavorato per il governo Usa allo scopo di documentare le condizioni dei migranti della grande crisi economica e ambientale. Il messaggio che l’autrice ci consegna, ad ogni modo, non è solo drammatico, ma testimonia come la fotografia possa innescare cambiamenti sociali concreti. Un aspetto di cui rimanere consapevoli”.
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