Occhi di bottega. Immagini del commercio pavese tra passato e presente
Dal 26 Novembre 2015 al 13 Dicembre 2015
Pavia
Luogo: Spazio per le arti contemporanee del Broletto
Indirizzo: piazza della Vittoria
Orari: da martedì a venerdì 16-19; sabato e domenica 10-13 / 16-19
Enti promotori:
- Settore Cultura - Comune di Pavia
- Con il sostegno di UBI Banca Popolare Commercio e Industria
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Un viaggio per immagini tra i negozi di Pavia, quelli di un passato lontano e quelli che caratterizzano la città oggi, per comprendere come la società sia cambiata e continui a modellarsi con gli anni, il tramonto di alcune professioni e l’insorgere di nuovi bisogni e nuovi miti. È la storia che raccontano le fotografie protagoniste di Occhi di bottega. Immagini del commercio pavese tra passato e presente, la mostra che inaugura giovedì 26 novembre 2015 (ore 18) nello Spazio per le arti contemporanee del Broletto di Pavia, e che è accompagnata da un corposo catalogo (Pime editrice), originale strenna natalizia.
Occhi di bottega è il suggestivo titolo di questa mostra e del catalogo che la accompagna, e nasce dalla citazione di un documento di fine ‘700, quando il nobile Giovanni Alessandro Brambilla chiese al suo consulente architetto di progettare per lui – sul principale corso cittadino – un palazzo al cui piano terreno si aprissero degli “occhi di bottega”, declinando in forme precocemente neoclassiche il lontano prototipo del fronte della perduta casa Caprini a Roma, detta anche di Raffaello, ideato da Donato Bramante all’inizio del Cinquecento. Da allora i negozi con le loro insegne, vetrine, allestimenti merceologici hanno contribuito a connotare il volto urbano, trasformandosi sull’onda della imperante esigenza di modernizzazione. Le foto esposte qui in mostra, sia quelle di un passato più lontano (dal fondo Nazzari e Chiolini) sia quelle più recenti (realizzate da Pavia Fotografia), sono importanti per documentare e mostrare al pubblico le diverse fasi del cambiamento della città, dichiara Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia.
Esposti fino al 13 dicembre 2015 sono alcuni scatti provenienti dal Fondo Nazzari (donato ai Musei Civici del Castello Visconteo nel 1999 da Lucio Sollazzi) e dall’Archivio Chiolini (acquisito dal Comune di Pavia nel 2009 grazie al contributo della Fondazione Cariplo), testimoni della trasformazione di Pavia dagli ultimi decenni del XIX secolo sino alla fine degli anni sessanta del Novecento, che dialogano con le immagini scattate in questo 2015 dai fotografi dell’Associazione Culturale Pavia Fotografia (attiva sul territorio dal 1988), frutto di un laboratorio tenuto sull’evoluzione della realtà commerciale cittadina di negozi, botteghe, farmacie, mercati, ritrovi pubblici, caffè, hotel e ristoranti.
Una realtà che, conforme al “villaggio globale” teorizzato dal sociologo canadese Marshall McLuhan, si adatta al mondo globalizzato e omologato di oggi, in cui le distanze si accorciano e le culture si mischiano e si incrociano. C’è chi resiste, come qualche storico esercizio commerciale, e chi cede il passo alla moda del mordi e fuggi, alla novità sempre in agguato, e si apre anche a ciò che altro, a culture differenti e all’apparenza distanti dalla nostra.
I fotografi dell’Associazione Pavia Fotografia che hanno partecipato al laboratorio sul commercio pavese sono: Alberto Salzano, Alessandro Bernardi, Antonio Manidi, Barbara Pinca, Danilo Semenza, Davide Massacra, Giuseppe Intruglio, Lorena Cesari, Renzo Garzaro, Salvatore Messina, Stefano Montagna, Tiziano Rampini e Uberto Zaga.
Se le immagini dell’Associazione Pavia Fotografia si concentrano sulla realtà attuale, l’obiettivo fotografico dei fratelli Nazzari fissa i più suggestivi angoli della città tra ‘800 e ‘900: aperture di bottega, insegne di negozi, particolari di mostre e impannate, talvolta elementi sullo sfondo di altri soggetti quali cortei e parate ufficiali, più raramente protagonisti dello scatto. Non solo luoghi fisici, come le belle immagini della piazza grande con il mercato delle bancarelle e la pulsante attività di vendita e scambi che anima i portici secondo una consuetudine che risale addirittura al medioevo, ma anche persone, figure tradizionali come la Becia Ninin, la popolana che stazionava con il suo carretto ricolmo di povere masserizie.
Accanto, contributo prezioso e incisivo della Pavia degli ultimi anni del regime e del secondo dopoguerra, sono le immagini scattate da Guglielmo Chiolini che immortala artisticamente i nuovi negozi, con una cifra estetica improntata al razionalismo e al gusto per le inquadrature geometriche, con spiccata predilezione per il nitido design di vetrine, insegne essenziali e ordinati allestimenti di merci. Le fotografie di Chiolini mostrano la società pavese che cambia e l’affermazione di una concezione diversa del ruolo femminile: al posto di ombrellai e drogherie subentrano negozi di articoli per dattilografia, a quelli di pizzi e ricami le nuove macchine da cucire Necchi e Singer, alle zoccolerie le finissime calzature in pelle, alle macchine agricole le prime concessionarie di autovetture Peugeot e Fiat, alle modiste i venditori di guaine e corsetti, alle chincaglierie e utensili in rame i negozi di apparecchi radiofonici e dischi in vinile. Tra le immagini più incisive e curiose ci sono quella della vetrina post-futurista, alla Depero, dei materiali plastici Pirelli, quella della dimostrazione dei lavaggi con polvere detersiva Omo, e ancora l’allestimento surrealista, alla Dalì, dei busti di Sollazzi (foto di Giuliano Carraro).
Non mancano saltuari e rapidi sconfinamenti a caccia di locali e botteghe nella prima periferia – come la trattoria di San Lanfranco, ancora circondata dalla campagna o l’automobile-réclam della Cinzano in viale Necchi – e la celebrazione dei nuovi luoghi del ritrovo mondano – dal bar Binotti di piazzale Minerva alla Cremeria sul LungoTicino, dal cinema Politeama al dancing Corsino Park nel giardino di palazzo Vistarino –.
Un altro aspetto assai interessante del commercio pavese documentato dall’obiettivo di Chiolini è quello dei concorsi fotografici “Arte in vetrina”, che con cadenza periodica venivano lanciati in città e che nel 1959 avevano conosciuto un rilievo nazionale in abbinamento al Premio Bottigella della Camera di Commercio.
Il segnale più evidente e tangibile della volontà di imprimere una svolta radicale al commercio pavese – scrive Susana Zatti nel catalogo di presentazione alla mostra – e di connotare diversamente il centro cittadino è la decisone di nascondere le bancarelle di frutta e verdura che storicamente occupavano la piazza grande, e di costruire un mercato ipogeo, realizzato tra il 1957 e il 1960. La scomparsa delle colorate tende che avevano sino ad allora animato la piazza – e la comparsa, al loro posto, delle automobili in transito e in sosta –, e la demolizione di buona parte dei prospetti delle case e dei portici all’intorno per poter scavare “il tombone” (come il mercato ipogeo veniva definito dai detrattori) avevano definitivamente segnato l’avvio di una nuova fase della vita sociale ed economica di Pavia, segnata da un lato dall’avvento dei supermercati (il Vigorelli, tra i primi) e delle catene di merchandising, dall’altro dalla ricerca di un centro commerciale urbano diffuso, dove piazze e strade storicamente caratterizzate dalla presenza di negozi, attività artigianali, caffè e ristoranti costituiscono un efficace sistema di offerta integrata.
Occhi di bottega è il suggestivo titolo di questa mostra e del catalogo che la accompagna, e nasce dalla citazione di un documento di fine ‘700, quando il nobile Giovanni Alessandro Brambilla chiese al suo consulente architetto di progettare per lui – sul principale corso cittadino – un palazzo al cui piano terreno si aprissero degli “occhi di bottega”, declinando in forme precocemente neoclassiche il lontano prototipo del fronte della perduta casa Caprini a Roma, detta anche di Raffaello, ideato da Donato Bramante all’inizio del Cinquecento. Da allora i negozi con le loro insegne, vetrine, allestimenti merceologici hanno contribuito a connotare il volto urbano, trasformandosi sull’onda della imperante esigenza di modernizzazione. Le foto esposte qui in mostra, sia quelle di un passato più lontano (dal fondo Nazzari e Chiolini) sia quelle più recenti (realizzate da Pavia Fotografia), sono importanti per documentare e mostrare al pubblico le diverse fasi del cambiamento della città, dichiara Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia.
Esposti fino al 13 dicembre 2015 sono alcuni scatti provenienti dal Fondo Nazzari (donato ai Musei Civici del Castello Visconteo nel 1999 da Lucio Sollazzi) e dall’Archivio Chiolini (acquisito dal Comune di Pavia nel 2009 grazie al contributo della Fondazione Cariplo), testimoni della trasformazione di Pavia dagli ultimi decenni del XIX secolo sino alla fine degli anni sessanta del Novecento, che dialogano con le immagini scattate in questo 2015 dai fotografi dell’Associazione Culturale Pavia Fotografia (attiva sul territorio dal 1988), frutto di un laboratorio tenuto sull’evoluzione della realtà commerciale cittadina di negozi, botteghe, farmacie, mercati, ritrovi pubblici, caffè, hotel e ristoranti.
Una realtà che, conforme al “villaggio globale” teorizzato dal sociologo canadese Marshall McLuhan, si adatta al mondo globalizzato e omologato di oggi, in cui le distanze si accorciano e le culture si mischiano e si incrociano. C’è chi resiste, come qualche storico esercizio commerciale, e chi cede il passo alla moda del mordi e fuggi, alla novità sempre in agguato, e si apre anche a ciò che altro, a culture differenti e all’apparenza distanti dalla nostra.
I fotografi dell’Associazione Pavia Fotografia che hanno partecipato al laboratorio sul commercio pavese sono: Alberto Salzano, Alessandro Bernardi, Antonio Manidi, Barbara Pinca, Danilo Semenza, Davide Massacra, Giuseppe Intruglio, Lorena Cesari, Renzo Garzaro, Salvatore Messina, Stefano Montagna, Tiziano Rampini e Uberto Zaga.
Se le immagini dell’Associazione Pavia Fotografia si concentrano sulla realtà attuale, l’obiettivo fotografico dei fratelli Nazzari fissa i più suggestivi angoli della città tra ‘800 e ‘900: aperture di bottega, insegne di negozi, particolari di mostre e impannate, talvolta elementi sullo sfondo di altri soggetti quali cortei e parate ufficiali, più raramente protagonisti dello scatto. Non solo luoghi fisici, come le belle immagini della piazza grande con il mercato delle bancarelle e la pulsante attività di vendita e scambi che anima i portici secondo una consuetudine che risale addirittura al medioevo, ma anche persone, figure tradizionali come la Becia Ninin, la popolana che stazionava con il suo carretto ricolmo di povere masserizie.
Accanto, contributo prezioso e incisivo della Pavia degli ultimi anni del regime e del secondo dopoguerra, sono le immagini scattate da Guglielmo Chiolini che immortala artisticamente i nuovi negozi, con una cifra estetica improntata al razionalismo e al gusto per le inquadrature geometriche, con spiccata predilezione per il nitido design di vetrine, insegne essenziali e ordinati allestimenti di merci. Le fotografie di Chiolini mostrano la società pavese che cambia e l’affermazione di una concezione diversa del ruolo femminile: al posto di ombrellai e drogherie subentrano negozi di articoli per dattilografia, a quelli di pizzi e ricami le nuove macchine da cucire Necchi e Singer, alle zoccolerie le finissime calzature in pelle, alle macchine agricole le prime concessionarie di autovetture Peugeot e Fiat, alle modiste i venditori di guaine e corsetti, alle chincaglierie e utensili in rame i negozi di apparecchi radiofonici e dischi in vinile. Tra le immagini più incisive e curiose ci sono quella della vetrina post-futurista, alla Depero, dei materiali plastici Pirelli, quella della dimostrazione dei lavaggi con polvere detersiva Omo, e ancora l’allestimento surrealista, alla Dalì, dei busti di Sollazzi (foto di Giuliano Carraro).
Non mancano saltuari e rapidi sconfinamenti a caccia di locali e botteghe nella prima periferia – come la trattoria di San Lanfranco, ancora circondata dalla campagna o l’automobile-réclam della Cinzano in viale Necchi – e la celebrazione dei nuovi luoghi del ritrovo mondano – dal bar Binotti di piazzale Minerva alla Cremeria sul LungoTicino, dal cinema Politeama al dancing Corsino Park nel giardino di palazzo Vistarino –.
Un altro aspetto assai interessante del commercio pavese documentato dall’obiettivo di Chiolini è quello dei concorsi fotografici “Arte in vetrina”, che con cadenza periodica venivano lanciati in città e che nel 1959 avevano conosciuto un rilievo nazionale in abbinamento al Premio Bottigella della Camera di Commercio.
Il segnale più evidente e tangibile della volontà di imprimere una svolta radicale al commercio pavese – scrive Susana Zatti nel catalogo di presentazione alla mostra – e di connotare diversamente il centro cittadino è la decisone di nascondere le bancarelle di frutta e verdura che storicamente occupavano la piazza grande, e di costruire un mercato ipogeo, realizzato tra il 1957 e il 1960. La scomparsa delle colorate tende che avevano sino ad allora animato la piazza – e la comparsa, al loro posto, delle automobili in transito e in sosta –, e la demolizione di buona parte dei prospetti delle case e dei portici all’intorno per poter scavare “il tombone” (come il mercato ipogeo veniva definito dai detrattori) avevano definitivamente segnato l’avvio di una nuova fase della vita sociale ed economica di Pavia, segnata da un lato dall’avvento dei supermercati (il Vigorelli, tra i primi) e delle catene di merchandising, dall’altro dalla ricerca di un centro commerciale urbano diffuso, dove piazze e strade storicamente caratterizzate dalla presenza di negozi, attività artigianali, caffè e ristoranti costituiscono un efficace sistema di offerta integrata.
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