Carnevale in cucina. Opere su carta di Tomaso Buzzi
Dal 12 Settembre 2015 al 27 Settembre 2015
Pavia
Luogo: Spazio per le arti contemporanee del Broletto
Indirizzo: piazza della Vittoria
Orari: da martedì a venerdì ore 17-20; sabato e domenica 10:30-12:30; 17-20
Enti promotori:
- Comune di Pavia - Settore Cultura
- Pavia Musei
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0382.399424
E-Mail info: chiara.argenteri@comune.pv.it
Fantasie di cuochi, di diverse nazionalità, forme e colori, silhouette appena accennate che volteggiano (anche a testa in giù) tra pentole e piatti; capita di vederli soli sulla scena, molto più spesso si trovano in compagnia di altri cuochi, in quella che appare una vera “carnevalata di cuochi”.
Organizzata da Giorgio Forni, Direttore della Fondazione Sartirana Arte, in collaborazione con il Settore Cultura del Comune di Pavia, Carnevale in cucina. Opere su carta di Tomaso Buzzi inaugura sabato 12 settembre 2015, ore 18, nello Spazio per le arti contemporanee del Broletto – 2, e presenta fino al 27 settembre 2015 un’accurata selezione di chine e carboncini di Tomaso Buzzi (Sondrio 1900 – Rapallo 1981), artista riservato e geniale, carismatico ed eclettico, tra i più grandi architetti italiani del ventesimo secolo.
Accanto alla carriera, ben più nota, di architetto, Buzzi possedeva anche una particolare predisposizione al disegno: schizzi, matite, acquerelli, chine, carboncini. Con un segno vibrante, nervoso, inquieto fissava di tutto sulla carta, le città più care e le architetture, i cieli, le nature morte, ma anche nudi femminili, ritratti, e poi angeli, strumenti musicali, spaventapasseri, maschere giapponesi, lottatori di sumo e gli amati cuochi, che tanto lo attraevano. Nei disegni ci sono le sue passioni, gli interessi, le manie, le idee, quanto gli rimane impresso negli occhi. Buzzi usava la matita per preservare i ricordi dall’inceneritore istantaneo della memoria, e dipingeva a due mani (sinistra e destra in contemporanea) su qualsiasi superficie: carta da pacco, fogli lucidi e da disegno, papiri… Cancellava e ridisegnava, utilizzava entrambi i lati e spesso corredava gli schizzi con appunti, scritti, pensieri, lampi di genio per futuri sviluppi. I miei disegni vogliono rappresentare la presenza umana dell’individuo o della folla, in mezzo alle architetture, scriveva Buzzi, che nel discorso assai spesso e con estrema facilità ricorreva al’illustrazione grafica.
Le “fantasie di cuochi” esposte in mostra, appartenenti alla Fondazione Sartirana Arte, presentano personaggi molto amati da Buzzi, inventati e ritratti fin dai primi anni trenta del novecento, quando con Giò Ponti illustrò il volume La cucina elegante, ovvero il Quattrova illustrato, pubblicato per le edizioni Domus nel 1931.
È possibile distinguere all’interno del corpus buzziano dedicato ai “cuochetti” un vasto gruppo elaborato nel 1951 in occasione di una famosa festa a Palazzo Labia a Venezia, evento memorabile – scrive lo storico dell’arte Paolo Campiglio – di cui rimangono anche numerose testimonianze grafiche degli ambienti del palazzo con gli invitati in differenti momenti della serata, da cui l’artista prese ispirazione per inventare schizzi a matita e pastello, o solo a matita, che rievocano il ballo dei cuochi sulle pentole, le schermaglie, la vestizione del cuoco, la “Lustraio nigra” o la matricola del cuoco, il re dei cuochi, il castigo del cuochetto (fustigato come un Cristo alla colonna), con una fantasia inesauribile. Nei disegni appare evidente, come costante, la visione scenografica, quasi da palcoscenico della scena d’invenzione, influenza di un approccio illustrativo.
Appena successivi, risalenti all’aprile 1954, sono altri schizzi ritratti a biro rossa o inchiostro verde che sembrano riprendere dal vero i cuochi di Tokyo, città di cui l’architetto fissa anche alcune vedute paesaggistiche ad acquarello. La successiva serie, datata 26 settembre 1965, raccoglie sei disegni con una numerazione autografa da 30 a 36. Qui in una tecnica a semplice inchiostro su carta, prendono forma, quasi appunti visivi dal segno secco – continua Campiglio –, marcato, graffiante, le scene della “Lezione sugli strumenti di cucina”, “L’albero della cuccagna dei cuochetti”, “L’altalena”, le iniziazioni e i battesimi dei cuochi, temi particolarmente cari alla sensibilità dell’architetto. E a questa si aggiungono altri diciotto schizzi dove appare più evidente il taglio non bozzettistico ma piuttosto vignettistico e illustrativo: In questo insieme caratterizzato da due o tre figure isolate in uno spazio senza architettura, traspare uno stile armonioso, tra il fiabesco e l’onirico in cui ritornano le scene salienti in una sintesi che allude, pur nella distanza temporale, alle figurette tipiche degli anni trenta, tra Giò Ponti e Gigiotti Zanini.
La satira fantastica dei cuochi sarà ripresa da Buzzi in un’ulteriore raccolta di sei schizzi, datati 18 settembre 1972 ed eseguiti dal vero al famoso ristorante Cipriani di Torcello, in occasione del pranzo nuziale delle famiglie Guglielmi-Lancellotti. È chiara qui l’intonazione realista, accentuata dalla tecnica dell’inchiostro acquarellato, che lascia trapelare gesti reali e concreti di cuochi al lavoro dietro i fornelli.
Buzzi, Nervi Ponti, tre grandi figure dell’architettura italiana del novecento, valtellinesi d’origine e protagonisti, eclettici e creativi, non solo di un processo di rinnovamento tecnico e formale della loro disciplina, ma anche di quella articolazione della cultura del progetto che chiamiamo design. Buzzi e Ponti in particolare poi furono straordinari inventori di nuovi filoni delle arti decorative: si pensi soltanto al ruolo di Buzzi alla direzione artistica della Venini nei primi ani 30.
Raffinato dandy, Buzzi era rigoroso selezionatore di una committenza privata di altissimo livello: i Volpi di Misurata, i Cini, gli Agnelli, i Necchi, i Visconti di Modrone, i Pirelli, la crema della nobiltà e dell’imprenditoria italiana. Con una scelta snob e coraggiosa di distacco dal regime e persino da Ponti, Buzzi proseguiva la sua strada da solo, armato solo del piacere e della ricerca curiosa dell’ignoto, del viaggio, dell’esplorazione, del sogno. Frenetico e magnifico grafico, era onnivoro divoratore di immagini e creatore di fantasie visionarie e divertite, di interi cicli di opere: dai “cuochetti” agli “angeli veneziani”, ai “progetti utopici” che diedero vita a quel lucido delirio strutturato che divenne il complesso di edifici alla “Scarzuola” di Montegabbione, scrive Giorgio Forni, Direttore della Fondazione Sartirana Arte.
Tomaso Buzzi (Sondrio 1900 – Rapallo 1981), artista riservato e geniale, carismatico ed eclettico, è tra i più grandi architetti italiani del ventesimo secolo. Protagonista della scena meneghina degli anni Venti e Trenta del Novecento, Buzzi comincia accanto a Giò Ponti. Insieme fondano la storica rivista Domus, e insieme firmano alcuni dei progetti più noti. Arrivano persino a creare (con Paolo Venini, della storica Venini di Murano, di cui Buzzi era direttore artistico) una società per commercializzare le loro opere di design. A quel tempo, il giovane Buzzi, famosissimo e riverito ovunque, università inclusa, è ordinario di Disegno dal Vero al Politecnico di Milano. La sua fama non si oscura con la guerra, anzi. Nel dopoguerra è Ponti a elemosinare le attenzioni di Buzzi, che invece lo allontana rimproverandogli un eccesso di compromessi col regime fascista. Nel frattempo Buzzi, ormai ritenuto l’architetto che nessun potente italiano può farsi mancare, è chiamato per i suoi lavori da tutta la nobiltà romana, da intellettuali, ecclesiastici e politici. Progetta Palazzo Marcoli a Roma e, sempre nella capitale, il Teatro della Cometa. Realizza molte ville (tra cui Pacelli a Forte dei Marmi, Nasi Agnelli a Cap-Ferrat, Necchi a Nervi, Matarazzo a San Paolo in Brasile), restaura e ristruttura edifici storici (tra cui il castello di San Michele di Pagana e quello di Paraggi, la rocca di Spilimbergo, la chiesa della Salute e l’Arsenale a Venezia, il palazzo del Duca d’Alba a Madrid e molte opere del Palladio). Non scrive più sulle riviste specializzate dei suoi colleghi che rimprovera di accademismo, ma solo su Vogue e Harper’s Bazaar. Tomaso Buzzi è sulla cresta dell’onda.
Poi, nel 1956 compra un convento, ridotto a rudere, nei pressi di Orvieto: la Scarzuola. Deciso a trasformarlo in una sorta di “autobiografia in pietra” della sua carriera di artista, comincia a lavorare freneticamente al progetto della sua città ideale, la Buzzinda. Si trasferisce a vivere lì e passa gran parte del tempo in cantiere, con gli artigiani del luogo. Interpreta per loro i suoi schizzi realizzati a due mani (disegnava e correggeva con la destra e la sinistra contemporaneamente), e vede nascere un percorso in cui verde, acqua, fuoco, terra, vita e morte, divini e mortali si integrano. Una summa onirica e coinvolgente di tutto il sapere architettonico, ma anche filosofico, storico e sapienziale. Buzzi lavora alla Scarzuola sino al 1976. Nel frattempo, sgomento, l’establishment culturale e accademico lo emargina immediatamente per le sue stramberie. A costoro, che gli chiedono come un architetto così serio e importante possa lasciarsi andare a certe cose, Buzzi risponde “Quando sono con voi sono vestito, e in cravatta; quando sono qui, alla Scarzuola, sono nudo e questo non potete sopportarlo”.
Organizzata da Giorgio Forni, Direttore della Fondazione Sartirana Arte, in collaborazione con il Settore Cultura del Comune di Pavia, Carnevale in cucina. Opere su carta di Tomaso Buzzi inaugura sabato 12 settembre 2015, ore 18, nello Spazio per le arti contemporanee del Broletto – 2, e presenta fino al 27 settembre 2015 un’accurata selezione di chine e carboncini di Tomaso Buzzi (Sondrio 1900 – Rapallo 1981), artista riservato e geniale, carismatico ed eclettico, tra i più grandi architetti italiani del ventesimo secolo.
Accanto alla carriera, ben più nota, di architetto, Buzzi possedeva anche una particolare predisposizione al disegno: schizzi, matite, acquerelli, chine, carboncini. Con un segno vibrante, nervoso, inquieto fissava di tutto sulla carta, le città più care e le architetture, i cieli, le nature morte, ma anche nudi femminili, ritratti, e poi angeli, strumenti musicali, spaventapasseri, maschere giapponesi, lottatori di sumo e gli amati cuochi, che tanto lo attraevano. Nei disegni ci sono le sue passioni, gli interessi, le manie, le idee, quanto gli rimane impresso negli occhi. Buzzi usava la matita per preservare i ricordi dall’inceneritore istantaneo della memoria, e dipingeva a due mani (sinistra e destra in contemporanea) su qualsiasi superficie: carta da pacco, fogli lucidi e da disegno, papiri… Cancellava e ridisegnava, utilizzava entrambi i lati e spesso corredava gli schizzi con appunti, scritti, pensieri, lampi di genio per futuri sviluppi. I miei disegni vogliono rappresentare la presenza umana dell’individuo o della folla, in mezzo alle architetture, scriveva Buzzi, che nel discorso assai spesso e con estrema facilità ricorreva al’illustrazione grafica.
Le “fantasie di cuochi” esposte in mostra, appartenenti alla Fondazione Sartirana Arte, presentano personaggi molto amati da Buzzi, inventati e ritratti fin dai primi anni trenta del novecento, quando con Giò Ponti illustrò il volume La cucina elegante, ovvero il Quattrova illustrato, pubblicato per le edizioni Domus nel 1931.
È possibile distinguere all’interno del corpus buzziano dedicato ai “cuochetti” un vasto gruppo elaborato nel 1951 in occasione di una famosa festa a Palazzo Labia a Venezia, evento memorabile – scrive lo storico dell’arte Paolo Campiglio – di cui rimangono anche numerose testimonianze grafiche degli ambienti del palazzo con gli invitati in differenti momenti della serata, da cui l’artista prese ispirazione per inventare schizzi a matita e pastello, o solo a matita, che rievocano il ballo dei cuochi sulle pentole, le schermaglie, la vestizione del cuoco, la “Lustraio nigra” o la matricola del cuoco, il re dei cuochi, il castigo del cuochetto (fustigato come un Cristo alla colonna), con una fantasia inesauribile. Nei disegni appare evidente, come costante, la visione scenografica, quasi da palcoscenico della scena d’invenzione, influenza di un approccio illustrativo.
Appena successivi, risalenti all’aprile 1954, sono altri schizzi ritratti a biro rossa o inchiostro verde che sembrano riprendere dal vero i cuochi di Tokyo, città di cui l’architetto fissa anche alcune vedute paesaggistiche ad acquarello. La successiva serie, datata 26 settembre 1965, raccoglie sei disegni con una numerazione autografa da 30 a 36. Qui in una tecnica a semplice inchiostro su carta, prendono forma, quasi appunti visivi dal segno secco – continua Campiglio –, marcato, graffiante, le scene della “Lezione sugli strumenti di cucina”, “L’albero della cuccagna dei cuochetti”, “L’altalena”, le iniziazioni e i battesimi dei cuochi, temi particolarmente cari alla sensibilità dell’architetto. E a questa si aggiungono altri diciotto schizzi dove appare più evidente il taglio non bozzettistico ma piuttosto vignettistico e illustrativo: In questo insieme caratterizzato da due o tre figure isolate in uno spazio senza architettura, traspare uno stile armonioso, tra il fiabesco e l’onirico in cui ritornano le scene salienti in una sintesi che allude, pur nella distanza temporale, alle figurette tipiche degli anni trenta, tra Giò Ponti e Gigiotti Zanini.
La satira fantastica dei cuochi sarà ripresa da Buzzi in un’ulteriore raccolta di sei schizzi, datati 18 settembre 1972 ed eseguiti dal vero al famoso ristorante Cipriani di Torcello, in occasione del pranzo nuziale delle famiglie Guglielmi-Lancellotti. È chiara qui l’intonazione realista, accentuata dalla tecnica dell’inchiostro acquarellato, che lascia trapelare gesti reali e concreti di cuochi al lavoro dietro i fornelli.
Buzzi, Nervi Ponti, tre grandi figure dell’architettura italiana del novecento, valtellinesi d’origine e protagonisti, eclettici e creativi, non solo di un processo di rinnovamento tecnico e formale della loro disciplina, ma anche di quella articolazione della cultura del progetto che chiamiamo design. Buzzi e Ponti in particolare poi furono straordinari inventori di nuovi filoni delle arti decorative: si pensi soltanto al ruolo di Buzzi alla direzione artistica della Venini nei primi ani 30.
Raffinato dandy, Buzzi era rigoroso selezionatore di una committenza privata di altissimo livello: i Volpi di Misurata, i Cini, gli Agnelli, i Necchi, i Visconti di Modrone, i Pirelli, la crema della nobiltà e dell’imprenditoria italiana. Con una scelta snob e coraggiosa di distacco dal regime e persino da Ponti, Buzzi proseguiva la sua strada da solo, armato solo del piacere e della ricerca curiosa dell’ignoto, del viaggio, dell’esplorazione, del sogno. Frenetico e magnifico grafico, era onnivoro divoratore di immagini e creatore di fantasie visionarie e divertite, di interi cicli di opere: dai “cuochetti” agli “angeli veneziani”, ai “progetti utopici” che diedero vita a quel lucido delirio strutturato che divenne il complesso di edifici alla “Scarzuola” di Montegabbione, scrive Giorgio Forni, Direttore della Fondazione Sartirana Arte.
Tomaso Buzzi (Sondrio 1900 – Rapallo 1981), artista riservato e geniale, carismatico ed eclettico, è tra i più grandi architetti italiani del ventesimo secolo. Protagonista della scena meneghina degli anni Venti e Trenta del Novecento, Buzzi comincia accanto a Giò Ponti. Insieme fondano la storica rivista Domus, e insieme firmano alcuni dei progetti più noti. Arrivano persino a creare (con Paolo Venini, della storica Venini di Murano, di cui Buzzi era direttore artistico) una società per commercializzare le loro opere di design. A quel tempo, il giovane Buzzi, famosissimo e riverito ovunque, università inclusa, è ordinario di Disegno dal Vero al Politecnico di Milano. La sua fama non si oscura con la guerra, anzi. Nel dopoguerra è Ponti a elemosinare le attenzioni di Buzzi, che invece lo allontana rimproverandogli un eccesso di compromessi col regime fascista. Nel frattempo Buzzi, ormai ritenuto l’architetto che nessun potente italiano può farsi mancare, è chiamato per i suoi lavori da tutta la nobiltà romana, da intellettuali, ecclesiastici e politici. Progetta Palazzo Marcoli a Roma e, sempre nella capitale, il Teatro della Cometa. Realizza molte ville (tra cui Pacelli a Forte dei Marmi, Nasi Agnelli a Cap-Ferrat, Necchi a Nervi, Matarazzo a San Paolo in Brasile), restaura e ristruttura edifici storici (tra cui il castello di San Michele di Pagana e quello di Paraggi, la rocca di Spilimbergo, la chiesa della Salute e l’Arsenale a Venezia, il palazzo del Duca d’Alba a Madrid e molte opere del Palladio). Non scrive più sulle riviste specializzate dei suoi colleghi che rimprovera di accademismo, ma solo su Vogue e Harper’s Bazaar. Tomaso Buzzi è sulla cresta dell’onda.
Poi, nel 1956 compra un convento, ridotto a rudere, nei pressi di Orvieto: la Scarzuola. Deciso a trasformarlo in una sorta di “autobiografia in pietra” della sua carriera di artista, comincia a lavorare freneticamente al progetto della sua città ideale, la Buzzinda. Si trasferisce a vivere lì e passa gran parte del tempo in cantiere, con gli artigiani del luogo. Interpreta per loro i suoi schizzi realizzati a due mani (disegnava e correggeva con la destra e la sinistra contemporaneamente), e vede nascere un percorso in cui verde, acqua, fuoco, terra, vita e morte, divini e mortali si integrano. Una summa onirica e coinvolgente di tutto il sapere architettonico, ma anche filosofico, storico e sapienziale. Buzzi lavora alla Scarzuola sino al 1976. Nel frattempo, sgomento, l’establishment culturale e accademico lo emargina immediatamente per le sue stramberie. A costoro, che gli chiedono come un architetto così serio e importante possa lasciarsi andare a certe cose, Buzzi risponde “Quando sono con voi sono vestito, e in cravatta; quando sono qui, alla Scarzuola, sono nudo e questo non potete sopportarlo”.
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